Se sbagliare è umano, perseverare nell’errore è sicuramente diabolico e chi, ottimisticamente, pensava che la pandemia avrebbe portato a individuare la tutela della salute e la spesa sanitaria come prezioso investimento e non come una spesa da abbattere, rimarrà deluso. Nessun cambio di passo né di visione anzi, quello che si profila, è un brusco ritorno alla gestione e al finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale pre-pandemia.
Il DEF del mese scorso certifica infatti che nel triennio 2022-2024 la spesa sanitaria dovrà essere portata al 6,3% del PIL, con una riduzione di un punto rispetto a quella attuale, confermando la previsione di spesa fatta nel 2019 e questo, di fatto, va a significare che le maggiori spese per il personale sanitario, comunque in gran parte precario, per l’aumento dei posti letto di terapia intensiva e per la diagnostica legata al Covid, sostenute per affrontare la pandemia non saranno consolidate e l’Italia tornerà ad avere una spesa sanitaria inferiore alla media UE e drammaticamente inferiore a quella di nazioni avanzate quali, a esempio, Francia e Germania.
E che per la salute della popolazione e della sanità in generale, non ci sarà un lieto fine è chiaro anche dall’analisi del PNRR che destina alla Sanità, a fronte dei tagli che hanno decimato ospedali, posti letto e personale, le risorse più basse.
Risorse che sono destinate in gran parte alla digitalizzazione, alla telemedicina e all’aggiornamento tecnologico, mentre quanto stanziato per il rafforzamento dei servizi domiciliari e dei servizi territoriali attraverso le centrali operative territoriali e le case della salute, di fatto gli attuali distretti di base, rappresenta un ricco piatto sul quale, rapaci, sono pronti a banchettare il terzo settore e il privato convenzionato.
Altro che potenziamento della sanità pubblica, ci troviamo di fronte a un quadro nel quale, in assenza di qualsiasi ipotesi di assunzione di personale sanitario, tutti i servizi saranno appaltati e dati in gestione proseguendo così nella privatizzazione della sanità che, come verificato ampiamente durante l’emergenza Covid, così tante conseguenze ha provocato nelle regioni nelle quali il processo è più avanzato.
USB, con lo sciopero del settore sanità proclamato per il 21 maggio, scenderà in piazza per manifestare la propria opposizione a questa impostazione e rivendicare un modello sanitario che sia realmente al servizio dei bisogni della popolazione e che elimini le diseguaglianze territoriali, per la reinternalizzazione dei servizi appaltati, per assunzioni stabili e l’eliminazione di qualsiasi forma di precariato.
Verranno tenute manifestazioni ed effettuati presidi in tutte le regioni sotto gli assessorati alla salute, mentre a Roma la manifestazione si terrà davanti al Ministero alle ore 10.00
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