Per un secolo l’automobile è stata la merce-pivot dello sviluppo capitalistico. Simbolo di libertà, mezzo di mobilità individuale, status symbol, schiavitù domestica, catalizzatore di tasse e balzelli, bisogno primario nella modernità metropolitana. E aggiungete voi tutto quel che manca a questo elenco.
Normale, dunque, che “i mercati” reagiscano malissimo al tracollo di credibilità che deriva da due notizie pessime in contemporanea – come se non ce ne fossero già abbastanza – concernenti proprio il settore auto. La prima, e più importante, riguarda il gruppo Nissan-Renault, uno dei player globali più solidi, che avrebbe fatto esattamente come Volkswagen, truccando le centraline che dovevano abbattere le emissioni nocive.
France Presse, su segnalazione del sindacato Cgt del sito di Lardy, ha riferito che stamattina gli investigatori del servizio antifrodi francese hanno sequestrato i computer di alcune sedi Renault. L’operazione si era svolta una settimana fa e aveva colpito i settori ”omologazione e messa a punto dei controlli motori”, segno certo che l’imputazione riguarda lo stesso “reato” commesso dal concorrente tedesco.
Gli ispettori francesi sembra abbiano puntato soprattutto sulle centraline di gestione del motore turbodiesel Energy 1.6 dCi (130 e 160 cavalli ), montato su numerosi modelli del gruppo Renault-Nissan (Renault Espace, Nissan Qashqai, ecc) ed anche su qualche Daimler-Mercedes (la Classe C). Il legame con lo scandalo Volkswagen sarebbe in questo caso assolutamente diretto: 1.6 Dci monta infatti le centraline Bosch Edc17, le stesse usate sui motori Volkswagen (EA 189) al centro del diesegate.
Del resto, come aveva sottolineato questo giornale nei giorni dello scandalo Volkswagen, “se nessuno riesce ad abbattere le emissioni al di sotto di certi livelli, vuol dire che c’è un limite fisico, non solo economico o tecnologico”. In altri termini, e prima che anche altri produttori vengano trascinati in catene (metaforiche) davanti a un tribunale, tutto il settore auto globale si regge da alcuni anni su una truffa ai danni dei clienti (che comprano l’auto pensando che sia più “ecologica”, quindi abilitata a circolare anche durante i sempre più frequenti blocchi del traffico) e soprattutto ai danni di tutta l’umanità, che viene allegramente avvelenata da alcune centinaia di milioni di veicoli che rilasciano emissioni molto superiori al dichiarato.
La seconda notizia è più ordinaria, ma sempre di truffa si tratta. E riguarda Fiat Chrysler Automobiles, ovvero il gruppo multinazionale degli Agnelli guidato al momento da Sergio Marchionne. Semplice falsificazione dei dati sulle vendito, come denunciato da 2 concessionari di Chicago, che affermano di essere stati indotti a falsificare i dati sulle vendite mensili per guadagnare un “premio” offerto dalla casa.
Su Fca pesano anche altri problemi, come il ritardo nella produzione della prima auto ibrida del gruppo e il calo drastico delle vendite in Russia (oscillante tra il – 35 e il meno 46%).
Entrambi i gruppi guidano la classifica dei cali in borsa oggi (per Renault, ad un certo punto, anche -20%), in una giornata peraltro aperta in modo tragico da Tokyo (-2,7%) sull’onda dell’altrettanto pessima chiusura di Wall Street ieri. I mercati europei, fino all’apertura di New York, avevano virato molto in ribasso (in alcuni casi oltre il -3%), snobbando persino il buon dato sulla crescita tedesca (+1,7%), leggermente superiore alle atese (+1,6); solo il piccolo “rimbalzo” statunitense – a due ore dall’apertura – ha consentito di ridurre le perdite, ma senza lasciare il “territorio negativo”.
Dovunque si giri lo sguardo, il meccanismo dell’accumulazione sembra essersi grippato. E ai vertici si cerca di andare avanti a forza di debito oppure di truffe vecchio stile…
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