La lunga e tortuosa vicenda della cessione del gruppo Ilva ad ArcelorMittal entra in una fase cruciale. È bene quindi fare il punto della situazione con rigore e trasparenza. ArcelorMittal si è aggiudicato il bando di gara costruito dai commissari dell’amministrazione straordinaria sotto egida del governo che, senza dubbio alcuno, ha sostanzialmente determinato le condizioni della cessione.
Il bando: origine di ogni male.
La gara è stata costruita senza vincolo alcuno al mantenimento della piena occupazione del gruppo siderurgico. ArcelorMittal si sarebbe – usiamo il condizionale perché l’atto di cessione è tutt’ora secretato – aggiudicata Ilva con l’impegno all’assunzione di 8.500 lavoratori su un totale di 14.200, pari ad un 40% di esuberi, sino al termine del piano industriale nel 2023.
Gli 8.500 lavoratori passerebbero alle dirette dipendenze di AM Investco, mentre i restanti 5.700 resterebbero in carico all’Ilva in AS.
Il successivo intervento del ministro Calenda avrebbe convinto ArcelorMittal ad accettare 10.000 assunzioni anzichè le 8.500 pattuite, tuttavia questo nuovo impegno pare essere solo verbale e solo sino al 2023. In altri termini nel 2023 si paventano nuovi 1.500 esuberi.
In questo passaggio è prevista la novazione del rapporto di lavoro per coloro che passeranno in AM Investco. I lavoratori verrebbero chiamati a sottoscrivere la personale rinuncia ad ogni pretesa nei confronti di Ilva ed a accettare le nuove condizioni.
Le condizioni del passaggio
Il management di ArcelorMittal ha esplicitamente detto più volte che le condizioni economiche, normative e i diritti acquisiti (anzianità, art.18 lg.300/70) vanno negoziate. In particolare nel corso dell’ultimo incontro ha specificato che è suo intendimento ridiscutere la contrattualistica esistente da decenni ed in specifico il salario strutturale aggiuntivo al CCNL. Ciò significa che la volontà è quella di ridiscutere in peggio salari e diritti.
I lavoratori in Ilva AS
I lavoratori non assunti da AM Investco finirebbero nel vortice degli ammortizzatori sociali. Parte di loro forse impiegati dentro gli stabilimenti in “prestito” ad ArcelorMittal, i più in cassa integrazione e altri nelle operazioni di bonifica, sulle quali peraltro poco o nulla è dato sapere, in un quadro di possibile incentivazione all’esodo a gestione commissariale con ingenti risorse pubbliche.
Questi lavoratori “beneficierebbero” del mantenimento di ogni diritto acquisito essendo in continuità di rapporto di lavoro.
Ilva in AS può contare su circa 5 anni di ammortizzatori sociali.
Il piano industriale Ilva
Sin dal primo giorno, come Unione Sindacale di Base, in sostanziale sintonia con la quasi totalità della delegazione sindacale, abbiamo giudicato il piano industriale 2019-2023 incoerente con gli obiettivi ambiziosi di produzione. In particolare ci riferiamo agli scarsi investimenti previsti sulle linee di asservimento alla produzione di acciaio e soprattutto colpisce l’assenza di un rapporto diretto tra livelli occupazionali e livelli produttivi. ArcelorMittal prevede di giungere a 8 milioni di tonnellate nel 2023 con un organico di 8.500 mentre ad oggi con una forza lavoro effettiva di circa 10.900 (14.200 -3.300 in Cigs) se ne producono circa 4 milioni. ArcelorMittal immagina di passare quindi da una produzione procapite di 367 tonnellate ad una di circa 941 tonnellate, un incremento di produttività pari al 156%. Uno squilibrio difficilmente spiegabile, come fa l’azienda, con l’innovazione di processo e l’utilizzo di bramme prodotte altrove.
Attività esternalizzate
L’incoerenza tra livelli produttivi e occupazionali è in realtà spiegabile in parte con la scelta di ArcelorMittal di esternalizzare tutte le attività complementari degli stabilimenti ad aziende terze. Un modello di organizzazione del lavoro inaccettabile che disimpegna la multinazionale dal mantenimento di uno standard qualitativo sul terreno della sicurezza, dei salari e dei diritti per migliaia di lavoratori.
