Fuga fra le fiamme, gravi quattro operai della Lafumet
Mauro Ravarino
TORINO
Un’esplosione, poi un’altra e un’altra ancora. Un forte boato. E in pochi attimi una fiammata: l’incendio divampa nel capannone industriale di via don Eugenio Bruno a Villastellone, cintura sud di Torino. E’ il pomeriggio di ieri e un fumo nero si alza oltre la tangenziale. Brucia la Lafumet, azienda specializzata nel trattamento di rifiuti anche pericolosi (il claim è: «L’ecologia con le ali»). Dentro ci sono gli operai, molti di origine marocchina. Corrono, scappano, non tutti ce la fanno e vengono investiti dalle fiamme.
Quattro sono gravi. Vengono ricoverati d’urgenza al Cto. Sono Hassan Kharboche, 38 anni, Amed Badreddine, 42, Mustapha Ganfoudi, 47 e Becher Guizani, anche lui 47 anni. Sono tutti di origine marocchina e stavano lavorando su macchinari per il trattamento di materiale metallico. Hanno ustioni di secondo e terzo grado sul volto e su altre parti del corpo. Il più grave è Kharboche che ha ustioni sul 20 per cento del corpo. Tutti sono in prognosi riservata. Avrebbero respirato gas infuocato e c’è la paura che possano aver inalato sostanze tossiche. Al Cto è arrivato anche un quinto ferito, meno grave, Abdellah El Kamari, 38 anni. Ai medici ha raccontato che i suoi colleghi stavano lavorando a poche decine di metri da lui quando c’è stata una forte esplosione. I lavoratori di un altro reparto, dopo aver sentito gli scoppi, si sono diretti verso il magazzino prendendo le manichette antincendio: «Abbiamo tentato di domare le fiamme in attesa dei pompieri». Sono arrivati carabinieri, vigili del fuoco (quattordici squadre) e tante ambulanze del 118. Attimi lunghissimi per una Torino che ha rivissuto l’incubo della ThyssenKrupp, quella notte maledetta, tra il 5 e il 6 dicembre 2007, in cui morirono sette operai.
Il primo scoppio sarebbe avvenuto durante la compressione di alcuni recipienti nei quali era presente liquido infiammabile. L’area è sottoposta a sequestro: la Procura di Torino ha avviato un’inchiesta, il pm Raffaele Guariniello ha aperto un fascicolo per lesioni e disastro colposi, al momento contro ignoti. Alla Lafumet sono arrivati anche i tecnici dell’Arpa per le verifiche su un eventuale inquinamento ambientale. Fuori dallo stabilimento alcuni operai hanno indetto uno sciopero spontaneo, non tutti vi hanno partecipato. È alta la paura di perdere il posto. E tra la rabbia e le lacrime si fa largo uno sfogo: «Basta rischiare la vita per mille euro».
Ieri è stata una giornata drammatica. Iniziata male. Nella mattinata un operaio romeno di 37 anni, Gheoghita Remus Feghiu, è morto schiacciato dalla carcassa di un’auto che un suo collega stava spostando con una ruspa. Poi, il rogo alla Lafumet. L’azienda, dove lavorano circa ottanta dipendenti, era già stata teatro di un grave incendio in una notte del luglio 2003, fortunatamente senza feriti. Nata nel 1955, si occupava di recupero e bonifica di fusti metallici, poi ha sviluppato un’area di intervento più nel settore dell’ecologia, attualmente si occupa di depurazione reflui liquidi e gassosi, lavaggio e riutilizzo contenitori, trasporto rifiuti e bonifiche. «Sono venuto a sincerarmi sulle condizioni dei miei ragazzi, la cosa che mi interessa di più. Noi sulla sicurezza non abbiamo mai lesinato nulla», ha detto arrivando all’ospedale il titolare dell’azienda, Sergio Marchiaro.
Un’esplosione, poi un’altra e un’altra ancora. Un forte boato. E in pochi attimi una fiammata: l’incendio divampa nel capannone industriale di via don Eugenio Bruno a Villastellone, cintura sud di Torino. E’ il pomeriggio di ieri e un fumo nero si alza oltre la tangenziale. Brucia la Lafumet, azienda specializzata nel trattamento di rifiuti anche pericolosi (il claim è: «L’ecologia con le ali»). Dentro ci sono gli operai, molti di origine marocchina. Corrono, scappano, non tutti ce la fanno e vengono investiti dalle fiamme.
Quattro sono gravi. Vengono ricoverati d’urgenza al Cto. Sono Hassan Kharboche, 38 anni, Amed Badreddine, 42, Mustapha Ganfoudi, 47 e Becher Guizani, anche lui 47 anni. Sono tutti di origine marocchina e stavano lavorando su macchinari per il trattamento di materiale metallico. Hanno ustioni di secondo e terzo grado sul volto e su altre parti del corpo. Il più grave è Kharboche che ha ustioni sul 20 per cento del corpo. Tutti sono in prognosi riservata. Avrebbero respirato gas infuocato e c’è la paura che possano aver inalato sostanze tossiche. Al Cto è arrivato anche un quinto ferito, meno grave, Abdellah El Kamari, 38 anni. Ai medici ha raccontato che i suoi colleghi stavano lavorando a poche decine di metri da lui quando c’è stata una forte esplosione. I lavoratori di un altro reparto, dopo aver sentito gli scoppi, si sono diretti verso il magazzino prendendo le manichette antincendio: «Abbiamo tentato di domare le fiamme in attesa dei pompieri». Sono arrivati carabinieri, vigili del fuoco (quattordici squadre) e tante ambulanze del 118. Attimi lunghissimi per una Torino che ha rivissuto l’incubo della ThyssenKrupp, quella notte maledetta, tra il 5 e il 6 dicembre 2007, in cui morirono sette operai.
Il primo scoppio sarebbe avvenuto durante la compressione di alcuni recipienti nei quali era presente liquido infiammabile. L’area è sottoposta a sequestro: la Procura di Torino ha avviato un’inchiesta, il pm Raffaele Guariniello ha aperto un fascicolo per lesioni e disastro colposi, al momento contro ignoti. Alla Lafumet sono arrivati anche i tecnici dell’Arpa per le verifiche su un eventuale inquinamento ambientale. Fuori dallo stabilimento alcuni operai hanno indetto uno sciopero spontaneo, non tutti vi hanno partecipato. È alta la paura di perdere il posto. E tra la rabbia e le lacrime si fa largo uno sfogo: «Basta rischiare la vita per mille euro».
Ieri è stata una giornata drammatica. Iniziata male. Nella mattinata un operaio romeno di 37 anni, Gheoghita Remus Feghiu, è morto schiacciato dalla carcassa di un’auto che un suo collega stava spostando con una ruspa. Poi, il rogo alla Lafumet. L’azienda, dove lavorano circa ottanta dipendenti, era già stata teatro di un grave incendio in una notte del luglio 2003, fortunatamente senza feriti. Nata nel 1955, si occupava di recupero e bonifica di fusti metallici, poi ha sviluppato un’area di intervento più nel settore dell’ecologia, attualmente si occupa di depurazione reflui liquidi e gassosi, lavaggio e riutilizzo contenitori, trasporto rifiuti e bonifiche. «Sono venuto a sincerarmi sulle condizioni dei miei ragazzi, la cosa che mi interessa di più. Noi sulla sicurezza non abbiamo mai lesinato nulla», ha detto arrivando all’ospedale il titolare dell’azienda, Sergio Marchiaro.
da “il manifesto”
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