Il Covid ha modificato radicalmente aspetti sociali ed economici del Paese e ha accelerato processi di trasformazione dei rapporti di lavoro, processi già in essere prima della crisi pandemica. Possiamo infatti affermare con certezza che tali dinamiche non sono assolutamente nuove, piuttosto il prosieguo di una trasformazione della produzione capitalistica la quale procede verso la progressiva destrutturazione delle forme di tutela del lavoro e di diritti nel lavoro.
Dietro lo snodo dell’emergenza sanitaria è passata l’eviscerazione di una modalità di lavoro che aveva gettato semi già negli anni addietro. La crisi pandemica l’ha normalizzata (ma non normata, almeno al momento) in tempi estremamente celeri.
In un campo aperto di sperimentazione, l’ambito dei Call Center è sempre stato il pioniere di grottesche attuazioni di pratiche sul crinale dell’accettabilità sociale e della norma. Il substrato composto da lavoratori in perenne turn over, di composizione sociale mista, l’assenza di coscienza di classe, con un sovrastrato composto da aziende ipertecnologizzate, in aggiunta a salari bassissimi da ascriverlo appieno nella definizione di lavoro povero.
Inoltre una composizione per lo più femminile già agli albori della sua nascita ha impedito rivendicazioni di qualunque natura sia soggettive sia collettive, livellando i conflitti e permettendo l’attuazione di qualunque legittimazione di perdita al ribasso dei diritti dei lavoratori connaturate alle metamorfosi capitalistiche dei rapporti di forza.
In questo contesto lavorativo, e nel generale contesto sanitario, si è andato fortemente consolidando il lavoro da remoto dietro il quale si nasconde la trappola dell’Impero Virtuale. Erroneamente considerato ritorno al cottimo, lo Smart Working nasconde già nella terminologia il tentativo di immettere un Cavallo di Troia nel sistema lavorativo; un neologismo inglese che non è assolutamente un calco nè semantico nè strutturale dall’inglese, una trovata linguistica tutta italiana come se il termine anglofono “smart” ci possa in qualche modo accattivare; una forma di lavoro, di fatto, decontrattualizzato e senza tutele.
Ovviamente, facendo riferimento al contesto lavorativo del privato e, nello specifico, dei call center, la modalità lavorativa in oggetto manifesta tutta la criticità che comporta nella vita e nell’avanzare di povertà e lavori poveri che inaspriscono situazioni contrattuali già precarie. I tempi di vita e i tempi di lavoro e lo spazio di vita e lo spazio di lavoro si sono accavallati al punto che non c’è più separazione tra loro.
Questa totale porosità di tempo e spazio rappresenta un ulteriore attacco alle tutele del lavoro, un elemento ulteriore di flessibilizzazione della vita lavorativa che impedisce la naturale separazione tra tempi di vita e tempi di lavoro; questa condizione di ulteriore precarizzazione attuata nella società del controllo, assume caratteri preoccupanti soprattutto in un ambito lavorativo a maggioranza femminile i cui risvolti futuri sono facilmente immaginabili.
La totale assenza di separazione tra le due sfere si presenta nella sua violenza attuativa proprio nei confronti delle donne, la cui sussunzione all’interno dei processi produttivi è tale da non lasciare dubbi sulle conseguenze nelle vite private. Allattare mentre si lavora, andare in bagno mentre si lavora, cucinare mentre si lavora, rifare i letti mentre si lavora, badare alla casa mentre si lavora, badare ai figli mentre si lavora, piegare i panni mentre si lavora…
Stiamo in sostanza parlando della messa a valore e del disciplinamento della sfera della produzione sociale; la sfera produttiva contabilizzata e la sfera riproduttiva invisibilizzata non sono più separate ma diventano un modello di produzione normalizzato, che aspetta solo di essere normato.
La femminilizzazione del lavoro in termini di qualità del lavoro ha la cura come modello di riferimento, questo quadro va problematizzato e va riportata la separazione tra aspetti relazionali e salariali delle lavoratrici e dei lavoratori
Una moderna forma sindacale, che vuole assolvere la sua funzione a tutto campo, deve assumere nuovi strumenti di analisi dei processi ma anche determinare/sperimentare forme di protagonismo e di lotta innovative per porre freno alle conseguenze, inevitabili, della capitalizzazione delle nostre esistenze.
* delegata Call Center, Unione Sindacale di Base (Napoli)
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