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Un nuovo Modello di “Difesa” tutto patria e precarietà

Quando la crisi dei debiti sovrani, delle banche e dell’euro, segna i limiti di una crescita alimentata dall’indebitamento, i novelli tecnocrati pedagoghi Giorgio Napolitano e Mario Monti rispolverano il sentimento del patriottismo affinché tutti i cittadini sopportino i sacrifici senza creare conflitti: Il debito non è semplicemente un dispositivo economico, è anche, e soprattutto, una tecnica di governo e di controllo delle soggettività individuali e collettive*.

Nella sua breve tappa nella Base di Shaama in Libano, sede del quartier generale del Settore Ovest di UNIFIL, il premier italiano Mario Monti ha rassicurato i soldati italiani che “tutti gli italiani, in Patria e all’estero, sono uniti dall’aggettivo ‘italiano’ e voi contribuite in modo significativo alla quotazione dell’aggettivo ‘italiano’. Siete l’orgoglio del Paese”.

Se la crisi morde anche le forze armate, anche la Difesa deve dotarsi di un nuovo modello con meno generali e sempre più giovani precari, più operatività e tecnologia. “Responsabile” è termine che fa da filo conduttore del progetto di legge delega per la revisione dello strumento militare nazionale. Il testo è stato presentato dal ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, l’ammiraglio che aveva sposato appieno la strategia imperiale di George W. Bush del 2002 della guerra preventiva, quella che ha aumentato i rischi di instabilità mondiale, la proliferazione delle armi convenzionali e non, e smantellato le conquiste progressiste strappate dalle lotte popolari nel corso del XX secolo.
Punti salienti della riforma sono: l’introduzione di forme di flessibilità della programmazione finanziaria; una graduale revisione numerica del personale militare e civile che, nel lungo periodo (2024), ha l’obiettivo di ridurre il personale militare a 150 mila unità ed a 20 mila unità quello civile; un riordino complessivo dell’assetto organizzativo del Ministero della Difesa; una rimodulazione dei programmi di ammodernamento tecnologico.
http://www.difesa.it/Sala_Stampa/rassegna_stampa_online/Pagine/PdfNavigator.aspx?d=12-04-2012&;pdfIndex=11

Sono passati dieci anni da quando nel 2002, durante un convegno nell’aula Montezemolo del Centro Alti Studi della Difesa, Lelio Lagorio, ministro della difesa negli anni ottanta, si domandava se l’Italia fosse una media potenza, se avesse il rango economico, finanziario, politico, strategico, militare e morale. L’Italia doveva garantirsi la sicurezza attraverso un salto tecnologico e più attivismo in politica estera, elaborare una sua strategia indipendente ma integrata con la NATO, difendere il proprio personale militare e pensare di integrare a livello internazionale l’industria per la difesa (dallo scudo stellare all’F-35).
Qual è stata la formula tutta italiana vantata e apprezzata all’estero? Quella ”integrata”che sa collegare la dimensione militare con quella civile, e il sostegno alla popolazione locale.
Con il connubio fattivo tra componente militare e civile, la guerra è diventata un sostrato sociale permanente, il paradigma che costituisce la politica percorrendo ogni aspetto della vita sociale. La frenesia del patriottismo e del militarismo fa si che venga esaltato l’articolo 52 della Costituzione per cui “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”.
Ma se di fatto vi è stata una trasformazione del concetto di difesa in quello di sicurezza e prevenzione attiva (sia dentro che fuori i confini nazionali), allora si deve pensare che il vero obiettivo sia lo stravolgimento dell’articolo 11 che recita “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Secondo il modello di Difesa italiano l’Italia deve essere integrata nell’esercito dell’Alleanza Atlantica (quello europeo non è ancora una vera realtà), deve essere preparata con reparti leggeri, di rapido impiego e dotati di armi e servizi tecnologicamente avanzati, e deve avere chiari gli obiettivi dei conflitti (esterni ed interni).
Insomma deve difendere determinati interessi e comportarsi da “gendarme della democrazia” attuando la pluri-sperimentata strategia dell’inganno e della disinformazione generalizzata.

