La sfiducia dei numeri
di Roberto Napoletano
Guai se l’Italia diventa lo ‘Stato da vendere’, abbiamo scritto dalle colonne di questo giornale sabato 30 luglio. Purtroppo è accaduto, anzi è successo di peggio: è dovuta intervenire la Bce perché siamo diventati lo ‘Stato da vendere’, ma scarseggiano i compratori. Per capire come stanno davvero le cose basta pensare che a fine giugno, dopo l’outlook negativo di Standard & Poors e l’avviso di declassamento di Moody’s, il nostro spread con i titoli pubblici tedeschi era di 200 punti.
Oggi siamo poco sotto i 400 e abbiamo dovuto collocare i titoli di Stato a 5 anni a un rendimento del 5,60%, quasi un punto in più dei corrispondenti titoli spagnoli. Nel frattempo si è visto di tutto: prima si è detto che l’emergenza non c’era, poi si è riscritta più volte la stessa manovra, sono entrati e usciti i tagli ai costi della politica, è uscito e poi rientrato (modificato) il contributo di solidarietà, si è inseguito come la terra promessa (fino a trovarla) un punto di Iva in più che avrebbe dovuto finanziare a nostro avviso la riduzione dei prelievi contributivi e fiscali su imprese e lavoratori ed è, invece, finito a dare manforte a saldi e coperture. Ne è nato un articolato pesante che vale 54 miliardi dove quasi due terzi sono nuove entrate e il restante terzo tagli alla spesa, e dove non c’è (grave miopia) pressoché nulla per la crescita. Abbiamo deciso di dedicare un numero monografico alla nuova manovra per dare ai lettori uno strumento prezioso per capire e proseguiremo, giorno dopo giorno, con 15 monografie perché l’entità di prelievi e tagli è così rilevante da incidere in profondità sui redditi e la vita stessa dei contribuenti.
Detto questo, però, corre l’obbligo di segnalare che l’Italia, la nostra cara Italia, ha bisogno di un sussulto etico e di un’assunzione piena di responsabilità (fino alle estreme conseguenze) della sua intera classe dirigente aggredendo e sciogliendo il nodo della credibilità che è più diffuso di quanto si pensi ma tocca in primis la classe politica e, specificamente, la classe di governo e la sua capacità di azione. Nulla nuoce di più a questo Paese dei mille giochetti sulla manovra e dei segnali ormai quotidiani di imbarbarimento del confronto politico e di decoro violato delle istituzioni. Sullo sfondo di un’inchiesta giudiziaria al giorno e uno scontro evidente tra poteri dello Stato e al loro interno. L’Italia vuole che ci si occupi del lavoro e del risparmio dei suoi cittadini e si attui ogni sforzo possibile per affiancare all’imprescindibile rigore l’altrettanto imprescindibile azione diretta a sostenere la crescita. La sufficienza con cui per troppo tempo si è liquidata la questione («non la può fare il Governo per decreto») misura alla perfezione il guado nel quale il Paese è precipitato e rischia di aprire un fossato tutto italiano dentro la crisi globale gravissima di suo. Il tempo è scaduto, non è più consentito girarsi dall’altra parte mentre monta la rabbia del Paese. Servono scelte condivise di lunga durata che coniughino sacrifici, equità e stimoli concreti alla crescita. L’onore (e l’onere) di rappresentare questo Paese esigono visione, serietà e serenità. A nessuno può essere consentito di ‘giocare’ oltre con il futuro dell’Italia.
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Confindustria taglia le stime sul Pil: +0,7% nel 2011, +0,2% nel 2012. Pressione fiscale record
di Nicoletta Cottone
Zavorre, ostacoli, pericoli remano contro il radicamento della ripresa. L’Italia soffre, ormai da qualche decennio, “il mal di lenta crescita”. E «questo male – sottolinea il Centro Studi di Confindustria – va aggredito con una terapia d’urto, uno short sharp shock. Pochi occupati, poca crescita, è la denuncia del rapporto del Centro Studi di Confindustria, presentato nel corso del seminario su occupazione e crescita, che si svolge in viale dell’Astronomia, alla presenza della presidente Emma Marcegaglia, e del direttore Generale, Giampaolo Galli. Confindustria rivede al ribasso le stime di crescita che, oltre a risentire delle pur «indispensabili e senza alternative manovre per raddrizzare rapidamente i conti pubblici» sono condizionate anche dalla «frenata globale e dall’instabilità dei mercati finanziari, esacerbata anche dalla grave crisi dei debiti sovrani dell’Eurozona».
