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Evviva! Sono tornati di moda i mutui subprime!

La ragione è in fondo banale: i soldi girano, i broker di Wall Street o della new economy ne hanno. Le banche hanno bisogno di far soldi prestandoli, il governo Obama ha bisogno di far vedere che l’economia cresce. Ci sono di nuovo tutti gli ingredienti della “bolla”, come nel 2007. Tutto un po’ più calmo e con frenesie meno folli. Ma il meccanismo è rimasto intatto, senza alcun correttivo. Si può solo scommettere sulla data dell’esplosione…

Dal Corriere della sera, per la vostra gioia di “gufi” contro il capitalismo…

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America Chi si rivede: il mutuo subprime

20 maggio 2013 di MARIA TERESA COMETTO / Il Corriere della Sera

Se in Italia il mercato immobiliare è paralizzato, negli Stati uniti i prezzi delle case hanno ricominciato a correre a un ritmo simile a quello degli anni del boom, tanto da far parlare del rischio di una nuova Bolla.
L’ultimo dato viene dall’associazione nazionale degli agenti immobiliari: dal monitoraggio delle compravendite in 150 aree metropolitane è emerso che il prezzo mediano di una casa monofamiliare è cresciuto dell’11,3% nel primo trimestre 2013 rispetto allo stesso periodo del 2012, l’aumento maggiore dal 2005, l’anno precedente il raggiungimento dei massimi (il prezzo mediano è quello a metà strada in una ipotetica classifica di tutte le transazioni, mentre quello medio è il risultato della somma di tutte le cifre pagate divisa il numero delle transazioni).
Indici
Anche l’indice S&P/Case-Shiller, calcolato sugli scambi in una ventina di grandi aree metropolitane, sta mostrando segni di surriscaldamento: a febbraio (ultimo dato disponibile) è cresciuto del 9,3% su base annuale, il rialzo maggiore dai massimi del 2006, con punte del 23% a Phoenix in Arizona, 18,9% a San Francisco in California e 17,6% a Las Vegas in Nevada. Questi exploit hanno motivazioni locali molto diverse fra loro: in città come Phoenix e Las Vegas si tratta del rimbalzo dopo un crollo dei prezzi superiore al 50% dai massimi. In altri centri come San Francisco il boom dipende dal buon andamento del mercato del lavoro grazie alla fiorente industria high-tech. In altre città i prezzi appaiono più stazionari perché durante la crisi erano scesi di meno. Come a New York, dove i valori delle case secondo l’indice S&P/Case-Shiller sono saliti solo dell’1,9% nell’ultimo anno.
Ma proprio a New York, al di là della sintesi offerta dall’indice, c’è una realtà più complessa dove sono visibili parecchi segni di una nascente Bolla: i padroni di appartamenti nei «condo» di Manhattan da qualche tempo ricevono per posta pressanti offerte di acquisto dai broker che cercano casa per i loro clienti; l’invito a mettere in vendita il proprio immobile viene anche dalla pubblicità allegate ai giornali recapitati a domicilio; e sugli appartamenti messi sul mercato sono tornate a scatenarsi le guerre dei prezzi, con i compratori costretti a offrire di più in un’asta al rialzo. I broker dell’agenzia immobiliare Redfin, attivi in 20 aree degli Usa, confermano che in alcune città i prezzi stanno aumentando in maniera folle, vicini a una mini Bolla in particolare a Washington e in California a Los Angeles, San Diego e San Francisco.
Motivazioni
Ad alimentare i rialzi concorrono diversi motivi. Innanzitutto i tassi dei mutui sono a livelli storicamente bassi — il 3,35% per il tasso fisso di durata trentennale — e stanno riaffiorando le pratiche che avevano portato alla crisi: per incoraggiare l’acquisto della casa anche da parte delle minoranze etniche e delle famiglie meno agiate, l’agenzia federale per la casa Fha spinge gli erogatori di mutui a offrirli per cifre pari anche al 95% del valore dell’immobile ai creditori «subprime», i più a rischio di non pagare le rate. L’ha denunciato al New York Post Edward Pinto, ex dirigente di Fannie Mae, una delle due entità finanziarie di sostegno dei mutui nazionalizzate nel 2008 per salvarle dalla bancarotta.
Un’altra spinta all’insù viene dagli investitori che approfittano dei prezzi ancora relativamente bassi soprattutto nelle aree dove erano scesi di più come in Florida, Arizona, Nevada: loro comprano in contanti e, quelli con larghe disponibilità, in blocco, facendo salire le quotazioni anche dove il mercato del lavoro non è in ottima salute. E poi c’è il problema della scarsità delle case non nuove offerte sul mercato: ci sono oggi solo 1,9 milioni di unità messe in vendita,, il minimo degli ultimi 12 anni, perché vedendo i prezzi salire, ma ancora lontani dalle quotazioni del 2006, chi non ha un impellente bisogno di vendere aspetta, sperando in ulteriori rialzi.
Non si può parlare di una vera Bolla, sostengono gli analisti di Trulia — il sito di informazioni sul mercato immobiliare quotato al Nasdaq — che hanno calcolato la distanza dei prezzi rispetto ai «valori fondamentali» (sulla base dei prezzi storici, dei redditi e degli affitti di ogni area) oggi e ai massimi del 2006. Mentre sette anni fa le case erano sopravvalutate dell’85% a Miami, del 74% a Las Vegas e del 67% a Phoenix — per citare solo tre casi esemplari — oggi nelle stesse città sono rispettivamente alla pari con i fondamentali e inferiori del 24% e 8%.
Ma anche gli analisti di Trulia ammettono che, secondo un loro sondaggio fra i consumatori, la mentalità «da Bolla» si sta diffondendo: la maggioranza si aspetta che i prezzi tornino ai massimi del 2006 entro dieci anni.

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