Appalti
In questo quadro non è dato sapere quale sarà l’impatto dal punto di vista occupazionale ma è evidente che ci sono tante ragioni per essere preoccupati. Sono migliaia i lavoratori che quotidianamente operano negli stabilimenti del gruppo spesso in condizioni di sfruttamento intollerabili e che rischiano di pagare un ulteriore prezzo altissimo alle scelte del governo e della multinazionale. Lavoratori di serie B, dipendenti da imprese che vantano crediti importanti nei confronti di Ilva. Le ricadute sui territori e sulla loro economia, con buona pace del governo che continua a rassicurare a parole, rischiano di essere pesantissime.
Antitrust
Le notizie che trapelano in merito alle decisioni dell’Antitrust in sede europea, rispetto alla concentrazione di produzione in capo ad ArcelorMittal con l’acquisizione delle quote Ilva, parlano di una compensazione imposta attraverso una dismissione di attività di ArcelorMittal in giro per l’Europa. Attività che occuperebbero circa 20.000 dipendenti. Così, beffa ulteriore, ArcelorMittal guadagna due volte in quest’operazione: da una parte si libera di 20.000 dipendenti, impegnati in attività minori, dall’altra ne assume solo 8.500 e porta a casa l’acciaieria più grande d’Europa.
Lo stato della trattativa
Il tavolo costituito tra azienda e organizzazioni sindacali è solo ospitato dal Ministero dello Sviluppo economico in quanto parte della procedura art.47 i cui termini di legge sono stati reiterati sine die. La lettera di cessione del gruppo Ilva è fondata sugli impegni, ripetiamo tutti secretati, che la multinazionale si è assunta con il governo italiano.
E’ del tutto evidente che in questo quadro una trattativa vera e propria non c’è in quanto il negoziato è condizionato da accordi costruiti in altre sedi ed al sindacato viene chiesto semplicemente di ratificare, mediando, questi impegni.
La responsabilità che il governo si è assunta è enorme. Aver concesso al colosso mondiale dell’acciaio di acquisire il gruppo siderurgico più rilevante d’Europa, tutt’altro che decotto, a prezzo di realizzo e “ripulito”, con risorse pubbliche, di migliaia di lavoratori, rappresenta un fatto gravissimo. Un danno incalcolabile per il patrimonio industriale nazionale in uno dei settori chiave dell’economia. Privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite, un termine più che mai azzecato per spiegare in sintesi il senso e la portata di quest’operazione.
ArcelorMittal si muove quindi nel rispetto degli impegni che si è assunta con il governo ed è comprensibile che non abbia nessuna intenzione di cambiarli. Tuttavia senza una modifica radicale di questi impegni, anche sul piano ambientale, nessun accordo sindacale è possibile.
Spetta in primo luogo al governo rimettere in discussione quell’accordo. Questa è la condizione sine qua non per avviare la trattativa.
ArcelorMittal, ad oggi, si dichiara indisponibile a garantire il lavoro per tutti quei dipendenti che non dovessero trovare nuova occupazione o una soluzione alternativa con il ventilato piano di incentivazione all’esodo. Ciò significa che al sindacato viene chiesto di sottoscrivere licenziamenti veri e propri. E’ evidente che, almeno da parte di USB, non vi è alcuno spazio per accettare una simile ipotesi.
Il prossimo 11 aprile si decide se e come proseguire il confronto. Qualora il quadro fosse immutato proporremo a tutta la delegazione sindacale di prendere atto che non ci sono le condizioni per proseguire oltre. Come USB nella riunione con governo e management abbiamo dichiarato l’indisponibilità a soggiacere al ricatto che si preannuncia: “accettare queste condizioni o Ilva chiude. Siamo certi che esistono altre soluzioni per un rilancio produttivo del gruppo e per le indispensabili opere di ambientalizzazione.
Sergio Bellavita USB nazionale
Francesco Rizzo USB Taranto
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Daniele
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