Una terapia d’urto contro il “mal di lenta crescita”
L’Italia soffre, ormai da qualche decennio, “il mal di lenta crescita”. E «questo male va aggredito con una terapia d’urto, uno short sharp shock». Il Centro Studi di Confindustria torna a sollecitare il governo sul fronte delle riforme necessarie per invertire la rotta. “Agendo contemporaneamente su un insieme di fronti, il Pil – assicura il Csc – può aumentare di decine di punti percentuali in un arco di tempo ragionevole”.
Pressione fiscale record nel 2012: salirà al 44,1%
Pressione fiscale record nel 2012 anche per effetto della manovra bis. Secondo il Centro studi di Confindustria quest’anno la pressione fiscale raggiungerà il 42,8% e l’anno prossimo salirà al 44,1%, oltre il massimo storico del 43,7% toccato nel 1997 per l’entrata nell’euro.
Allarme occupazione: 729 mila posti in meno in 5 anni
Il 2012 si chiuderà con 729mila unità di lavoro in meno rispetto al 2007. A lanciare l’allarme è il Centro Studi di Confindustria sottolineando che il tasso di disoccupazione si attesterà all’8,2% nel 2011 e all’8,3% nel 2012. “Il problema di questa crisi – sottolinea il direttore del Csc, Luca Paolazzi – è che la disoccupazione tende a diventare strutturale”.
Pil in calo nel 2011
Gli industriali prevedono quindi una crescita del prodotto interno lordo nel 2011 pari allo 0,7%, rispetto alla stima di giugno di un rialzo dello 0,9%. Nel 2012 la crescita dovrebbe addirittuta ridursi allo 0,2%, a confronto con il progresso dell’1,1% previsto tre mesi fa. La situazione, però, come ha spiegato il direttore del centro studi di Confindustria, Luca Paolazzi, illustrando le stime contenute nei consueti scenari economici, “potrebbe migliorare mettendo in campo le riforme”. Gli industriali, infatti, stimano che con le riforme e lo sblocco degli investimenti il Pil potrebbe crescere dell’1,5% nel 2012 e di un altro punto percentuale nel 2013. Al momento, in ogni caso – spiegano a viale dell’Astronomia – “sul 2012 incidono gli effetti di tre manovre (quella varata nel 2010 e quelle di luglio e agosto) per complessivi 38,4 miliardi di euro, di cui 25,4 miliardi non conosciuti a giugno. Questi ultimi, comunque, hanno un impatto negativo inferiore al punto percentuale. L’impatto della recessione sull’economia italiana – spiegano gli industriali – é stato il più ampio tra i paesi industrializzati: -6,9% di pil tra il picco nel primo trimestre del 2008 e il minimo toccato nel secondo del 2009”.
L’inflazione scenderà al 2% nel 2012
L’inflazione misurata con i prezzi al consumo scenderá dal 2,7% nel 2011 al 2% nel 2012. Le retribuzioni, sottolinea il Centro studi di Confindustria, difendono il potere d’acquisto, che non può essere aumentato in assenza di significativi guadagni di produttivitá.
Zavorre, ostacoli e pericoli remano contro il radicamento della ripresa
Nel quarto anniversario della crisi finanziaria, infatti, lo scenario economico globale è sensibilmente peggiorato. E l’Italia ha anticipato e accentuato la frenata internazionale. Incidono zavorre, ostacoli, pericoli: il credito è sempre più selettivo, la disoccupazione è elevata, c’è la crisi irrisolta dei debiti sovrani, il caro energia, il costo del denaro in aumento, la fragilità dei mercati immobiliari, l’eccesso di capacità produttiva a livello mondiale in molti comparti, che impone una ristrutturazione. Tutti fattori, spiega lo studio coordinato da Luca Paolazzi, «che remano contro il radicamento della ripresa».
Crollano i consumi delle famiglie
Crollano i consumi delle famiglie italiane. Nel 2011 risultano pari allo 0,7% e nel 2011 scendono allo 0,1%. A prevederlo è il Centro Studi di Confindustria sottolineando che tale andamento porterà le famiglie ad “abbassare ulteriormente la già notevolmente intaccata capacità di risparmio” in quanto il reddito disponibile peggiora in termini reali: -0,8% nel 2011 e -1,1% nel 2012.
Circolo vizioso fra bassa crescita e bassa occupazione
L’exit strategy dagli elevati deficit di bilancio ha, stando alle parole dell’FMI, come effetto di breve periodo, la riduzione della produzione e l’innalzamento della disoccupazione, soprattutto se il risanamento dei conti pubblici avviene con maggiori imposte. C’è un circolo vizioso fra bassa crescita e bassa occupazione. «Senza una ripresa più sostenuta non si crea un numero adeguato di nuovi posti di lavoro», sottolinea il rapporto. E senza i nuovi posti di lavoro «non ripartono i consumi e la ripresa non si consolida».
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