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Piacenza. Blitz dei facchini al magazzino GLS contro il mancato reintegro

Ieri sera dopo quello di venerdì scorso c’è stato un nuovo blitz alla GLS di Piacenza dei 16 facchini reintegrati dalla Corte di Appello di Bologna con una sentenza che però GLS e i suoi appaltatori (nel caso specifico Seam e Natana Doc) si rifiutano di applicare.

Per questo i 16 lavoratori mercoledì sera hanno aggirato la sorveglianza delle pattuglie della polizia privata assunta da GLS per controllare il magazzino e all’interno dell’edificio hanno dato luogo a una nuova manifestazione, incatenandosi e lanciando slogan.

Pronto intanto il ricorso di urgenza al Tribunale di Piacenza dei legali di USB per dimostrare che Seam e Natana sono la stessa realtà e quindi il reintegro va reso esecutivo subito.

la Corte d’Appello di Bologna reintegra i facchini licenziati dalla GLS di Piacenza perché chiedevano sicurezza sul lavoro. USB: continua la lotta per i diritti e la dignità dei lavoratori

La Corte d’appello del Tribunale di Bologna ha reso giustizia ai licenziati della GLS di Piacenza sancendone la reintegra, oltre a una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità. Si tratta di un primo gruppo di 16 persone le quali avevano fatto ricorso individuale contro una precedente e vergognosa sentenza del Tribunale di Piacenza che a settembre del 2019 aveva messo in discussione la fondatezza degli scioperi indetti criticandone le motivazioni e le pratiche.

Come si ricorderà gli iscritti ad USB del magazzino GLS di Piacenza avevano dato vita ad un ciclo di scioperi il cui fine era quello di rivendicare condizioni di sicurezza in ambito lavorativo. La risposta del padrone, a gennaio 2019, era stato il licenziamento “politico” di 33 lavoratori, mentre altri 54 erano stati dichiarati in esubero.

Un atto agito contro la parte più sindacalizzata dell’hub che ad aprile 2019 aveva poi portato alla occupazione del tetto per parecchi giorni da parte dei licenziati come estrema forma di protesta, con l’attivo sostegno delle famiglie, in particolar modo dei bambini protagonisti della campagna “Mio papà deve lavorare”.

La sentenza della Corte di appello bolognese riconosce non solo la fondatezza delle motivazioni degli scioperanti affermando che “la richiesta afferiva propriamente le tutele dell’incolumità dei lavoratori”, ma anche l’insindacabilità del diritto di sciopero.

Il Tribunale di Bologna, sconfessando le motivazioni della sentenza piacentina, afferma che “non è seriamente predicabile” l’oggetto, l’interesse posto alla base dello sciopero che non incontra altri limiti da quelli propri e riconosciuti dalla Costituzione.

Si tratta di una sentenza importante, che riconosce pienamente il diritto di sciopero, una sentenza che rende onore ai lavoratori, gli stessi che hanno scelto USB e la strada della lotta come mezzo di emancipazione sociale su indicazione ed esempio del loro collega Abd Elsalam per il quale ora attendiamo analoga giustizia nel processo per il suo assassinio.

 

 

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