L’attesa sentenza del processo d’appello per la morte di Massimo Casalnuovo, il ragazzo morto il 20 agosto del 2011 ad un posto di blocco dei carabinieri a Buonabitacolo (provincia di Salerno), è arrivata oggi poco prima delle 13.30.
La corte d’Assise di Potenza ha condannato il maresciallo dei carabinieri Giovanni Cunsolo a 4 anni e mezzo di carcere, oltre che all’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici, riconoscendolo colpevole per reato di omicidio preterintenzionale. Una decisione, quella della corte presieduta dal giudice Pasquale Autera, che ribalta la sentenza di primo grado, quando il maresciallo Cunsolo venne assolto – era il 5 luglio del 2013 – perché “il fatto non sussisteva”.
L’ufficiale dei Carabinieri, il cui legale ha già annunciato il ricorso in Cassazione, ha beneficiato comunque della concessione delle attenuanti generiche, e del conseguente sconto di pena. Fu lui, ha riconosciuto la corte, a dare un calcio al motorino guidato dal giovane Massimo Casalnuovo nel corso di un controllo, un calcio sferrato con tanta forza che causò la caduta del fermato e la sua morte.
A ricostruire l’accaduto una scheda diffusa nei giorni scorsi dall’Associazione Acad: “Il ragazzo viaggiava su uno scooter, era senza casco ma attenzione non è morto per aver sbattuto la testa (come si tende a far credere) ma per la violenta botta al torace. Massimo era appena uscito dall’officina in cui lavorava con il padre, non prendeva il motorino da un po’ di tempo. Lo aveva appena aggiustato. Era stato a fare un giro e stava tornando a casa. Non aveva indossato il casco. Lo fanno un po’ tutti a Buonabitacolo. Quella sera la pattuglia dei carabinieri con a bordo il maresciallo Giovanni Cunsolo e l’appuntato Luca Chirichella decide di controllare i ragazzi senza casco, ne fermano due: Elia Marchesano e Emilio Risi. I carabinieri mettono la macchina di traverso sulla strada e formano una specie di posto di blocco. Peccato che lo facciano dietro una curva. La “scena” si svolge sulla strada principale della città, via Grancia, che porta a una piccola piazza dove di sera si ritrova la gente del paese. Cunsolo è seduto dentro la gazzella e sta redigendo la contravvenzione. Massimo sta arrivando con il suo scooter Beta 50. Sin dal primo momento la versione dei due ragazzi fermati e quella del carabiniere sono opposte. Cunsolo dirà che Massimo, arrivato davanti al “posto di blocco”, accelera, quasi lo investe. Poi perde il controllo del ciclomotore e cade battendo la testa su un muretto a secco. I due ragazzi, interrogati la notte dell’“incidente” dal pm Sessa della Procura di Sala Consilina, hanno invece fornito un’altra versione: Cunsolo era dentro alla macchina, quando vede arrivare Massimo esce dall’auto e per fermarlo sferra un calcio sulla carena del motorino. E’ quel calcio che fa perdere l’equilibrio a Massimo che cade, e muore”.
Il calcio sferrato dall’ufficiale dei Carabinieri era così forte che – ha testimoniato un agente della Polizia stradale di Sala Consilina – ha stampato un’orma sul sellino del veicolo ed ha sfondato la scocca dello scooter guidato dalla vittima.
A distanza di alcuni anni l’abuso di potere è stato riconosciuto dal tribunale di Potenza, suscitando la soddisfazione dei familiari supportati da alcune decine di abitanti di Buonabitacolo e di esponenti dell’associazionismo che in questi anni ha sostenuto la battaglia di verità sulla vicenda che come al solito rischiava di chiudersi senza colpevoli anche grazie alla complicità di alcune istituzioni dello stato. A partire dalla conduzione del rapido processo di primo grado.
Poi il nuovo processo ha fatto luce sulla reale dinamica dei fatti, tanto che mercoledì scorso l’accusa formalizzata precedentemente nei confronti del Maresciallo Cunsolo – cioè omicidio colposo per eccesso di dovere – è stata trasformata nel più grave omicidio preterintenzionale.
L’Avvocato Cristiano Sandri, legale della famiglia Casalnuovo e fratello di un’altra vittima di Malapolizia, il romano Gabriele Sandri (ucciso da un colpo di pistola sparato dall’agente Luigi Spaccarotella l’11 novembre del 2007 in una stazione di servizio in provincia di Arezzo) ha così commentato la sentenza della Corte d’Assise di Potenza: “Oggi la Corte ha ristabilito unicamente la verità su quello che è successo quella tragica sera dell’agosto del 2011. Non c’è nulla da essere felici, ma credo che un principio di verità è stato affermato”.
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