Sul fronte pacifista e antimilitarista, il documento “Un modello alternativo di difesa?”, sebbene sia stato realizzato in un diverso contesto storico, contiene una proposta di J. Galtung sul “transarmo” che si può ritenere ancora attuale. Galtung mostra come la sicurezza di un paese sia in funzione non della potenza del dispositivo militare, bensì: a) della credibilità del paese stesso come Stato non-aggressivo sul piano internazionale; b) della capacità di difendersi di fronte ad un’eventuale aggressione esterna.
http://www.dispes.units.it/gdz/relint/DZ87_Moddif.pdf

Il documento è stato redatto al tempo della guerra fredda, tuttavia c’è da notare che la NATO (Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord) è sopravvissuta al Patto o Trattato di Varsavia (sciolto nel luglio 1991) sebbene, come ammette il generale Carlo Jean docente di studi strategici presso la LUISS, con la caduta del muro di Berlino abbia perso il suo nemico e la sua ragione sociale, cioè la difesa degli Stati membri della regione del Nord Atlantico contro la minaccia sovietica. Pur di non scomparire, la NATO ha cambiato il suo ruolo passando da compiti di dissuasione ad interventi fuori area, e ha ammesso nella sua area gli Stati dell’Europa centro-orientali e quelli Baltici. La dispendiosa organizzazione è diventa una macchina distruttrice di denaro pubblico per il mantenimento di uno stato di guerra permanente. Secondo il segretario generale Rasmussen sarebbe necessaria una “nuova cultura” di collaborazione all’interno della Nato, e ha chiesto ai membri dell’alleanza di approvare collettivamente i propri progetti di difesa. Tale richiesta è stata fatta durante una riunione dei ministri degli esteri e della difesa a Bruxelles, avvenuta in preparazione del vertice di maggio della NATO. La NATO ha bisogno di una nuova flotta di aerei superiori ai Global Hawk (costo 1,2 miliardi di euro), da schierare a Sigonella e capaci di soddisfare le guerre moderne.

Era necessario che la revisione dello strumento militare italiano dovesse servire solo a ridurre i dipendenti della Difesa di 40mila unità entro il 2024, ma dovesse riequilibrare le risorse da destinare al settore fissando il 50% al personale, il 25% al funzionamento e il 25% agli investimenti.
Si doveva dare più importanza all’addestramento, all’aggiornamento sulle tattiche e dottrine per i combattimenti urbani e la controguerriglia (vedi ultime guerre), e puntare sull’ammodernamento tecnologico.

Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute http://www.sipri.org/research/armaments/milex che supervisiona il traffico d’armi internazionale e i piani di riduzione degli arsenali bellici, la spesa militare a livello mondiale avrebbe subito un rallentamento a causa del lieve calo degli Stati Uniti. Per l’istituto svedese è probabile che il “rapido aumento degli ultimi dieci anni sia per ora finito”, mentre calcola che i paesi di tutto il mondo avrebbero speso per le loro forze armate 1.738 miliardi di dollari in tutto il 2011. Bisogna ricordare però che negli Stati Uniti la spesa totale nel 2011 è stata di 711 miliardi, e nel 2010 le spese per la difesa americana e sicurezza nazionale sono state il doppio di quelle delle amministrazioni Ford e Carter negli anni Settanta.

L’holding italiana Finmeccanica, maggiore gruppo industriale hi-tech italiano e principale fornitore di armi dell governo, è passata dalla nona all’ottava posizione nel ranking dei maggiori produttori di armi da guerra nel 2010. L’azienda, che ha costituito decine di joint venture in Europa e nel resto del mondo, sebbene continui ad incamerare nuovi contratti, ha un passivo di 2,3 miliardi. L’azienda vuol recuperare il debito attraverso una riorganizzazione del gruppo (licenziamenti e fusione settore elettronica) e la cessione degli asset civili (comparto trasporti ed energia).
Ciò significherebbe una sua concentrazione solo sul militare e sullo spazio. E’ evidente che una decisione di questo tipo richiede un forte supporto dello Stato, una buona capacità competitiva, e che la minaccia di attività terroristiche sia continuamente alimentata insieme a quella della proliferazione di armi convenzionali e non convenzionali.

In un periodo di forte crisi economica e finanziaria, e soprattutto in presenza di una incapacità di competere delle imprese italiane, sarebbe più opportuno che il governo finanziasse la ricerca e lo sviluppo di settori non colpiti da crisi di sovrapproduzione e competitività (energie rinnovabili, efficienza energetica, agricoltura sostenibile, riassetto idrogeologico del territorio, cultura intesa come millenario accumulo di civiltà).

La crisi non segna solo i limiti di un modello di crescita alimentato dall’indebitamento finanziario (il debito dello Stato cresce anche grazie alle spese militari), ma intacca i rapporti economici e politici in vari settori, soprattutto quello militare. Secondo l’economista William Niskanen, il bene pubblico “difesa” deve essere inserito come altri beni pubblici, nei bilanci dei singoli stati sovrani. La “difesa” come bene pubblico è una distorsione che solo i paladini dell’oligarchia finanziaria possono concepire.

