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One Big Union: dal retroterra logistico al fronte del mare…

L’assemblea di sabato 8 maggio a Genova, che ha dato vita al coordinamento delle realtà marittimo portuali, segna senz’altro un “passaggio di fase” organizzativo significativo per l’Unione Sindacale di Base. L’incontro ha posto alcune “questioni generali”, che devono essere colte dai militanti della sinistra radicale, sul conflitto di classe oggi.

Come premessa va considerato tra l’altro quanto vengano “oscurate”, dai media mainstream, vertenze nazionali strategiche come quelle dei lavoratori di Ilva ed Alitalia, liquidate dall’agenda politica del governo Draghi a poco più che scocciature e “blindate” in piazza.

Gli interventi (una quindicina quelli programmati, più altri dalla platea tutti di indubbia qualità) hanno raggiunto un buon punto d’equilibrio tra la dimensione sindacale specifica – dando tra l’altro il quadro delle criticità della condizione di lavoro per chi lavora sul “fronte mare”, entrando anche nelle singoli dinamiche aziendali dei differenti porti – ed un piano più complessivo.

Questo è senz’altro il frutto del livello di “politicizzazione” delle contraddizioni del mondo del lavoro e di bisogno di “azione collettiva” anche in ambiti che erano tradizionalmente più garantiti e meno conflittuali.

Un dato non nuovo, che fa riflettere, è come la repressione si abbatta ormai sistematicamente in un sistema di relazioni industriali che ha voluto espellere il conflitto dal campo della possibilità, lasciando alle forze dell’ordine e all’apparato giudiziario la risoluzione “in chiave penale” delle istanze che emergono dal mondo del lavoro.

“La politica” ha abdicato al suo ruolo di cerniera e lascia a questure e procure l’onere di intervenire nella lotta di classe quotidiana. Tutte le relazioni, nell’assemblea, hanno posto questioni e sollevato richieste che sono state colte e ricollocate sia nell’intervento conclusivo da parte di Francesco Staccioli, storico militante sindacale degli assistenti di volo Alitalia, nell’Esecutivo Nazionale di USB, sia nel documento finale redatto a cui abbiamo dato ampio spazio all’interno del nostro giornale.

Un segno della ricettività del sindacato nel muoversi in un quadro in veloce evoluzione, senza però restare vittime delle accelerazioni delle dinamiche sociali e dei perimetri di “compatibilità”, che sembrano diventati il mantra obbligato delle relazioni industriali nel nostro paese.

Un dato importante, e che ha “riscaldato il cuore” degli attivisti sindacali genovesi, è stata la presenza massiccia e militante dei lavoratori della logistica giunti con i bus ed arrivati al CAP di via Albertazzi – che ha ospitato l’incontro con ben più di un centinaio di partecipanti – in corteo. Sono intervenuti insieme ai lavoratori della filiera agricola, per ribadire come il conflitto sia il cardine dell’azione sindacale, e “il mutuo appoggio” la pratica da cui trae forza e la forte carica “internazionalista” che gli permette di organizzare tutto il proletariato multinazionale nel nostro paese…

A prima vista, è stata fatta molta strada dai precedenti convegni due  – su portualità e non solo, tenutisi a Livorno. Uno specifico sulla sicurezza, un paio di anni fa (“Fermiamo la strage”, del 7 giugno 2018), l’altro sulla privatizzazione all’inizio dello scorso anno (“Cos’è rimasto dei nostri porti?” del 15 febbraio del 2019).

Sono state importanti tappe di movimento e ragionamento “in progress”, un sempre più vivace scambio sui nodi della portualità tra differenti esperienze di militanza portuale, al di là della collocazione sindacale specifica, a cui si è accompagnato un certosino lavoro di cucitura delle relazioni.

L’iniziativa genovese – possibile anche grazie al passaggio di attivisti e delegati del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali ad USB alcuni mesi fa – ha voluto partire dal punto più alto della categoria: la costruzione di una piattaforma nazionale per il CCNL dei porti per i tre anni a venire, presentata dopo l’ottimo intervento introduttivo del segretario della Federazione genovese dell’USB, Maurizio Rimassa, da José Nivoi di USB porto di Genova.

Il Contratto dei porti è stato appena firmato, infatti. La proposta di USB è, per i prossimi tre anni, un guanto di sfida a chi vorrebbe monopolizzare la rappresentanza nella portualità senza però avere il  necessario consenso. La proposta vuole impattare su punti che stanno a cuore alla maggioranza dei lavoratori portuali e non sui bisogni della controparte padronale, come filtrati dalle Segreterie di Cgil-Cisl-Uil e dalle “commissioni paritetiche”.

Salario, sicurezza, stabilità dell’impiego, garanzie pensionistiche adeguate e “democrazia sui posti di lavoro”, per invertire le tendenze conosciute in questi anni sulle banchine, anche grazie ai sindacati complici.

Erano presenti Genova e Trieste – che sono i  due maggiori porti italiani – Civitavecchia, Livorno e sarebbero dovuti intervenire da Taranto, un ottima base per traguardare l’attuale assetto della rappresentanza nei porti.

L’appuntamento genovese è un punto di partenza, ma anche di arrivo. Si tratta infatti della tappa finale del tentativo di organizzazione della “catena del valore” della logistica, iniziata in quello che era per condizione oggettiva l’anello più debole, ma che allo stesso tempo si è dimostrato il segmento più disposto ad intraprendere un percorso conflittuale che ha sedimentato l’organizzazione fino a raggiungere le banchine, che sono le fasce tradizionalmente più garantite, e meno meticce, del settore.

