La clamorosa decisione è arrivata dopo un vertice di tre ore, convocato dopo il maxi-sequestro preventivo di 8 miliardi di euro deciso dal gip di Taranto il 22 maggio sui beni della Riva Fire Spa che controlla l’Ilva e quindi il siderurgico di Taranto.
Il Consiglio di amministrazione ha dato mandato ai propri legali di impugnare il provevdimento in Cassazione, ma dietro le dimissioni c’è probabilmente anche la consapevolezza che la strada per andare avanti si è fatta davvero stretta. In ogni caso, infatti, “il padrone” – quello che aveva stornato dall’azienda fondi giganteschi invece di investire nell’azienda – non è più presentabile in pubblico. Né in Italia, né soprattutto all’estero. Se l’Ilva deve sopravvivere, insomma, può farlo solo liberandosi di questo “sanfedista” ormai senza credibilità
Il Consiglio di amministrazione dell’Ilva – l’ec prefetto Bruno Ferrante, Enrico Bondi e Giuseppe De Iure – ha presentato le dimissioni con effetto a far data dall’assemblea dei soci, convocato per il 5 giugno alle 9, ponendo all’ordine del giorno la nomina del nuovo consiglio di amministrazione.
«Il provvedimento di sequestro ha effetti – spiega l’Ilva in una nota – oggettivamente negativi per Ilva, i cui beni sono tutti strettamente indispensabili all’attività industriale e per questo tutelati dalla legge n.231 del 2012, dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale».
Un richiamo che vorrebbe essere anche un ricatto nei confronti della magistratura, oltre che una “chiamata” al governo perché intervenga ancora una volta per sbarrare la strada ai giudici e riconsegnare l’azienda all’irresponsabilità totale nei confronti sia dei lavoratori che della popolazione del territorio circostante.
Nel ricatto, ovviamente, vengono subito fatti rientrare i lavoratori (e infatti i sindacati complici, a partire dalla Ui – cui è necessario iscriversi, in città, per poter avere qualche vaga speranza di essere assunti in azienda). Con i sequestri disposti dal gip di Taranto, scrive in nota nota il cda uscente, «sono a rischio 24 mila posti di lavoro diretti, 40 mila con l’indotto». «Si sta mettendo in pericolo tutto, c’è il rischio concreto che decine di migliaia di persone restino senza lavoro».
Non vi sembra commovente tanto interessamento per quegli stessi lavoratori che, in tempinormali, l’Ilva manda quotidianamente incontro alla morte? Sia per l’inquinamento senza freni, che per la mancanza di misure di sicurezza nella produzione.
La strada può essere a questo punto solo un’altra. La produzione di acciaio è un’industria strategica: deve perciò tornare allo Stato, senza indennizzo per i Riva. Immediatamente.
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