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Alitalia, Ilva e le altre. L’idea perversa di “sviluppo economico” secondo Calenda

Nella giornata di ieri i commissari di Alitalia hanno comunicato l’estensione di altri 6 mesi della Cigs con l’individuazione di ulteriori 500 esuberi, in particolare nei settori di Terra. Questo dato assume una luce ancora più sinistra a fronte della mancanza di qualsiasi certezza del futuro unita al furore ideologico con il quale il ministro Calenda continua a proclamare la imperterrita volontà di vendere l’azienda “costi quel che costi”.

Questa notizia arriva nel giorno in cui, per l’altra grande vertenza dell’ILVA, la cordata di Arcelor Mittal invia una lettera che dichiara 4000 (quattromila) esuberi , l’azzeramento di anzianità e l’applicazione del Job’s Act ai 10.000 lavoratori che saranno assunti nella NewCo.

Poi, rimangono sul tappeto insolute le crisi di Atac, della Piaggio e di altre centinaia di crisi meno note che giacciono sul tavolo del MISE senza una reale prospettiva industriale, se non quella di discutere quale ammortizzatore sociale serva per addolcire una pillola sempre più amara.

E’ questo lo sviluppo economico che ha in mente l’alfiere della liberalizzazione selvaggia che occupa il dicastero che porterebbe questo nome?

Davvero non si può fare altrimenti a tutela dell’industria di questo Paese nonché di decine di migliaia di posti di lavoro che rischiano di essere persi in poche settimane?

Ci chiediamo se questo ministro abbia sbagliato Paese e ministero oppure se sia il Paese che ha messo il ministro sbagliato al posto sbagliato.

In ogni caso, perseverare negli errori è sempre diabolico.

USB, fortemente rappresentativa in tutte queste vertenze, da anni denuncia lo scempio di un sistema industriale fatto a pezzi e svenduto a concorrenti stranieri che non hanno fatto mai l’interesse del Paese, come nei casi esemplari di Etihad e Ryanair nel trasporto aereo.

Per questo motivo, riteniamo che solo l’intervento diretto dello stato attraverso le nazionalizzazioni delle aziende strategiche e il varo di una politica industriale degna di questo nome, possa rispondere agli interessi primari dell’Italia e dei suoi cittadini.

Questo è uno dei temi centrali alla base dello sciopero generale del 10 novembre prossimo.

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