La Confindustria ha alzato subito toni e barricate contro l’ipotesi di riduzione dell’orario di lavoro. Si conferma come ogni volta che una società ha la possibilità di fare un passo avanti non possa fare conti sugli imprenditori. Hanno una visione corta e stretta, anzi strettissima, indirizzata ai propri esclusivi interessi. L’atteggiamento tenuto da Assolombarda e Confindustria durante la fase più letale della pandemia di Covid 19, lo ha dimostrato una volta di più.
Come prevedibile, sia Confindustria che Ance (l’associazione dei costruttori) hanno rigettato con durezza l’ipotesi della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. La conferma di questa linea è venuta al termine del tavolo tra imprenditori e il governo. Il ministro Nunzia Catalfo avrebbe spiegato che l’idea è permettere con specifiche intese di rimodulare l’orario di lavoro, per il periodo dell’emergenza Coronavirus, e destinare parte dell’orario a corsi di formazione, a parità di salario.
La ricetta che gli industriali contrappongono è sempre la stessa: finanziamenti a pioggia ma solo alle imprese, intangibilità della primàzia del mercato nelle mani dei soggetti privati e delle sue magnifiche sorti, smantellamento della contrattazione nazionale sul lavoro.
Ma la Confindustria si mette di traverso anche rispetto ad un maggiore ruolo dello Stato nell’economia. Il neopresidente degli industriali, Bonomi, in una intervista rilasciata il 4 maggio al Corriere della Sera, ha affermato che: “Lo Stato faccia il regolatore, stimoli gli investimenti, rilanci con più risorse il piano Industria 4.0. Ma si fermi lì. Non abbiamo bisogno di uno Stato imprenditore, ne conosciamo fin troppo bene i difetti”.
E un personaggio come Renzi gli è andato subito dietro evocando addirittura lo spettro dei Soviet: “In tempi di crisi in tutto il mondo gli Stati danno soldi alle imprese per ripartire: prestiti o contributi a fondo perduto. Solo in Italia qualcuno chiede che lo Stato in cambio abbia posti in Consiglio d’Amministrazione. Noi siamo contrari. Sovietizzare l’Italia? No grazie” ha twittato Renzi.
Diventa evidente come la nostra agenda e quella dei “prenditori”(perché di questo si tratta, prendono tutto e danno poco o niente), siano in totale rotta di collisione, sia per visione del mondo che per le misure concrete da attuare in questa crisi.
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Sergio
In tempi di crisi lo stato quello vero nazionalizza le attività strategiche, quali e energia,scuola sanità e industrie in crisi.soldi non ne dà,salva i posti di lavoro e ne attiva altri.questo già da molti secoli.per fare questo fa amicizia solida con gli stati clienti più importanti , sviluppa il commercio con l’estero ( vi ricordate perché le figlie di re e principi sposavano re e principi?)
Tutte le industrie che creano occupazione sono agevolate nelle gare nazionali rispetto a quelle straniere ( l’europa e cioè la germania lo fa con un metodo rigido) .si deve creare occupazione anche a costo di ridurre stipendi e se serve orari di lavoro,dipende molto dalla tipologia del lavoro non guardiamo solo i call center.un impiegato delle vendite ( non quelle porta a porta) difficilmente potrà ridurre il suo orario giornaliero. Renzi è stato costruito dalla grande finanza più che industria per cui legge il pizzino che gli hanno dato in quel momento.