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Disoccupazione oltre ogni record: 13,6%

E’ ancora troppo presto per darne la colpa anche a Renzi, forse, ma possiamo scommettere che le politiche che sta architettando aggraveranno la situazione.

Ad aprile 2014 – scrive l’Istat – gli occupati sono stati calcolati in 22 milioni 295 mila, in diminuzione dello 0,3% rispetto al mese precedente (-68 mila) e dello 0,8% su base annua (-181 mila).

Il tasso di occupazione, pari al 55,4%, diminuisce pertanto di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,3 punti rispetto a dodici mesi prima.

Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 216 mila, diminuisce dello 0,4% rispetto al mese precedente (-14 mila) ma aumenta del 4,5% su base annua (+138 mila).

Il tasso di disoccupazione è pari al 12,6%, resta perciò invariato rispetto al mese precedente e in aumento di 0,6 punti percentuali nei dodici mesi.

I disoccupati tra i 15 e i 24 anni sono 685 mila. L’incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari all’11,4%, invariata rispetto al mese precedente e in aumento di 0,8 punti su base annua.

Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 43,3%, in aumento di 0,4 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 3,8 punti nel confronto tendenziale (annuo).

Il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni aumenta dello 0,6% rispetto al mese precedente (+81 mila) ma diminuisce dello 0,6% rispetto a dodici mesi prima (-84 mila). Come sempre, questa apparennte contraddizione è dovuta al fatto, anagrafico, che ci sono molti più anziani ultrasessantaquattrenni che escono dalla rilevazione che non giovani in età per entrarvi. ANche per questo, dunque, l’aumento di inattivi del mese di aprile è decisamente preoccupante: significa che molte persone in età di lavoro hanno perso l’occupazione. E comunque in misura superiore a quanti hanno scavalcato la soglia dei 65 anni.

Ancora più evidenti le tendenze se si prendono in considerazione i dati relativi al primo trimestre.

Prosegue infatti, sia pure con con minore intensità, il calo tendenziale del numero di occupati (-0,9%, pari a -211.000 unità), soprattutto nel Mezzogiorno (-2,8%, pari a -170.000 unità). La riduzione è più forte tra gli uomini (-1,3%, 164.000 unità in meno), ma si è ormai interrotta definitivamente la tendenza a “compensare” almeno in parte con un aumento dell’occupazione femminile. Anche le donne infatti vedono diminuire la loro occupazione (-0,5%, pari a -47.000 unità).

Sul piano generazionale, a pagare di più sono i giovani, ma anche per la “mezza età” le cose vanno molto male. Al persistente calo degli occupati di 15-34 anni, infatti, si associa quello dei 35-49enni (rispettivamente -2,3 e -0,8 punti percentuali del tasso di occupazione). Mentre l’esperienza maturata sul campo, almeno ler i lavori meno gravosi sul piano fisico, e soprattutto l’innalzamento dell’età pensionabile imposta dalla legge Fornero, sostiene ancora l’occupazione “anziana”. Gli over 50 al lavoro aumentano infatti dell’1%.

La disoccupazione è disomogenea anche sul piano “etnico”. La riduzione tendenziale dell’occupazione italiana (-199.000 unità) si accompagna alla flessione di quella straniera (-12.000 unità). Ma nel confronto con il primo trimestre 2013, si vede come i numeri assoluti non spieghino altrettanto bene delle percentuali quel che sta avvenendo. Il tasso di occupazione degli stranieri segnala infatti una riduzione di 1,6 punti percentuali a fronte di un calo di 0,3 punti di quello degli italiani. Le imprese, in altri termini, si sbarazzano per primi dei lavoratori stranieri, chiamati anni fa a far da “calmiere” ai livelli salariali nazionali e per destrutturare il mercato del lavoro; ora vengono scaricati allegramente…

Nell’industria in senso stretto rallenta il calo tendenziale dell’occupazione (-0,3%, pari a -16.000 unità), cui si associa la nuova marcata contrazione di occupati nelle costruzioni (-4,8%, pari a -76.000 unità). L’occupazione si riduce però anche nel terziario (-0,5%, pari a -83.000 unità), anche se il calo riguarda quasi esclusivamente il Mezzogiorno.

Ma il dato più chiaro è l’ultimo. Non si arresta infatti il calo degli occupati a tempo pieno (-1,4%, pari a -255.000 unità rispetto al primo trimestre 2013), che in più di sei casi su dieci riguarda i dipendenti a tempo indeterminato (-1,4%, pari a -169.000 unità). Gli occupati a tempo parziale continuano invece ad aumentare (1,1%, pari a +44.000 unità), ma la crescita riguarda esclusivamente il part time involontario (il 62,8% dei lavoratori a tempo parziale). Altro che “scelta di libertà”, insomma, come recitano le ricerche sociologiche commissionate dal potere.

Che la precarietà sia il mezzo preferito per “flessibilizzare” la forza lavoro e la sua disponibilità a farsi sfruttare-usare-gettare è dimostrato anche dal fatto che per il quinto trimestre consecutivo scende il lavoro a termine (-3,1%, pari a -66.000 unità), cui si accompagna per il sesto trimestre la diminuzione dei collaboratori (-5,5%, pari a -21.000 unità).

Il numero dei disoccupati è quindi in ulteriore aumento su base annuale (+6,5%, pari a +212.000 unità) e riguarda sia coloro che hanno perso il lavoro sia le persone in cerca del primo impiego. L’incremento, diffuso su tutto il territorio nazionale, interessa in quasi sei casi su dieci i giovani con meno di 35 anni. Il 58,6% dei disoccupati cerca lavoro da un anno o più (54,8% nel I trimestre 2013).

Il tasso di disoccupazione trimestrale è quindi pari al 13,6%, in crescita di 0,8 punti percentuali su base annua; per gli uomini l’indicatore passa dall’11,9% all’attuale 12,9%; per le donne dal 13,9% al 14,5%. Aumentano i divari territoriali, con l’indicatore nel Nord al 9,5% (+0,3 punti percentuali), nel Centro al 12,3% (+1,0 punti) e nel Mezzogiorno al 21,7% (+1,6 punti).

Il rapporto dell’Istat sui dati mensili:

Il rapporto Istat (dati trimestrali): pdfOccupati_e_disoccupati_trimestrali_-_03_giu_2014_-_Testo_integrale.pdf702.42 KB

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