L’economia reale non segue gli ordini della retorica governativa. E quindi i consumi restano al palo nonostante le rodomontate di Renzi.
Quelli che lo capiscono istitivamente sono i lavoratori dipendenti, i precari, i pensionati, tutti queli che hanno un reddito basso. Ma quelli che lo misurano “scientificamente” sono gli esercenti, perché sui consumi altrui ci vivono, guadagnano, prosperano. Oppure no.
Così non stupisce che stamattina, presentando come ciclicamente avviene, il prodotto del proprio Ufficio Studi, Confcommercio metta più di qualche ountino sille “i”. A partire dal ritmo risibile della “crescita”: se tutto andrà per il meglio, di questo passo, torneremo ai livelli pre-crisi (2007) soltanto tra quindici anni. Ventitre anni per ritrovarsi al punto di partenza non sono pochi; significa saltare di netto una generazione. Persino a una velocità di crescita il doppio dell’attuale questo “traguardo” passatista verrebbe raggiunto in almeno 6-8 anni (il “buco, in quel caso, sarebbe di “soli” quindici anni o giù di lì).
Consuntivi di vendite alla mano, infatti, i commerciani spiegano che la caduta dei consumi (-11,3%) è andata quasi di pari passo con quella del Pil (-12,5%). Per i redditi però era andata anche peggio (-14,1%). La differenza si spiega solo con la relativa ”incomprimibilità” di alcuni consumi (per esempio quelli aliementari), di cui non si può proprio fare a meno.
Il ritorno ai livelli di crisi viene stimato sulla base di una crescita dell’1,25% per pil, dello 0,95% dei consumi e dell’1,05% per il reddito disponibile, a fronte di una variazione della popolazione in linea con le stime prodotte dall’Istat negli scenari di lungo periodo (+0,2%). Ma appaiono già numeri ottimistici, se messi a confronto con la tendenza reale.
Nuemri negativi che però non fanno ragionare affatto meglio i commercianti, da sempre “liberisti de noantri”, che non mettono affatto in discussione le ricette escogitate dall’Unione Eurpea e messe in atto da governo Renzi. “L’attivazione rapida delle riforme strutturali, il consolidarsi di un diffuso clima di fiducia favorevole e una credibile politica fiscale distensiva renderebbero questa sfida alla portata del nostro paese”.
Peccato che loro vedano un “contesto altamente penalizzante in cui operano le imprese”. Il che sembrerebbe assurdo visto che nulla sembra ormai in grado di fermare la deriva neoliberista. E in effetti le cose che chiedono al governo riguardano aspetti diversi dal puro e semplice costo del lavoro. “Ponendo a confronto alcuni indicatori di Italia e Germania, si rileva come per i nostri imprenditori sia molto più difficile fare impresa. I tempi della giustizia, la pressione fiscale, i costi di gestione, la contraffazione e l’abusivismo si associano ad una difficoltà a sfruttare le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie”.
“Nel 2014 – nota l’Ufficio Studi Confcommercio -, la capacità del tessuto imprenditoriale dei servizi di mercato si è ridotta in maniera significativa, mostrando, tra iscrizioni e cancellazioni di imprese nei registri delle Camere di Commercio, un saldo negativo di circa 70mila unità”. Nemmeno una parola, neanche davanti a questa moria di piccole imprese, sullo strabordante peso della grande distribuzione. Che bisogna fare, per tenere insieme la Confcommercio…
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