Oggi sul quotidiano La Repubblica c’è un’intervista di Carlo Bonini al Prefetto di Roma Pecoraro, sull’atteggiamento tenuto dalla polizia negli scontri di sabato e nello sgombero di ieri di una occupazione di case a Roma. Alcune risposte, come dire, lasciano basiti. In particolare perchè l’intervista è stata fatta avendo a disposizione anche le notizie dello sgombero delle case occupate alla Montagnola, dove le manganellate hanno spaccato teste, braccia e gambe. In questo secondo caso è decisamente impossibile trincerarsi dietro il pretesto che i manifestanti fossero lì con i caschi o con strumenti atti a offendere. Eppure la “regola d’ingaggio” non è stata affatto diversa e i feriti sono lì a dimostrarlo.
In particolare ci colpiscono, nell’intervista al Prefetto Pecoraro, tre risposte.
La prima quando parla di “comportamento inspiegabile” da parte dell’agente di polizia (diventato ormai un artificiere) che calpesta una ragazza a terra. Il capo della polizia Pansa era stato, almeno su questo, più chiaro definendolo un cretino (non sappiamo se perché l’agente l’ha fatto o perché l’ha fatto davanti alle telecamere).
La seconda è quando legittima questi comportamenti sulla base della frenesia e della frustrazione degli agenti. Obiettivamente, questa categoria dell’anima non può essere circoscritta solo agli agenti. La frustrazione sta diventando qualcosa di molto più profondo, pesante e malefico in settori sempre più ampi della società sottoposti a traumi come lo sfratto, la perdita del lavoro, la difficoltà a curarsi, spesso la totale incertezza sul futuro. In secondo luogo i 1.200 euro al mese, che sono pochi per tutti, agenti e non agenti, stanno diventando un miraggio per gran parte delle nuove leve del lavoro salariato ed anche di quello autonomo. Dunque se questi sono i parametri che giustificano “comportamenti inspiegabili” possiamo affermare tranquillamente che chi scende in piazza in questa fase storica avrebbe motivi in abbondanza per rompere le regole.
La terza è l’allusione allo “scambio”: noi introduciamo i codici di identificazione degli agenti (come avviene già negli altri paesi, NdR) e i manifestanti non si portano più i caschi nei cortei. Un ragionamento che potrebbe avere una sua ragione su eventuali strumenti offensivi, ma un casco ha una funzione meramente protettiva generalmente riconosciuta (altrimenti perchè sarebbe obbligatorio per andare anche su motorini di piccola cilindrata? NdR). Insomma chiedere ai manifestanti di essere anche volontariamente carne da macello e da manganello appare uno scambio decisamente inuguale.
Viene da sé che le spiegazioni offerte dal Prefetto Pecoraro appaiono quantomeno poco plausibili nel contesto di ciò che continuiamo a vedere nelle piazze e nelle strade del nostro paese. Qui di seguito il testo dell’intervista rilasciata a Carlo Bonini.
Da La Repubblica di oggi
Il prefetto di Roma: “Ora basta, sono i poliziotti le vere vittime”
Il Prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, la declina quale premessa a scanso di diplomazie: «Ho un’età e un’esperienza che mi consentono di dire quello che penso». E dunque: «La gestione della piazza, che mi ha visto insieme al questore responsabile dell’ordine pubblico, è stata un successo»
Un successo?
«SÌ. Un successo. E sfido chiunque a dimostrare il contrario. Non ci sono stati danneggiamenti significativi, abbiamo difeso i luoghi istituzionali, è stato consentito lo svolgimento della manifestazione, è stata contenuta e respinta la provocazione dei violenti evitando che la situazione degenerasse. Se qualcuno avesse avuto l’onestà intellettuale di raccontarlo, avrebbe notato che di fronte al lancio di bombe carta e di poliziotti feriti, si sono evitate le cosiddette cariche profonde in punti che avrebbero messo a repentaglio l’incolumità di migliaia di manifestanti».
Le immagini di quella manifestazione, a cominciare da quella dell’artificiere che calpesta la ragazza in terra, documentano altro. Come dicono altro le immagini del reparto che si accanisce su un manifestante inerme.