E’ stupefacente che una certa politica istituzionale, in presenza di una pesante situazione di precarietà e disoccupazione, nel momento in cui è urgente porsi domande tipo cosa produciamo e per quali bisogni individuali e collettivi, chieda a Monti di risolvere i problemi del settore aerospaziale italiano (come se non fosse già abbondantemente protetta):
“il settore aerospaziale è considerato strategico nelle nazioni caratterizzate da apparati produttivi ad alta tecnologia per motivi legati al suo diretto rapporto con la necessità di dotarsi di apparati di sicurezza e difesa tecnologicamente sofisticati…” http://parlamento.openpolis.it/atto/documento/id/78927

In realtà questo governo sta operando in maniera piuttosto subdola, e forse i politici non se ne accorgono, in varie direzioni per finanziare Finmeccanica e facilitare l’export di armi.
“Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”
http://www.camera.it/Camera/view/doc_viewer_full?url=http%3A//documenti.camera.it/_dati/leg16/lavori/bollet/201204/0418/pdf/0304.pdf&;back_to=http%3A//www.camera.it/210%3FslAnnoMese%3D201204%26slGiorno%3D18

“Benché la legge 185/1990 fosse sostanzialmente in linea con i criteri valutativi stabiliti dal Codice di condotta europeo- anche, se ovviamente, non poteva conoscere i futuri sviluppi sulle prescrizioni europee in materia di evidenza pubblica – secondo il Governo si tratta di una legge che risente delle mutate condizioni geopolitiche e del “forte aumento dell’interscambio di sottosistemi e componenti militari e dei programmi di collaborazione intergovernativa13 per lo sviluppo e la produzione di equipaggiamenti per la difesa”, per cui le stesse modifiche “hanno toccato la norma solo in alcuni limitati aspetti, rimanendo
quest’ultima sostanzialmente inadeguata al nuovo assetto comunitario”
http://www.senato.it/documenti/repository/dossier/studi/2012/Dossier_345.pdf

Già nel mese di marzo il governo aveva dato il via libera al decreto sui poteri speciali del Tesoro in caso di scalata delle aziende strategiche, la cosiddetta “Golden share”. Il decreto distingue due ambiti di intervento, e decide che il governo potrà intervenire “in caso di minaccia effettiva di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza”. Nel primo ambito, quello della difesa e della sicurezza dove operano ad esempio Finmeccanica e le sue controllate, può imporre specifiche condizioni all’ ingresso di nuovi soci, bloccare le delibere assembleari che prevedano ad esempio una scissione, la cessione di partecipazioni, la modifica dell’ oggetto sociale, oppure vietare tout court l’acquisto di quote societarie (con il congelamento dei diritti di voto e l’obbligo di dismettere la partecipazione entro un anno). Il secondo ambito riguarda i settori dell’ energia, delle comunicazioni e dei trasporti, dove operano società pubbliche come Enel, Terna, Eni, Snam, Ferrovie; e private, come Alitalia e Telecom. In questi casi i poteri speciali del governo possono essere esercitati solo nei confronti di soci non europei, e solo a fronte di alcuni presupposti, come la presenza di legami con la criminalità organizzata, la mancata garanzia di continuità degli approvvigionamenti oppure la tutela della concorrenza sui mercati.

Altro caso è quello di Avio, azienda privata che produce parti di motori per aerei (EFA, F-35, Airbus 400M) e razzi spaziali (lanciatore VEGA) di cui Finmeccanica è socio di minoranza con il 14 per cento.
Il governo prevede si possa usare la Cassa depositi e prestiti o il suo braccio per le acquisizioni, il Fondo strategico italiano, per alzare il prezzo in presenza di un acquirente (francese Safran) visto che l’inglese Cinven vuole disfarsene. La Cassa depositi e prestiti e il Fondo strategico italiano sono finanziati con il risparmio postale, che è un debito dello Stato verso i cittadini, benché non contabilizzato nel debito pubblico.
La Cassa depositi e Prestiti è diventata una S.p.A http://www.cassaddpp.it/cdp/index.htm che dovrebbe tornare ad essere pubblica, e coinvolgere tutti i cittadini che depositano i loro risparmi su libretti o buoni postali, nelle scelte di investimento che li riguardano.
A supportare l’export delle armi, più o meno lecitamente, ci sono già le banche “armate”
http://www.banchearmate.it/

(1) Francesco Lazzarato, La fabbrica dell’uomo indebitato, Derive Approdi 2012

 

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