Un piccolo – anche se assai simbolico e poco concreto – atto di giustizia nella tragica e assurda vicenda che vede imputati alcuni funzionari, dirigenti e agenti di polizia accusati di aver avuto un qualche ruolo nella cosiddetta ‘macelleria messicana’ alla quale gli apparati di sicurezza dello Stato sottoposero manifestanti inermi e giornalisti nei giorni del G8 di Genova del 2001.
L’atto di giustizia – assai relativo, per carità – è venuto dalla pubblicazione delle motivazioni della sentenza con cui l’11 dicembre scorso la Corte di Cassazione ha confermato l’ordinanza con cui il tribunale di sorveglianza di Genova aveva negato la concessione dell’affidamento ai servizi sociali per l’ex capo dello Sco – Servizi Centrali Operativi – Gilberto Caldarozzi.
Secondo la Suprema Corte, che ha condannato l’ex superpoliziotto a 3 anni e 8 mesi di reclusione per le torture inflitte all’interno della scuola Diaz nel luglio del 2001, l’uomo non avrebbe avviato “nessuna «revisione critica» del proprio comportamento e delle proprie responsabilità” e avrebbe dimostrato “«Indifferenza» per un «atteggiamento riparatorio e risarcitorio in favore delle vittime»”.
Per di più, nel documento la Cassazione è tornata a sottolineare la «gravità estrema dei fatti contestati», «i fatti in sé considerati», tra cui «il pestaggio forsennato, di inaudita violenza e privo di alcuna ragione di inermi dimostranti colti nel sonno mentre si trovavano nel chiuso di un edificio scolastico». Nelle motivazioni che respingono il ricorso del Pg di Genova la Cassazione ha sottolineato la condotta di Caldarozzi, «dirigente di polizia, tutore della legge e della legalità che si presta a comportamenti illegali di copertura poliziesca propri dei peggiori regimi antidemocratici, in violazione di diritti fondamentali, di libertà, di tutela giudiziaria, della dignità della persona, riconosciuti in tutte le democrazie occidentali, nella nostra suprema carta e nella stessa Cedu».
La Cassazione ha quindi condiviso le conclusioni del tribunale di sorveglianza e, soprattutto, «la constatazione di una non apprezzabile predisposizione del condannato ad un ripensamento critico della sua condotta, dedotta dalla sua indifferenza rispetto a una prospettiva risarcitoria volontaria delle vittima, dalla lettura minimale delle sue responsabilità, dal rifiuto di esprimere pubblica ammenda per quanto accaduto in riferimento alle sue colpe».
Comunque Caldarozzi non deve preoccuparsi più di tanto, visto che in virtù del “decreto svuota carceri” dovrà scontare solo 8 mesi ma agli arresti domiciliari, visto che tre anni gli sono stati abbonati grazie all’indulto. Non farà neanche un giorno di galera, nonostante la gravità dei reati sottolineata dalla Suprema Corte e il «conseguente discredito internazionale caduto sul nostro Paese».
Contraddizioni italiche…
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