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Morti sul lavoro: the show must go on…

A pochi giorni dal 25° anniversario della strage della Mecnavi (il 13 marzo del 1987 morirono 13 operai in nero, soffocati mentre facevano manutenzione) nel porto di Ravenna un altro operaio ha perso la vita.

«Anche stavolta, come ogni volta che succedono incidenti sul lavoro i confederali ripropongono l’estensione del protocollo sulla sicurezza e questo fa indignare ancora di più proprio perché i confederali hanno un grande potere al Porto e gestiscono tutta l’organizzazione del lavoro, quindi appalti e interinali, e invece niente è stato fatto su questo. Per Daniele Morichini neanche uno sciopero». Daniele Morichini è l’operaio di 44 anni che ieri è morto nel porto di Ravenna a causa delle lesioni riportate in un incidente sul lavoro: l’uomo, dipendente di una ditta esterna, è rimasto schiacciato mentre stava scaricando delle pesanti tubature da un camion che si trovava all’interno di un piazzale della Bunge Italia spa – azienda specializzata nello stoccaggio di semi oleosi e cereali – di Porto Corsini. All’infortunio ha assistito un altro operaio, dipendente della cooperativa ravennate Cofari che, con un muletto, aiutava la vittima a scaricare le strutture metalliche destinate a incanalare nastri trasportatori per le granaglie. All’improvviso una tubatura di metallo pesante alcuni quintali è caduta trascinando la vittima che in quel momento era sul camion. L’uomo è morto dopo pochi minuti.

L’operaio era di Sezze, in provincia di Latina ed era dipendente della ditta ‘Ediltecno’.
Le solite parole di circostanza da parte dei sindacati e delle autorità cittadine e nessuno sciopero, come spesso accade dopo gli incidenti sul lavoro.
Da qui la proposta da parte dei Cobas di «una battaglia da fare in prima persona per fare pesare la difesa della vita degli operai perché l’attacco alla salute dei lavoratori è una guerra non dichiarata agli operai da parte dei padroni che dalla loro hanno leggi e governi».

Intanto non si placano le polemiche sulla morte dell’operaio Matteo Armellini travolto dal palco che stava montando a Reggio Calabria l’altro ieri. La procura di Reggio ha annunciato di essere in attesa di nuove informazioni da parte della squadra mobile della città prima di emettere le informazioni di garanzia per il crollo della struttura che avrebbe dovuto ospitare il concerto di Laura Pausini al Pala Calafiore. Per individuare le cause del crollo parziale della struttura, dicono i pm, serviranno alcune perizie tecniche e i risultati dell’autopsia sul corpo del giovane che è rimasto ucciso. Intanto la cantante ha deciso lo stop per due settimane all’Inedito World tour che quindi riprenderà il prossimo 18 marzo. Una scelta apprezzabile, commentano alcuni degli amici e dei conoscenti di Matteo, che non tutte le star avrebbero fatto. Ma è possibile che serva la morte di un giovane per riportare il problema della sicurezza nel mondo dello spettacolo al centro della riflessione? E’ possibile che gli artisti – si chiedono in molti – non conoscano le assurde e pericolosissime condizioni di lavoro in cui operano centianaia di operai impegnati negli allestimenti dei palchi e delle attrezzature? Eppure star, agenzie e case discografiche incassano ogni anni fior di milioni dai concerti dal vivo. Ma delle decine di euro che costa ogni biglietto pochissimi sono quelli che vanno agli stipendi di chi rende possibile gli eventi col proprio lavoro manuale e ancora meno alla sicurezza. The show must go on…?

Intanto invece di chiedere norme di sicurezza più stringenti, più controlli e pene certe e più alte per gli imprenditori che sgarrano il mondo dello spettacolo si produce in fantasiose quanto inutili se non offensive valutazioni.  Lo storico organizzatore del Primo Maggio, Marco Godano, ed il segretario nazionale della Filca-Cisl, Franco Turri, hanno proposto che il prossimo concertone di San Giovanni sia un’occasione per «mettere insieme i pensieri di promoter, organizzatori, produttori, costruttori e associazioni del settore come Assomusica, per vedere se può nascere un’idea di un protocollo di formazione e sicurezza che aiuti e innalzi gli standard della sicurezza sul lavoro». Da parte sua invece Eros Ramazzotti ha puntato il dito contro gli scarsi livelli di sicurezza delle strutture al Sud. E il diciannovenne che è morto a dicembre montando il palco di Trieste per il concerto di Jovanotti? Molti media non hanno perso tempo e stanno trasformando la tragedia di Reggio Calabria in un motivo aggiuntivo di pubblicità o addirittura di gossip per la Pausini.

I giornalisti potrebbero indagare su perchè Matteo Armellini ha perso la vita, su quali sono le condizioni in cui lavorano operai e addetti ai service o alle luci, su quanto prendono, o semplicemente sul dolore dei loro familiari e amici. Lo fanno, in parte, quasi solo quelli del Sole 24 Ore: «C’era un solaio sotto il parquet, c’era il vuoto per questo il pavimento ha ceduto, le torri sono crollate ed è venuto giù tutto». Parla a denti stretti un collega di Matteo Armellini. (…) «A Reggio è stato il pavimento che ha ceduto sutto il peso della struttura». Qualcosa, è evidente, in quest’ultima tragedia non quadra: le torri erano scariche: non c’erano appese casse o luci. Erano nude, pertanto molto più leggere rispetto al peso complessivo reale che normalmente sostengono. «Appunto – ripete il tecnico – è solo un esempio di come vengono dati i permessi per i concerti in strutture che sono inidonee ad ospitarli. Se un pavimento crolla i tecnici che stanno montando che responsabilità possono avere? Ho sentito che qualcuno ha già detto che la colpa è degli operai o dei tecnici inesperti. Ma quando mai? A Trieste ha ceduto una struttura, a Reggio Calabria, in un palazzetto che era stato anche chiuso per diverso tempo e che noi del settore sappiamo essere assolutamente inadatto a ospitare spettacoli. In Italia non è certo questo l’unico caso di stabili vecchi per i quali viene data l’agibilità».
Un esempio isolato, quello del Sole. Vuoi mettere quanto è meglio raccontare che la Pausini dedicherà i suoi prossimi concerti al povero ragazzo scomparso? 

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