A questo punto l’USB è in grado di ragionare su una organizzazione che va dal “fronte mare” (compresi i marittimi) al retroterra logistico, incorporando alcuni elementi del vecchio movimento operaio e dell’impostazione confederale della Cgil che fu.

È stato significativo che l’incontro fosse ospitato al CAP,  il cui presidente Danilo Oliva – che è intervenuto – era stato uno storico dirigente nazionale Filt, da tempo in pensione, ma che ha attivato una esperienza preziosa sul territorio davvero unica come il “Circolo”, com’è ormai conosciuto dalla comunità portuale e non solo.

Così come è stato importante l’intervento di Bruno Rossi, “decano” delle esperienze di autonomia di classe nel porto ed animatore dello storico Collettivo Autonomo portuale. Un ponte tra le pagine più gloriose del sindacato di Di Vittorio e le esperienze di autonomia di classe del passato con gli orizzonti futuri della confederalità e del conflitto che devono e dovranno andare sempre più a braccetto, come hanno ribadito numerosi interventi.

Un altro dato è la catalizzazione di una serie di compagni ricercatori – potremmo definirli a pieno titolo intellettuali organici di “alto livello” – come Riccardo Degli Innocenti e Andrea Bottalico per i differenti stimoli che hanno dato, e che in passato avevano più volte rimarcato la necessità di un lavoro che deve porre un ponte rispetto ai “colletti bianchi” della portualità, i clerks, che sono una parte importante ormai del lavoro portuale, soprattutto nelle realtà più automatizzate e della sussunzione del lavoro mentale nei processi lavorativi sulle banchine, e sulla necessità dello studio e relazioni dei e con i porti a livello internazionale.

È chiaro che l’organizzazione del lavoro in sé e la matrice delle politiche che riguardano i porti implicano un “salto di qualità” a livello europeo, che qualifichi in primis la partecipazione della Federazione Sindacale Mondiale, specie in quelle realtà che presentano un corpo organizzato di lavoratori portuali, oltre a comprendere la natura del rapporto da trattenere con le altre realtà delle banchine.

Questo livello deve essere legato ad una analisi dei processi di ristrutturazione in corso: riconfigurazione delle catene logistiche del dopo-pandemia, sviluppo della “Nuova Via della Seta” a livello mediterraneo e soprattutto le politiche che intende intraprendere la UE – vera tomba delle garanzie dei lavoratori portuali –  per avere un quadro che aggiorni di fatto il preziosissimo lavoro fatto con Proteo ai tempi sulla “catena del valore” (“La grande fabbrica. Dalla catena di montaggio alla catena del valore“, del 2017) ed il convegno sull’“industria 4.0” a Pontedera, con al centro i processi di automazione, nella primavera 2019.

Senza avere un quadro analitico definito sarà difficile definire una strategia di ampio respiro che risponda al bisogno di protagonismo di una parte non trascurabile di operai combattivi.

Altre due questioni hanno bisogno di una risposta adeguata e di una assunzione di responsabilità diretta, che investe non solo il sindacato che se è fatto comunque carico: la campagna contro il trasporto delle armi si può riconnettere ad un discorso più complessivo della tendenza alla guerra.

Bisogna tenere presente che, in questo senso, i due scioperi a Genova contro le “navi della morte”  (uno realizzato, per l’altro è bastato annuncio a farne uno spauracchio) e le varie azioni intraprese hanno sviluppato delle relazioni importanti a livello internazionale, imposto una forte attenzione mediatica (inchieste giornalistiche, tra cui una puntata molto ben fatta di “Presa Diretta”) e l’attenzione di un variegato mondo pacifista con cui è necessario dialogare.

L’altra questione è come scardinare politicamente il combinato disposto tra “fascismo aziendale” e monopolio della rappresentanza di Cgil Cisl e Uil, per contrastare le decisioni politiche che mirano ad una ristrutturazione della logistica asservita agli interessi delle multinazionali del mare e dei big del trasporto merci, a cui la politica si è genuflessa in toto.

E‘ chiaro che la questione della pianificazione economica e della nazionalizzazione entra con forza come sbocco propositivo.

Chi si pone il problema della rappresentanza politica e la necessità di un organizzazione comunista degna di questo nome deve comprenderlo bene, perché sono questioni che travalicano anche la più generosa e conflittuale organizzazione sindacale, come è USB.

Le iniziative che verranno messe in campo per il G20 della salute in Italia, il 21 e 22 maggio, e il prossimo appuntamento assembleare riservato ad un bacino più ampio di lavoratori e delegati previsto a Bologna, a fine giugno, sono due possibili campi di sviluppo ulteriore che accompagnano il “grigio lavoro quotidiano” che incomincia però a dare notevoli frutti.

Per certi versi USB sta divetando quella “One Big Union” preconizzata dai sindacalisti industriali della IWW, in cui un torto fatto ad un singolo lavoratore è una ingiustizia commessa contro tutta la classe.

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1 Commento


  • Stefan Burnett

    Proprio all’opposto di quello che è accaduto con l’IWW, la vera sfida sarà dare una direzione politica netta ad un sindacato conflittuale e di massa in una fase di crisi capitalistica.

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