«Siamo seri. Davvero vogliamo giudicare quello che è accaduto in piazza da quei fotogrammi? Davvero vogliamo riflettere sull’ordine pubblico facendo un taglia e incolla di immagini? Perché non ci chiediamo cosa è accaduto prima di quella carica? O perché quell’artificiere si abbandoni a un uso abnorne della forza?».
Questo lo vorrei sapere da lei. È un fatto che per quelle immagini il Capo della Polizia ha chiesto scusa, definendo il comportamento dell’artificiere degno di «un cretino».
«Io userei un’altra parola».
Non “cretino”?
«Io direi che il comportamento di quell’artificiere è apparentemente inspiegabile ».
Suona pilatesco e un po’ corporativo, non trova?
«Al contrario. Io credo che se ci interroghiamo sul perché quell’artificiere era dove non doveva stare e ha fatto quel che le immagini mostrano e che non doveva fare, magari ci avviciniamo a una possibile soluzione».
Perché lo ha fatto, dunque?
«Forse per dare una mano ai suoi colleghi. Per la frenesia e la frustrazione di chi, improvvisamente, si sente bersaglio alla mercé di chi, i manifestanti, è chiamato a tutelare. Non voglio essere retorico. Ma provi a immaginare. Per 1.200 euro al mese, lei è per strada per difendere il diritto di manifestare di qualcuno che, al contrario, la battezza come bersaglio simbolico della sua personale guerra. Succede in piazza, succede allo stadio… ».
È successo anche ieri alla Montagnola. Possibile che in uno sgombero debbano volare quel genere di mazzate e si debba spaccare per forza qualche testa? O che, per tornare a sabato scorso, dei poliziotti debbano apostrofare chi manifesta — come riferisce la ragazza calpestata — «siete gente di merda »?
«Io che dei poliziotti abbiano detto a chi manifestava “siete gente di merda” non ci credo. Quanto alla Montagnola, io e il questore stamattina (ieri, ndr) eravamo qui in Prefettura uno accanto all’altro quando siamo stati messi in contatto con chi operava di fronte a quello stabile. È stato cercato in ogni modo il dialogo. Senza contare che è da quindici giorni che gli occupanti sapevano che esisteva un provvedimento della magistratura di sgombero a cui la polizia doveva dare esecuzione. Ora, cosa bisogna fare se qualcuno decide di impedire che quell’ordine venga eseguito? E se per impedirlo accade che vengano tirati oggetti di ogni tipo dall’alto, addirittura lanciati segnali stradali? Siamo o no in uno Stato di diritto?».
In uno Stato di diritto, lo Stato ha il monopolio della forza ma non ne deve fare un uso proporzionato. E la frustrazione non è un’esimente.
«Non c’è alcun dubbio. Ma se vogliamo trovare un punto di equilibrio noi dobbiamo considerare il quadro e le dinamiche della piazza nel loro complesso».
Questo è l’argomento con cui da anni viene bloccata la proposta di introdurre un codice “alfanumerico” che consenta di identificare i poliziotti in ordine pubblico. Si dice: a manifestante travisato, poliziotto anonimo e altrettanto travisato. È un po’ come dire “a brigante, brigante e mezzo”. E così, la strada diventa la terra di nessuno e la violenza un dato accettato.
«Io dico un’altra cosa. Io dico, benissimo, introduciamo pure il codice identificativo, ma, contestualmente, introduciamo norme che regolamentino il diritto costituzionale di manifestare. Lo abbiamo fatto per il diritto di sciopero, perché non possiamo farlo per quello di manifestare? Le sembra ragionevole che l’ordine pubblico sia ancora disciplinato dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del periodo fascista? O che il giorno prima della manifestazione di Roma io e il questore ci siamo ritrovati a fare un sopralluogo lungo il tragitto del corteo neanche fossimo due generali che pianificano una battaglia campale? E le dico di più. La Costituzione va letta tutta. Esiste il diritto di libera manifestazione del pensiero. Ma esiste anche il diritto all’integrità di quei lavoratori, i poliziotti, che sono lì proprio per garantire un pacifico godimento dei diritti costituzionali di tutti. Se si accetta questo scambio, le regole di ingaggio saranno chiare e non ci saranno più alibi. Né per quei pochissimi poliziotti che violano le regole e saranno facilmente identificabili, né per chi sa che, oggi, andare a una manifestazione con il casco integrale allacciato alla cinta o sfilare con un passamontagna e una spranga in pugno non ha di fatto nessuna conseguenza».
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