Chiacchiere e distintivo. O meglio, fumo negli occhi mazzate in testa.
Il governo Letta è indistinguibile da quelli precedenti (Berlusconi e Monti, sicuramente e per intero). E lo si nota proprio da certe cose.
Il neo ministro del lavoro, Enrico Giovanini (ex presidente assai poco carismatico dell’Istat, a detta di chi ci lavora), ha annunciato con tutte le fanfare possibili ”Da qui fino a giugno ci concentreremo sul piano giovani”. L’obiettivo dichiarato è “ridurre la disoccupazione giovanile dell’otto per cento portandola al 30% dai livelli record attuali”.
Bene bravo bis. Come si fa a non essere d’accordo con un obietivo del genere? Viva viva il nuovo governo che si preoccupa – finalmente – dei “ggiovani”.
Purtroppo il diavolo si nasconde nei dettagli. Quindi dobbiamo andare a vedere “come” Giovannini pensa di poter ottenere questo risultato, oltretutto in un contesto di recessione (-1,5% di prodotto interno lordo atteso per il 2013). Perché è curioso che si possa far crescare l’occupazione mentre la produzione – larghissamamente intesa – diminuisce. Vero è che qualcuno riusciva a moltiplicare pane e pesci, ma insomma aveva “appoggi” molto più in alto…
Vediamo i dettagli, se ce ne vengono illustrati.
Speiga Il Sole24Ore, organo di Confindustria, quindi abituato a decrittare in senso tecnico le sparate della “politica” traducendole in strumenti operativi o legislativi.
Verrà messo in campo un mix di «politiche europee e nazionali», utilizzando anzitutto le risorse comunitarie, 6 miliardi che il piano europeo Garanzia giovani (400 milioni circa per l’Italia) destina all’offerta di un posto di lavoro o di un percorso formativo. Con questa cifra – 400 milioni – diciamo la verità, non si combina molto. Qualche migliaio di posti, a voler essere ottimisti, ma non decine di migliaia (i giovani ufficialmente disoccupati sono 650mila; l’8% significa dunque 52.000 posti da creare; e senza contare i 2,1 milioni di “neet”, che non studiano più e non cercano nemmeno un lavoro).
“In ambito europeo si sta ragionando sull’esclusione delle spese per l’occupazione dal rispetto dei parametri del Patto di stabilità su deficit e Pil o, almeno, di tenerle in considerazione in sede di interpretazione dei risultati, trattandosi di un problema comune”. Qui il discorso potrebbe essere più serio, anche se si tratta solo di una convenzione contabile da modificare di concerto con l’Unione europea; ma non è affatto detto che ci si riesca, né si può esser certi ora della “dimensione” dell’eventuale sforamento dei conti pubblici destinato a questo scopo).
Giovannini, da statistico, sembra esserbe consapevole: «con 3 milioni di disoccupati e 3 milioni di scoraggiati o posti ai margini del mercato del lavoro», il problema occupazionale «è talmente ampio che non si può affrontare solo con interventi sul piano legislativo», il «riassorbimento di una così ampia platea può avvenire solo attraverso una crescita economica che sia inclusiva». Certo, se ci fosse un governo che “interviene nell’economia reale” sarebbe più facile raggiungere qualche risultato. Un governo che invece – secondo quanto imposto dalla Troika – si limiti a “scrivere leggi” che dovrebbero “attirare investimenti privati” può anche fare un buco nell’acqua, quando l’economia non tira (eufemismo…).
Quindi, in pratica, che diavolo farà questo governo per “risurre la disoccupazione giovanile”?
Le leva da attivare sono le semplificazioni normative, con modifiche mirate alla legge 92 del 2012: «Puntiamo al superamento di alcune rigidità sul contratto a tempo determinato e l’apprendistato. Tenendo conto, però, che secondo i dati Isfol sta aumentando il ricorso ai contratti a tempo determinato, mentre si riducono il lavoro intermittente e altre forme contrattuali meno tutelate, proprio come previsto dalla riforma. Anche l’apprendistato sta leggermente riprendendo».
La traduzione in volgare è straordinariamente semplice: via le (poche) “rigidità” sui contratti precari. Tipo quella che “obbliga” un’impresa ad assumere con contratto a tempo indeterminato un lavoratore che abbia già prestato la sua opera per tre anni come “a termine” o “apprendista”. L’ipotesi più accrediatata è quella di ridurre il tempo di intervallo tra una scadenza di contratto a termine e la successiva “riassunzione”. La Fornero l’aveva portato a 60 giorni per quelli fino a sei mesi, e 90 giorni per quelli più lunghi; così si poteva fare almeno finta che fossero nate “nuove esigenze produttive imrevedibili”. Ora si potrebbe riportarli a 20-30 giorni, il minimo per non trovarci una “continuità”.
L’idea è insomma sempre quella di Sacconi, Brunetta, Fornero, Monti: se c’è più libertà di licenziare le imprese assumeranno più volentieri. Sono anni che tutti – anche nel Pd, ovviamente, recitano questa menzogna. La gente viene licenziata e l’occupazione diminuisce. Punto. Con meno gente che prende uno stipendio si riducono i consumi complessivi, quindi altre imprese vanno in crisi e altri lavoratori (sia anziani che giovani, non c’è differenza) vengono a loro volta licenziati. Altro giro verso il basso, ma “la crescita” per questa via non riparte.
Tutto qui, ministro Giovannini? Questo non è un piano per l’occupazione, nemmeno di quella “precaria” che tanto piace alle aziende più arretrate e ai teorici dell’”austerità espansiva”. Chiacchiere e distintivo, proclami e fregature.
Tolga il disturbo, please.
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emidio getili
Garanzia giovani: è una cacata pazzesca! mi figlio dopo aver girato in lungo e in largo l’italia, l’ultimo tentativo (Prenotazione sul sito G.G.) lo ha provato nella sede di San Casciano V.P. (FI) Vedendolo venire da Napoli, il personale si è stupito e meravigliato ……………….ovviamente frase di rito come risposta…….