Menu

Alten, o il colonialismo in salsa hitech dentro l’università

Ci sono occasioni in cui l’ideologia imperialista viene veicolata in maniera più chiara e netta di come si fa di solito di solito sui media e attraverso le altre cinghie di trasmissione della grande borghesia.

Una di queste sono le abituali “incursioni” che le imprese fanno nelle Università per fornirsi di manodopera in loco, costruendo canali privilegiati con singoli docenti o dipartimenti.

Parliamo in questo caso di una multinazionale francese della “consulenza ingegneristica”, ovvero Alten. Il mercato delle consulenze ingegneristiche è di recente esplosione: molte delle aziende di tale settore (a parte le più grandi) si sono formate quasi tutte a partire da fine anni ’80 e negli annni ‘90, con l’espansione massiva del settore informatico e l’estendersi della precarizzazione e della parcellizzazione al lavoro tecnico-intellettuale.

In pratica si tratta di aziende non manifatturiere, i cui dipendenti sono quasi tutti ingegneri, informatici o economi, che vendono alle società da cui ricevono la committenza, in alcuni casi pezzi di software (ad esempio, nel campo della sicurezza informatica o della sicurezza ferroviaria o degli algoritmi in ambito finanziario), in altri casi direttamente la forza lavoro che, dopo un periodo di formazione ad hoc sulla mansione che andrà a svolgere (non retribuito o retribuito largamente sotto i 1000 euro), viene mandato a lavoro nella sede del “cliente” come dipendente esterno. Le società clienti sono, tipicamente, le grandi multinazionali manifatturiere, le banche o anche la Pubblica Amministrazione; i quali, pur di non assumere tecnici in maniera stabile, accettano di pagare la committenza.

Va da sé che il “consulente” (così viene chiamato eufemisticamente il lavoratore assunto da tali aziende) è una figura altamente precaria, poiché lavora tipicamente sui progetti singoli dei “clienti”, che sono, di fatto, i veri padroni; una volta terminato il progetto o cessa anche il contratto con la società di consulenza, oppure la stessa lo richiama e, dopo un eventuale periodo di formazione ulteriore, lo invia in una’altra zona del paese di appartenenza o all’estero, a lavorare ad un altro progetto. Tant’è che grande parte dei colloqui lavorativi con queste società è dedicato a far capire al candidato che deve essere massimamente “flessibile” nella tipologia contrattuale, nelle mansioni da svolgere e nella disponibilità a spostarsi ovunque.

Tornando al caso in questione, durante la presentazione aziendale, al momento di sciorinare i mercati internazionali in cui è presente l’azienda, l’ingegnere responsabile di una delle divisioni italiane di Alten, relativamente giovane, quando giunge alla slide ritraente l’Africa, argomenta così la presenza dell’azienda su questo mercato: “Siamo presenti in Africa per ovvi rapporti di tipo coloniale fra questo continente e la casa madre”.

Un’affermazione di questo tipo è, da un lato, profondamente auto rivelatrice di come i padroni guardano al mondo, dall’altro, tuttavia, dovrebbe essere considerata una gaffe da parte di uno sprovveduto dirigente senza esperienza, che rivela pubblicamente le logiche aziendali anche quando queste contrastano con l’immagine di generosi benefattori dell’umanità che i padroni danno di sé. Tuttavia, ad eccezioni di un paio di ascoltatori, che si sono guardati facendosi un sorriso ironico, non vi è stata alcuna reazione da parte dell’uditorio, un soggetto sociale debole e disorientato dall’evidente iato intercorrente fra le aspettative maturate frequentando l’Università e l’amara realtà del “mercato del lavoro”.

Il dirigente in questione ha poi completato la sua performance quando, nello sciorinare i numeri degli assunti al sud Italia (per poi andare a lavorare fuori, ca va san dire), che sono la maggior parte, ha inteso esplicitare così che si tratta di una strategia dettata dal fatto i costi della manodopera meridionale sono minori:”Noi (meridionali) abbiamo più fame!”.

Il quadro è così completo: abbiamo un pezzo di sciovinismo francese pronunciato da un italiano e un pezzo di auto-colonialismo meridionale. Non c’è che dire: un ascaro ideologico in piena regola!

Questo genere di episodi sono molto ricorrenti nei momenti di primo contatto fra i padroni e l’intellighenzia tecnica, rispetto alla quale le esigenze di cooptazione ideologica sono maggiori rispetto ai lavoratori meno qualificati, sia perché per questi ultimi i meccanismi di precarizzazione, parcellizzazioni e sostituzione con le macchine sono più immediati (si può delocalizzare e dismettere una fabbrica manifatturiera, ma il controllo sui processi di produzione e di finanziarizzazione resta sempre nei paesi imperialisti per cui, per i tecnici addetti a queste mansioni, il massimo di precarizzazione possibile è costituito, appunto, dall’assunzione su progetto, ma la dismissione totale è impossibile), sia perché all’interno dell’intellighenzia tecnica verranno presi i futuri burocrati (cosiddetti dirigenti) della borghesia.

E’ chiaro che questi temi attengono quello più ampio del ruolo effettivo dei cosiddetti lavoratori intellettuali che, attualmente, per la scarsa coscienza di classe e per le pastoie ideologiche in cui sono irretiti dal sistema universitario e da quello aziendale, costituiscono tutt’altro rispetto al nuovo soggetto rivoluzionario di cui alcuni favoleggiavano ad inizio secolo e richiamano in maniera più ampia ai temi attinenti all’organizzazione di classe nell’attuale divisione internazionale del lavoro.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *