La figura del “palazzinaro” self made man, come tanti altri pezzi di borghesia inadeguata alla nuova fase, sembra destinata a sparire o quantomeno a ridursi negli interstizi del sistema economico. A sostituirlo e a scalzarlo sono ormai i grandi gruppi capitalisti del settore e le multinazionali straniere. Il loro rapporto con le banche e il capitale finanziario, garantisce linee di credito e garanzie reciproche che i palazzinari non sono più in grado di assicurare. Il panorama di cantieri fermi e case invendute, per alcuni significano crack ma per altri – i nuovi poteri forti – opportunità di valorizzazione, scatole cinesi per operazioni più finanziarie che “di impresa”.
Gli effetti di questo cambio di passo, dal punto di vista sociale, ambientale e urbanistico, sono pessimi. La “messa a valore” delle aree urbane, continua ad essere oggetto del desiderio dei nuovi poteri forti che stanno modificando la geografia dei gruppi e degli interessi speculativi dominanti sulle città metropolitane. L’interesse pubblico sulle abitazioni e il territorio viene sistematicamente violentato e reso subalterno da gruppi di interesse privati che non vengono neanche sfiorati dall’idea di compatibilità tra il loro business e le esigenze sociali di un’area urbana. E’ stato questo, in qualche modo, il segnale che il Forum Metropolitano promosso da Ross@ e svoltosi a Roma la settimana scorsa intendeva lanciare.
Questa premessa ci è utile per segnalare ai nostri lettori, e ai tanti attivisti impegnati nei comitati protagonisti in mille vertenze rappresentative degli interessi popolari sul territorio, un nuovo “segnale di tendenza” con ci troveremo a fare i conti nelle lotte metropolitane dei prossimi anni.
Il tentativo dei grandi gruppi capitalisti di valorizzare la liquidità reale, potenziale o fittizia di cui dispongono e che oggi affluiscono nelle banche tramite il quantitative easing della Bce, sta cercando ogni spazio dove potersi realizzare. E se quello tradizionale dell’industria manifatturiera appare in difficoltà, quello delle aree metropolitane può offrire sbocchi e possibilità sulle quali intendono gettarsi con ferocia.
Ci sono alcuni dati che si rivelano utili a dare un’idea della situazione. Secondo un rapporto del Censis, nel settore residenziale si è passati dalle 807mila abitazioni compravendute nel 2007 alle 403mila del 2013, tornando così al volume di scambi del 1984. In pratica la compravendita di abitazioni si è dimezzata. Ma anche nel mercato non residenziale (uffici, terziario, commerciale etc) si registrano dinamiche simili: tra il 2008 e il 2013 il fatturato per il settore uffici è sceso del 50,9%, il settore commerciale (negozi) del 55,1%, il mercato dei capannoni industriali è calato del 50,6%. Tra il 2008 e il 2013 il fatturato del mercato immobiliare non residenziale è passato da 25,4 a 12,1 miliardi di euro, praticamente dimezzandosi.
A fronte di questo brusco dimezzamento del giro d’affari nel settore immobiliare destinato ad abitazioni o ad attività economiche, si è aggiunto il boom dell’invenduto. Migliaia di appartamenti o uffici che nessuno è in grado di acquistare, che però non scendono di prezzo perchè le banche pretendono che non si svalorizzano rispetto ai capitali investiti (cioè prestati ai costruttori).
I deserti urbani diventano così blocchi di edifici vuoti, fantasma, scarsamente abitati e pieni di serrande abbassate di attività commerciali mai partite. In Spagna il fenomeno era stato più vistoso ma anche un giro nelle periferie di Roma, Milano o altre aree metropolitane offrono ormai panorami simili.
Non può che colpire, in tal senso, una analisi del Cresme (centro ricerche specializzato nel settore) quando sottolinea che la corsa alle nuove costruzioni e al consumo di suolo sia diventata dis/economica rispetto alle possibilità di intervento per il “riuso”, la “riqualificazione”, la ristrutturazione di quello che è già costruito nelle aree urbane.
Il Cresme certifica che gli investimenti in nuova edilizia residenziale sono crollati del 58,7%, mentre c’è nuovo ciclo edilizio trainato dall’attività di riqualificazione del patrimonio edilizio e dall’energy technology. Dal 2006 al 2013 il peso dell’attività di manutenzione e recupero del patrimonio esistente sul totale del valore della produzione è cresciuto di oltre 11 punti percentuali. Si arriva a questo risultato da un lato per la pesante riduzione degli investimenti in nuove costruzioni, che da 85 miliardi di euro del 2006 sono passati a meno di 51 nel 2013, e dall’altro per la crescita dell’attività di manutenzione che è passata dai 106,5 miliardi di euro del 2006 ai 115,1 del 2013.
Il Cresme ma anche i grandi gruppi capitalisti del settore, stanno definendo tutti vantaggi di questo nuovo ciclo di valorizzazione dei loro capitali. Ad esempio il settore delle ristrutturazioni o del riuso dell’esistente usufruisce di agevolazioni fiscali. Al momento in piccolo e per gli appartamenti (vedi agevolazioni per risparmio energetico o per le ristrutturazioni) ma il meccanismo potrebbe allargarsi se “dal singolo appartamento si passa ad interi quartieri” sottolinea il Sole 24 Ore del 3 aprile. In secondo luogo, nei progetti di investimento e intervento sulla riqualificazione urbana, i gruppi privati potrebbero mettere le mani sugli edifici pubblici (e quindi su soldi pubblici). Anche qui è il Cresme a documentare come in Italia i consumi per il riscaldamento e l’elettricità delle abitazioni costano 45,2 miliardi di euro, quelli delle scuole 1,3 miliardi e quelli degli edifici pubblici 644 milioni. Per raggiungere dei risparmi energetici sarebbe necessario agire sui segmenti del patrimonio edilizio più deboli dal punto di vista energetico e maggiormente energivori, come il 49% di edifici per uffici pubblici che ha più di 70 anni o il 35% delle scuole costruite più di 50 anni fa con il vetro singolo.
Insomma ci stanno prospettando l’idea di una sorta di “green economy” con soldi pubblici e profitti privati. Ma siccome verrà orientata su scuole o edifici pubblici, poteri forti e interessi privati pretenderanno – oltre alle agevolazioni fiscali e ai finanziamenti pubblici degli appalti – anche la pubblica benevolenza. Altro che Mafia Capitale. Siamo sicuri che al Ministero delle Infrastutture di tutto questo hanno già cominciato a discutere. Sarà bene che se ne discuta e ci si muova anche dal lato degli interessi popolari, come abbiamo provato a fare nel primo Forum Metropolitano a Tor Bella Monaca la scorsa settimana.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa