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Il pentimento tardivo della Bce

Se hai come strumento soltanto un martello, tutto comincerà a sembrarti un chiodo…

La massima di Maslow si adatta alla perfezione alla dotazione operativa “statutaria” della Banca Centrale Europea. Che è anche l’unica banca centrale del mondo ad essere davvero indipendente da un potere politico. L’Unione Europea è stata infatti disegnata in modo davvero “bizzarro”, in modo da emanare “direttive” prese sotto l’input di poteri finanziari e imprenditoriali, ma al riparo delle manifestazioni della “volontà popolare”. E così anche lo statuto della Bce, incentrato su un unico obiettivo: la lotta all’inflazione.

Obiettivo raggiunto con eccezionale decisione, tanto da tramutarsi nel suo opposto: deflazione. Prima l’hanno negata, poi minimizzata, ora ne hanno preso atto. Scoprendo – sapendo – che non hanno strumenti “ordinari” nella loro bislacca cassetta degli attrezzi. Tant’è vero che nella riunione di ieri, il consiglio “esecutivo” della Bce ha raggiunto un decisivo accordo politico sulla necessità di adottare “strumenti non convenzionali”.

Non c’è da scervellarsi molto per capire di che si tratta: sono quegli strumenti che alzano l’inflazione invece che abbassarla. Quindi, in linea generale, tutti quelli rivolti a “immettere liquidità nel sistema”. Ome la la Federal Reserve da qualchea anno, insomma. Solo che per la Fed gli obiettivi statutari sono da sempre due: lotta all’inflazione e lotta alla disoccupazione. E quindi per l’istituto di New York è assolutamente “ordinario” stampare moneta quando serve.

La notizia importante è che il superfalco Jens Weidman, profeta spesso solitario del rigore di bilancio e del contenimento della massa monetaria, governatore di Bundesbank, si è ora convinto che questa scelta “pro-inflazione” sia ormai diventata necessaria. Il suo martello è ormai un’arma inutile, anzi: tafazziana. Se l’economia del continente si dovesse avvitare davvero nella deflazione, infatti, le imprese tedesche perderebbero di colpo buona parte dei clienti per le esportazioni.

Tutto bene, dunque? La Bce comincerà a stampare soldi con fa la Fed? A inondare i mercati di liquidità sufficiente a convincere le banche a prestare soldi, le imprese ad assumere, la gente a spendere?

Non proprio. Intanto perché il sistema europeo è “bancocentrico”. Quindi la liquidità emessa dalla Bce passa attraverso il filtro delle banche prima di poter arrivare – se loro vogliono – all’economia reale. È già accaduto negli anni scorsi, impedendo all’economia europea di beneficiare delle contestatissime – da Bundesbank – operazioni “non convenzionali” decise da Draghi (acquisti di titoli di stato dei paesi in difficoltà, soprattutto).

 

In secondo luogo perché il “sì” tedesco è molto obtorto collo. Il comunicato e le dichiarazioni finali, in sede di conferenza stampa, hanno evidenziato che esiste ancora una “forte speranza” (tedesca) di non dover davvero ricorrere a immissioni di liquidità. Tanto da costringere Draghi a penose disquisizioni sulla dinamica dell’inflazione “bassa in marzo e forse più alta in aprile a causa della Pasqua ritardata”.

Finché lo statuto della Bce resterà “mono”, insomma, ogni strumento diverso dal martello (la manovra sui tassi di interessi, ormai fermi a 0,25%) sarà “non convenzionale”, quindi da contrattare politicamente volta per volta, non automatico. Ritardato. In ogni senso.

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Dal Sole24Ore

Verso un quantitative easing targato Bce

di Riccardo Sorrentino

La Banca centrale europea ci pensa davvero: il quantitative easing, l’acquisto di titoli per ridurre i tassi su tutte le durate, è ormai una prospettiva concreta. Il comunicato introduttivo alla conferenza stampa di aprile ha chiaramente scritto che «Il consiglio direttivo è unanimo nella sua intenzione di usare anche strumenti non convenzionali, straordinari rispetto al semplice taglio dei tassi – nell’ambito del suo mandato, per affrongare in modo effettivi i rischi di un periodo di bassa inflazione troppo prolungato», e dalle parole del presidente Mario Draghi il riferimento al quantitative easing è stato esplicito e ampio.

Sotto esame tutte le misure straordinarie
Il board della Bce si è occupata anche di altre misure non convenzionali, oltre all’abbassamento dei tassi di interesse (che è “la” misura convenzionale e resta una possibilità), i tassi negativi sui depositi, e modifiche al pieno soddisfacimento della domanda di liquidità. Minore attenzione è stata dedicata, ha poi aggiunto Draghi, alle operazioni di iniezione di liquidità di lungo periodo (Ltro) e alla fine della sterilizzazione degli Smp, gli acquisti di titoli di Stato effettuati in passato, di cui finora è stata riassorbita la liquidità emessa per finanziarli.

In attesa dell’esame sugli attivi delle banche (Aqr)?
La Bce, per ora, spiega solo che deve pensarci ancora. Eurolandia, ha spiegato Draghi, è un sistema economico molto dipendente dalle banche e questo impone di disegnare bene il suo quantitative easing, che non potrà essere analogo a quello degli Stati Uniti. Negli Usa, gli acquisti di titoli finanziari ha un effetto diretto sull’economia reale perché la maggior parte dei finanziamenti alle imprese passa attraverso il mercato finanziario. Nell’Unione monetaria c’è invece il filtro delle banche, che ha reso utili a metà le maxi iniezioni di liquidità del 2011 e 2012. Non può essere un caso se, rispondendo a una domanda sulle specificità di un quantitative easing Bce, Draghi ha subito fatto riferimento all’Asset quality review, l’esame degli attivi delle banche. L’ipotesi di molti analisti secondo cui la banca centrale vuole subordinare le misure non convenzionali alla fine o almeno a all’avvicinarsi della fine di questi test, ne esce rafforzata, anche se non confermata.

Bce pronta ad agire rapidamente
Per ora, la Bce è però intervenuta solo verbalmente, come molti analisti si aspettavano. Non senza effetti, visto l’immediato calo dell’euro alle parole di Draghi. Il comunicato introduttivo alla conferenza stampa ha mantenuto l’impegno a mantenere tassi bassi, o anche più bassi, per un periodo prolungato ma ha anche rafforzato l’orientamento espansivo (accomodante) della politica monetaria. «Noi osserveremo l’evoluzione [dell’economia, ndr] molto da vicino e considereremo tutti gli strumenti per noi disponibili. Siamo risoluti nella nostra determinazione a mantenere un alto livello di espansione [accomodamento, nel linguaggio della Bce] monetaria e di agire rapidamente necessario», ha aggiunto la Bce rispetto alle indicazioni di marzo. La situazione economica mostra inoltre «una notevole capacità inutilizzata», una novità –annunciata da Draghi nelle precedenti conferenze stampa – nel linguaggio ufficiale della Bce. Il presidente ha poi rivelato che l’elemento di maggior preoccupazione per la Bce, più che l’andamento dell’inflazione, sono la stagnazione e la disoccupazione di lungo periodo.

Il nodo dell’inflazione di marzo
La Bce ha rafforzato il suo impegno perché è allarmata dall’andamento sull’inflazione. Il dato di marzo, lo 0,5%, era inatteso, e questo aiuta a spiegare perché non sia stata presa una decisione ad aprile. Come era ampiamente previsto, Draghi ha precisato che dietro la flessione sull’inflazione c’è un effetto statistico (base effect) legato ai prezzi dell’energia (piuttosto alti un anno fa, per cui la flessione appare molto forte), e una forte variazione dei prezzi dei servizi: nel 2013 la Pasqua, che aumenta i prezzi di viaggi e alberghi, è caduta a marzo, quest’anno a fine aprile.

Nubi sull’andamento dei prezzi
Queste sono “nuvole” che hanno oscurato l’analisi, e la Bce vuole vederci chiaro. Draghi ha ammesso che è stata sottovalutata la flessione dei prezzi dell’energia, che insieme al calo di quelli degli alimentari spiega il 70% della disinflazione di Eurolandia. Un fenomeno a tre facce: da una parte è frutto di fatto esogeni, fuori dal controllo della politica monetaria, dall’altra aumenta il potere d’acquisto di chi ha mantenuto il suo reddito e dall’altra ancora è preoccupante perché può modificare le aspettative. Quando i prezzi dell’energia salgono, la Bce si preoccupa molto degli effetti di second-round, sostanzialmente la corsa ad aumentare margini e salari per le aspettative di un’accelerazione di inflazione. Oggi – ma Draghi non ne ha fatto cenno – si assiste a una frenata delle retribuzioni che, in parte, potrebbe essere legata alle aspettative di disinflazione.

Euro sotto stretto controllo
Non è mancato il riferimento al cambio, al quale Draghi aveva già fatto riferimento sia a marzo che in una conferenza a Parigi. Parlando dei rischi sulla stabilità dei prezzi, ha aggiunto il comunicato, «le possibili ripercussioni dei rischi geopolitici e dell’andamento dei cambi saranno monitorati molto da vicino». Il presidente ha comunque ricordato che il livello dell’euro non è un obiettivo della politica monetaria e che viene definito dal mercato.

 

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