Menu

Economia globale nel caos, le borse cadono

Lo diciamo con cautela, ma va detto: «le cose si dissociano, il centro non può reggere». il centro (capitalistico) non tiene più insieme le infinite parti costituenti l’economia globale. Alcuni centri dispongono ancora di una forza di impatto notevole (poche banche centrali, le più importanti banche di investimento, alcuni fondi sovrani, un buon numero di imprese multinazionali) e sono tentate di usarla. Ma non sanno prevedere le conseguenze di ogni loro mossa.

I dati diffusi stamattina in Europa mostrano un avvitamento ulteriore della crisi economica che a questo punto ha per epicentro la Germania. Non che gli altri partner vadano meglio (anzi…), ma la Germania dell’austerità per tutti – quella che per prima “aveva fatto le riforme strutturali” e iniziato a impoverire programmaticamente la propria popolazione – è il baricentro dell’economia del vecchio continente. I suoi spostamente condizionano tutto l’immenso e disarticolato corpaccione. E l’Unione Europea dei tecnici può solo aggravare gli squilibri. L’Unione Europea è quel super-stato ancora in cantiere che ha tra le figure-chiave un imbecille dotato di forbici e sprovvisto di visione strategica come Jyrki Katainen, incaricato di guidare il team della Commissione che deve in questi giorni esaminare le “leggi di stabilità” nazionali. Un “ggiòvane” ragioniere che è riuscito a descrivere così il suo compito: «Una volta che avremo i dati che ci danno gli Stati guarderemo il debito e il deficit e compariamo gli impegni con quello che hanno fatto; è un esercizio puramente aritmetico». Roba da sperare che stia solo mentendo per coprire una manovra molto più intelligente di disgregazione di alcune economie nazionali per favorirne altre (a cominciare da quella tedesca), perché se dice sul serio siamo già tutti nel baratro…

I dati, per cominciare. L’indice Zew, quello che misura la “fiducia degli investitori” in Germania, è sceso a -3,6 punti dai 6,9 di settembre. Per i non addetti ai lavori: un indice Zew sopra lo 0 significa che esistono aspettative positive sull’economia europea (e tedesca). Se si sta sotto…

Non va meglio la produzione industriale, che ad agosto nell’Eurozona è calata dell’1,8% rispetto al mese precedente, mentre nella Ue a 28 paesi è scesa dell’1,4%. A luglio c’era stato un lieve aumento (rispettivamente 0,9% e 0,7%), ritenuto comunque troppo debole per migliorare la situazione dell’occupazione. Rispetto a un anno prima la produzione industriale è calata dell’1,9% nell’’urozona e dello 0,8% nell’intera Ue. In Italia, come già si sapeva, si registra un +0,3% rispetto a luglio e un pesante -0,7% rispetto ad agosto 2013.

Di conseguenza le borse crollano, com’è logico che sia (i prezzi delle azioni dovrebbero rappresentare le aspettative sui guadagni futuri delle imprese cui si riferiscono). Ma non è tutto qui.

Si moltiplicano in tutto il pianeta – ma i giornalisti italiani che capiscono di economia sono in genere troppo attenti a non turbare i sonni dei propri direttori, figuriamoci quelli dei lettori – gli allarmi per una “dissociazione” clamorosa tra liquidità circolante e crescita economica reale. La liquidità viene emessa dalle banche centrali, e in sette anni di crisi (siamo ormai nell’ottavo, da un paio di mesi) sono stati riversati nei circuiti finanziari migliaia di miliardi di dollari (soprattutto), sterline, yen, euro. E ancora si continua  a farlo (la Bce lo promette, anche se continua a esitare e mostrare il “braccino corto”).

Di questo oceano di soldi liquidi ben pochi vengono chiesti in prestito per aumentare la produzione “reale”, ovvero per nuovi investimenti. Tutte le economie continentali (ad eccezione di quella cinese e poche altre) cercano di “competere” tagliando il costo del lavoro (unica voce comprimibile per via politica, tra i “fattori produttivi” ormai definiti da prezzi internazionali); e quindi deprimono i mercati interni sperando nell’aumento delle esportazioni. Ma se tutti fanno stesso gioco, il gioco impazzisce. Non ci sono più abbastanza mercati solvibili per piazzare le quantità di prodotti che escono dagli impianti; o si comincia a regalare, e si abbassano i prezzi, oppure si fallisce. Di certo, non si investe e quindi non si “cresce”.

Una prova? A Wall Street, che ha macinato record spaventosi negli ultimi tre anni, al contrario dell’economia Usa, le maggiori società quotate spendono tra il 5 e il 6% della propria capitalizzazione per acquistare “azioni proprie”. In questo modo fanno alzare la quotazione, il chief of executive può intascare i relativi bonus, e la società (grazie all’aumento degli utili per azione, un indice che fa da base per innumerevoli valutazioni) appare in attima salute.Le le banche d’affari (quelle che prendono dalle banche centrali in prestito a costo zero i dollari, gli euro, le sterline o lo yen) prestano a loro volta denaro alle società per consentire la magia della levitazione degli utili. Del resto, non vi sentite ripetere da ogni De Benedetti o Marchionne qualsiasi che scopo del fare impresa è «creare valore per l’azionista»? Un modo vale l’altro, in aritmetica (vero Katainen?).

Vi sembra un gioco delle tre carte? Lo è, naturalmente. Funziona finché qualche allocco ci casca. Ma se tutti fanno lo stesso gioco… l’aritmetica (e la potenza militare) non basta per governare l’economia globale.

Tanto per capirci: negli Stati Uniti, tempio dell’innovazione tecnologica, la spesa per investimenti delle aziende è crollata del 20%, mentre l’età media degli impianti produttivi ha raggiunto i 22 anni. Non si fanno molte cose nuove con macchinari così vecchi, vero? Lo sanno bene in Cina, dove vengono assemblati con macchinari di ultima generazione – magari acquistati proprio dalla Germania e da altri paesi avanzati) tutti i prodotti più nuovi, a prescindere dalla nazionalità del marchio (ma gli impianti, e il know how, hanno un notevole “peso corporeo”, non si spostano con un click).

Se tutto ciò è vero – sono dati e meccanismi universali di funzionamento dell’economia capitalistica – il “disallineamento” tra grande espansione finanziaria e forte recessione produttiva dovrà prima o poi essere rimesso in ordine. E non sarà un pranzo di gala…

Lo diciamo con cautela, ma va detto: «le cose si dissociano, il centro non può reggere».

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *