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Il salvataggio delle banche divide l’Unione

Della serie: cose che non si incontrano (e quindi non si possono nemmeno capire) andando per strada…

 

La scorsa notte la permanentemente in costruzione “Unione “Europea” ha vissuto un altro momento di forte fibrillazione sul tema “strategico” dell’unione bancaria. Questa dizione però nasconde la sostanza: la costruzione di un meccanismo “unitario” di salvataggio dlele banche che sia al tempo stesso rapido ed efficace.

 

Inutile litigare tra noi se questo meccanismo sia davvero “necessario”. Non ci riguarda, se non per il lato scabroso, quando veniamo chiamati a pagare il conto di ogni salvataggio e “scopriamo” che per realizzarlo ci viene tolto un pezzo essenziale dei servizi pubblici (sanità, trasporto, pensioni, ammortizzatori sociali, assegno di disoccupazione, ecc). Insomma: ci riguarda anche se tanti compagni, di fronte a un tema simile, girano istintivamente pagina dicendosi “che noia…” o peggio ancora “affari loro…”.

 

L’intesa “di massima” è stata raggiunta dai ministri dell’economia e delle finanze nel corso di una riunione straordinaria dell’Eurogruppo. E quando le “intese” si raggiungono alla tre di notte, come in questo caso, è segno che la contraddizione è davvero grossa.

 

Al centro della discussione c’era il “Meccanismo unico europeo di risoluzione delle crisi bancarie” (SRM Single resolution mechanism) e la costituzione del “Fondo di risoluzione” (SRF Single resolution fund). E per la prima volta, forse, le posizioni sideralmente distanti di due paesi chiave – Germania e Italia – è stata resa pubblica con due lettere indirizzate al presidente dell’Ecofin (un ministro lituano, vaso di coccio in mezzo ai giganti) e al presidente della Bce Mario Draghi, nonché al commissario Barnier.

 

Diventa perciò fondamentale capire su cosa contrastavano il placido Saccomanni e il satanico Schaeuble (a proposito: chi è che scommetteva sul cambio di linea economica della Germania “grazie” alla partecipazione dell’Spd al governo Merkel?).

 

L’ec direttore di Bankitalia rappresenta la posizione di quanti vorrebbero un meccanico “rapido, snello, quasi automatico”, ma soprattutto con a disposizione un fondo finanzairio bello consistente (visto che di banche pericolanti, in Europa, ce ne sono molte). Al contrario, Schaeuble presenta l’idea di un meccanismo decisionale molto farraginoso, complicato, esistante, a corredo di una disponibilità finanziaria molto ridotta.

 

Come mai? I tedeschi, è noto, non vogliono pagare per i fallimenti altrui, nemmeno se li provocano loro stessi con le politiche “mercatilistiche” che hanno adottato da molti anni. Per questo immagiano meccanismo decisionali contorti, pieni di “condizioni” da soddisfare prima di scendere in aiuto di qualcuno; nel frattempo, quel qualcuno di solito muore o peggiora enormemente (vedi il trattamento riservato alla Grecia). L’Italia e altri paesi, invece, hanno l’interesse diametralmente opposto.

 

Non a caso, il punto centrale della lettera di Saccomanni – resa nota, abbastanza irritualmente, dal Wall Street Journal – insiste sul principio dell’”adeguatezza delle risorse” per affrontare le crisi bancarie. Un modo di essere “credibili” agli occhi dei mercati, che scommettono senza troppi problemi sulla debolezza di qualcuno. Un fondo scarso, questo il ragionamento, attira la speculazione invece di tenerla lontana. Anche Draghi, quando nell’estate del 2012, ha “salvato l’euro”, era ricorso a un’espressione simile: “faremo tutto il necessario, e vi assicuro che sarà abbastanza”. Se invece dici – con le cifre – che se disposto a fare poco, e per di più in maniera bradipesca, i guai te li stai cercando.

 

Il fondo fin qui immaginato – a pieno regime – avrà una capacità di intervento pari a 55 miliardi in 10 anni, alimentato soprattutto dalle banche e dai fondi di risoluzione nazionali. Praticamente una goccia nel mare, se dovesse iniziare una nuova crisi bancaria (e ce ne sono molte condizioni). Di qui la richiesta, al tavolo di trattativa, di costruire una “potenza di fuco” adeguata al pericolo. Tradotto: anche la Germania deve tirar fuori molto di più.

 

 

La lettera di Schauble – resa nota, invece, prima della riunione dell’Eurogruppo – è su tutt’altra lunghezza d’onda. Il “fondo di risoluzione” dovrebbe essere alimentato soprattutto da “fondi nazionali” (pubblici, non depositati dalle banche private); e intervenire solo dopo un “bail in” della banca in difficoltà accollato in prima istanza agli azionisti della banca stessa, e in secondo luogo ai correntisti. Un modo chiarissimo di preservare sia le banche che i conti pubblici della Germania (pur con il rischio di doversi far carico dei non improbabili fallimenti di istituti tedeschi con fondi pubblici messi in campo da Berlino).

 

In generale, i meccanismi immaginati da Schaeuble favoriscono quel processo di “ri-nazionalizzazione” delle banche che potrebbero ostacolare parecchio lo stesso tentativo di “accelerare” il processo di costruzione europea. Attenzione, però: “ri-nazionalizzazione” significa restringimento del campo d’azione al “mercato interno”, non certo “ri-pubblicizzazione” degli istituti privati….

 

Paradossalmente, dunque, Berlino vuol mantenere la “sovranità nazionale” almeno in un campo: quello dei salvataggi bancari, da mettere a conto delle popolazioni direttamente interessate. Convinta – ma è un’illusione che potrebbe costarle cara – che “Deutschland” possa essere davvero “über alles” sul piano bancario.

 

L’accordo raggiunto nella notte non è stato ancora reso noto nei contenuti. Ma dovrebbe venir fuori stasera, al termine della nuova riunione dei ministri dell’Eurogruppo, in corso dalle 11 di stamattina.

 

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