Quando lo scorso 16 ottobre i portuali di Genova sono venuti a Firenze a raccontare la loro esperienza di lotta contro il traffico di armi (ne abbiamo parlato qui), la Cgil era il sindacato più rappresentativo nello scalo ligure. Soprattutto, annoverava tra le proprie fila la parte più militante e combattiva del movimento dei lavoratori in porto: tutti, o quasi, i membri del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP) erano infatti iscritti o delegati Cgil. Oggi, la situazione è radicalmente mutata. Il CALP ha infatti lasciato in massa la Cgil, passando all’Usb. Abbiamo raggiunto uno dei lavoratori del porto di Genova e militante del CALP per farci spiegare le ragioni di questa decisione.
Cosa vi ha spinto ad abbandonare la Cgil?
Vi sono molte ragioni che motivano la nostra decisione. Alcune vengono da lontano e riguardano la graduale, ma continua, trasformazione della Cgil da mediatrice nelle vertenze tra operai e padroni a mera portavoce delle istanze delle aziende. Ogni lavoratore, ne sono certo, può certamente citare qualche episodio al riguardo.
In termini più generali quanto successo con il Jobs Act è certamente indicativo di quanto diciamo. A fronte infatti di un attacco diretto da parte di Confindustria e governo, la Cgil si è limitata a chiamare uno sciopero generale dopo che la legge era già stata approvata. Quando cioè era completamente inutile scioperare. Ma che senso ha agire in questo modo? Se lo si fa è perché si è perso ogni volontà di difendere diritti e salari dei lavoratori.
Sono passati però oltre 5 anni dall’approvazione del Jobs Act..
E infatti la situazione all’interno della Cgil è ulteriormente peggiorata. In questi 5 anni abbiamo visto come la burocrazia sindacale abbia fatto sempre di tutto per soffocare ogni sciopero (che rimane l’arma più importante nelle nostre mani), delegittimando i lavoratori e concertando con le aziende alle nostre spalle.
Un atteggiamento che abbiamo ritrovato anche in merito alla cassa integrazione straordinaria in questi mesi segnati dalla pandemia. Il decreto del governo era pessimo e nei fatti rappresentava un immenso regalo alle imprese. Eppure, il compito del sindacato sarebbe dovuto essere quello di controllare che non ci fossero accessi non consoni alla cassa integrazione da parte dei padroni.
Questo non è quasi mai accaduto e circa 1 azienda su 3 ha beneficiato della cassa integrazione pur non avendo alcun calo di fatturato. Un altro esempio dell’atteggiamento arrendevole della Cgil è certamente quanto successo sui decreti sicurezza, addirittura inaspriti dalla recente revisione del governo per quanto riguarda la legislazione sui blocchi stradali e la possibilità di mettere in campo pratiche radicali di protesta. Anche in questo caso, silenzio tombale da parte della Cgil.
Ha pesato sulla vostra decisione anche quanto successo lo scorso febbraio durante il tentativo di bloccare l’ingresso in porto della Bahri Yanbu (si veda qui)?
Assolutamente sì. Una delle ragioni che spiegano il fallimento della protesta dello scorso febbraio è stata propria l’indisponibilità della Cgil a dichiarare sciopero, perfino nella banchina dove era attesa la nave saudita. Il sindacato si è limitato a fornire copertura legale a quei lavoratori che si sarebbero astenuti dalle mansioni di carico e scarico, praticando obiezione.
Questo però significava abbandonare il piano collettivo dell’azione e scaricare la responsabilità su ogni lavoratore a livello individuale. In maniera non sorprendente, molti hanno ceduto alle pressioni provenienti dall’azienda e dalle autorità, svolgendo regolarmente il proprio lavoro.
Perché avete deciso di aderire all’Usb?
Per una ragione molto semplice. A differenza della Cgil che usa la mediazione con la controparte per affossare le vertenze dei lavoratori, l’Usb è un sindacato combattivo che difende concretamente i nostri interessi.
Inoltre, l’Usb vanta una significativa presenza nei porti di Livorno e Trieste. In futuro, questo potrebbe aiutarci a coordinare eventuali azioni di protesta con i portuali di questi due scali. Per noi non era veramente più possibile continuare a rimanere nella Cgil.
Negli scorsi giorni avete sostenuto lo sciopero dei lavoratori dell’acciaierie ArcelorMittal (ex-Ilva) di Genova?
Certamente. La loro azione di protesta rispecchia in pieno il nostro motto: se toccano uno, toccano tutti. Ed è stato bello vedere come il corteo sia stato appoggiato e sostenuto anche dai lavoratori di altre aziende: una grande dimostrazione di solidarietà di classe.
Di fronte alla forza degli operai, l’azienda è stata costretta a tornare rapidamente sui propri passi, ritirando le 250 lettere di sospensione dal lavoro appena inviate e il licenziamento di uno dei compagni più attivi all’interno della fabbrica, reo di aver inviato un presunto audio denigratorio ai danni del direttore dello stabilimento su un gruppo WhatsApp. Non tutto è stato risolto, anzi. Eppure, il messaggio penso sia chiaro: uniti si vince.
* da Per un’altra città
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