La discussione sul rinnovo dei contratti pubblici, o meglio sulle risorse stanziate in legge di bilancio per il rinnovo dei contratti è sostanzialmente ferma a quei 3,175 miliardi che ancora non è dato sapere se siano omnicomprensivi di tutte le questioni in ballo nel pubblico impiego, dal finanziamento dell’elemento perequativo al sistema di classificazione. Rimane inoltre da comprendere il regime fiscale a cui saranno sottoposti gli aumenti e come e quanto inciderà il cuneo fiscale.
Ci siamo espressi chiaramente con il ministro Dadone: se non venissero soddisfatte le aspettative dei lavoratori sarà scontro anche fino alla proclamazione dello sciopero generale.
A questa posizione netta e inequivocabile si contrappone in questi giorni la pantomima dei sindacati complici e collaborazionisti e del sindacato autonomo, che alla fine si accoda sempre ai potenti, che si affannano per cercare di rappresentarsi in modo credibile ai lavoratori sul rinnovo contrattuale. Ma ormai il finale di queste rappresentazioni è noto. Lo conosciamo noi, lo conoscono i governi e iniziano a conoscerlo anche i lavoratori. La firma, sempre e comunque.
Questa è la chiave per leggere in chiaro quanto sta avvenendo intorno al rinnovo dei contratti pubblici, per comprendere la farsa di CGILCISLUIL che raccontano storie alle quali ormai neanche i lavoratori più sprovveduti riescono a credere.
Raccontano che l’ultimo CCNL, quello degli 85 euro medi dopo 9 anni di blocco contrattuale (trascorsi nel totale silenzio complice della Triplice), quello della peggior parte normativa nella storia del pubblico impiego, andava firmato perché “ha sbloccato la contrattazione”; raccontano che da sempre chiedono di restituire autonomia alla negoziazione sia sui diritti che sulle dinamiche economiche, “dimenticando” che nel 2009 hanno firmato l’intesa che lega gli aumenti contrattuali agli indici IPCA e quindi li sottrae alla contrattazione; raccontano che la crisi “perdurante” rende i rinnovi particolarmente difficili, ma sono appiattiti sulle politiche economiche che la UE ci impone, su tutte l’obbligo del pareggio di bilancio dello stato inserito all’art. 81 della Costituzione. Una serie di giustificazioni che non possono trovare ascolto tra chi ha pagato pesantemente quelle scelte.
Ormai è fin troppo evidente che queste organizzazioni hanno fatto il loro tempo ed oggi svolgono una funzione che non attiene al sindacato che difende e tutela i lavoratori, ma al sindacato giallo, quello che, al contrario, i lavoratori li contiene. E i tentativi come questo di rifarsi la facciata risultano più pietosi che mai. La loro firma, sempre scontata, ha indebolito la contrattazione e quindi i lavoratori!
L’ultimo CCNL non andava firmato, perché dopo 9 anni di blocco e una perdita salariale intorno al 13% si doveva pretendere di più. Perché dal contratto è stata stralciata la questione dell’ordinamento del personale, fondamentale per dare soluzione al problema del mansionismo. Perché in quel contratto è stata recepita tutta la normativa punitiva rivolta contro i lavoratori pubblici.
NON firmare i contratti si può e talvolta si deve.
Ripartire dalla possibilità di dire NO significa restituire dignità alla contrattazione, credibilità al sindacato e forza ai lavoratori!
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