La crisi Stellantis sembra essere esplosa come una bomba ad orologeria, dopo le dimissioni “dorate” dell’amministratore delegato Carlos Tavares. Un secondo dopo sono scattati centinaia di licenziamenti nelle aziende dell’indotto, quasi a voler ricordare al Governo che l’unica strada che la multinazionale vuole percorrere per rimanere qui in Italia è quella degli incentivi.
Il Ministro Urso, si sta affannando a reperire nuove risorse e sembra che sul piatto sia già pronto per la manovra del Governo quello che viene già chiamato “L’emendamento Stellantis”, ovvero sia un ripristino dei fondi dedicati all’automotive che a detta dello stesso Ministro saranno però erogati sotto forma di sostegno agli investimenti nel settore e non sotto forma di incentivo.
La triste realtà però, come tutti sanno è che questa crisi non nasce sicuramente oggi, ma rappresenta un fallimento pesante sotto ogni aspetto. Da un’azienda che dal suo via ha fatto di tutto per relegare il nostro paese a fanalino di coda produttivo e tecnologico fino ad arrivare a scelte disastrose sul piano politico con Confindustria e Governi, compreso quello Meloni, che hanno assecondato ogni scelta e richiesta di Stellantis nonostante quest’ultima non desse nessun elemento reale di garanzia sulla volontà di impegnarsi nei confronti del nostro paese.
A padroni e Governo ora non resta altro che dare la colpa alla transizione ecologica, alla scadenza del 2035 per mettere al bando la produzione di veicoli con motore endotermico e già oggi in Europa l’unica strada che sembra esserci rimasta è quella della richiesta di anticipo a inizio 2025 dell’attivazione della clausola di revisione del regolamento europeo sulle emissioni di CO2 dei veicoli leggeri. Stessa strada – va ricordato – sembra essere intrapresa anche sul settore della siderurgia dove ci sarà una proposta analoga sul Cbam, il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere.
Oggi sembra impossibile prevedere altre scelte, in questo paese fino a qui è mancato tutto. In primis la capacità di indirizzare le politiche industriali in modo chiaro e inequivocabile sulla transizione ecologica, fatta solo a parole, mentre le aziende spartivano dividenti miliardari tra gli azionisti senza un euro di investimento nel nostro paese. Il “libero mercato” ha semplicemente coltivato gli interessi di pochi facendo venire meno quelli della collettività.
Il “libero mercato” è anche quello che ha anteposto il “War-Deal” al Green-Deal. I Governi Europei, Italia in testa, spostano tutte le risorse sull’economia di Guerra. I lavoratori di tutta Europa pagano già oggi non solo le reticenze europee sulla realizzazione degli obiettivi green, ma soprattutto alle oramai perduranti politiche di sostegno alla guerra, di corsa agli armamenti e potenziamento del settore militare.
USB ritiene che il Governo Meloni stia sbagliando del tutto ad assecondare il bellicismo Europeo.
Queste politiche stanno trascinando il nostro paese in un baratro recessivo peggiore anche di quello tedesco. In Germania nel 2024 le aziende più importanti (quelle incluse nella lista dei “Fortune 500”) hanno prodotto 80mila licenziamenti. Bosch, Thyssenkrupp, Deutsche Bahn, Siemens solo per citarne alcune a cui da ultimo si va ad aggiungere Volkswagen che apre un fronte pesantissimo di aggressione a decine di migliaia di posti di lavoro e anche ai diritti acquisiti dei lavoratori.
Il nostro paese rischia di avere impatti ben peggiori, che chiaramente non riguardano soltanto l’automotive, ma che interesserebbero tutti i settori strategici e le filiere. Automotive, Siderurgia, Elettrodomestico oggi vedono messi a rischio oltre centomila posti di lavoro diretti e indiretti, con gravi impatti su tutta la catena del valore connessa.
USB chiede al Governo un cambiamento radicale delle sue politiche, un intervento deciso e diretto nei settori industriali strategici e una chiara linea di indirizzo in merito la gestione delle transizioni. Quella ecologica non può essere messa in discussione, ma servono subito risposte in merito le politiche a tutela dell’occupazione dentro la transizione.
Confermiamo le nostre richieste già fatte al Governo, dove abbiamo indicato con chiarezza la necessità di un intervento sulle politiche sociali oltre che industriali.
Serve un piano di intervento straordinario sull’automotive, delle politiche di ripensamento della mobilità in funzione di quella sostenibile, sulla pianificazione delle infrastrutture, sulle politiche energetiche a tutela dei settori energivori, in particolare la Siderurgia.
La politica industriale che chiediamo è quella che indirizza le scelte delle aziende su investimenti, innovazione tecnologica e di prodotto, sulla transizione delle competenze delle lavoratrici e dei lavoratori.
Serve un ripensamento delle politiche contrattuali anche in funzione della tenuta industriale, perché senza i lavoratori non può esserci alcuna transizione. Chiediamo l’introduzione di nuovi ammortizzatori sociali per la transizione, integrati fino al 100% e l’introduzione della riduzione di orario a parità di salario.
Infine chiediamo di aumentare fortemente i salari. Siamo in un quadro dove un operaio non riesce a comprare l’auto che produce, con buona pace dell’aumento della domanda interna. 30 anni di guerra ai salari, di politiche salariali sbagliate e di complicità sindacale hanno portato i lavoratori e le lavoratrici ad essere sempre più poveri e senza diritti.
Da Acciaierie D’Italia a Stellantis, Da Marcegaglia a Piaggio: il 13 Dicembre la classe operaia sarà nuovamente in piazza per dire basta all’economia di guerra del Governo Meloni e per difendere l’industria di questo paese e l’occupazione.
SCIOPERO GENERALE e GENERALIZZATO!
Appuntamenti:
Roma ore 9.30 Piazzale Tiburtino
Milano ore 10.00 Porta Venezia
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Maurizio
la classe operaia va in piazza per non lasciarla più?
Redazione Roma
Al momento non dispone di molte alternative se non il conflitto