Il 2017 potrebbe essere l’anno risolutivo della lunga guerra d’Italia iniziata con Mani Pulite e il referendum per il maggioritario indetto da Mario Segni del 1992. Oggi come allora, ritroviamo quasi gli stessi protagonisti, da una parte la Gran Bretagna, dall’altra l’asse franco tedesco, entrambi protagonisti della perdita di quel minimo di sovranità garantita nella Prima Repubblica.
Ma oggi, sullo sfondo, troviamo la nuova amministrazione Trump, la Russia di Putin e, in maniera defilata, la Cina. Tutti vogliono mettere un alfiere nello scacchiere Italia, portaerei militare e commerciale dell’intero bacino del Mediterraneo, area che da qui a pochi mesi sarà protagonista di una nuova spartizione tra Usa e Russia con una nuova Yalta, che abbraccia Iran, Siria, Israele, Libia, Egitto e, appunto, Italia. Il referendum del 4 dicembre costituisce lo spartiacque come quello promosso da Segni nel 1992. Del resto lo stesso Renzi pochi giorni fa dichiarava che un accordo Trump Putin apriva scenari nuovi per il nostro Paese, assieme alla Brexit. Cerca di districarsi tra Berlino e Londra-Washington, tra Mosca e Pechino, ma è un gioco più grandi di lui, al quale non ha saputo nemmeno giocare visto che aveva fatto il tifo per la Clinton e lui, assieme alla Merkel, era il referente in Europa del Partito democratico americano.
Per otto anni, dalla crisi del 2008 fino ad oggi, l’amministrazione americana ha dato il dominio sull’Europa alla Germania, in funzione antirussa. Ma ora le carte si sono mescolate, dalla Brexit, a causa del quale la Germania potrebbe perdere un mercato che vale 110 miliardi di sue esportazioni, alla politica commerciale e valutaria di Trump, finalizzata ad abbattere i surplus dei paesi mercantilisti, in primis proprio la Germania, che ha un avanzo delle partite correnti pari alla sbalorditiva percentuale dell’8.9%.
Poi, l’accordo con Putin, che ne farebbe il dominus in Europa proprio a scapito dell’asse franco tedesco. In questo scenario troviamo la strategica media potenza italiana, oggetto di bramosia delle massime potenze e che è percorsa da anni da una guerra finanziaria finalizzata ad espropriarla del suo bene più prezioso, quei 4 mila miliardi di euro di risparmio.
La Francia si sta attrezzando non solo avendo preso la Bnl e Parmalat, ma ora ha le sue mire su Telecom, Generali, Unicredit e Mediaset. Se il colpo gli riuscisse con gli asset italiani potrebbe affrontare quasi alla pari la Germania, oltretutto mettendo preziose pedine economiche, finanziarie e politiche su di un paese mediterraneo. Contraria a questo disegno è la Gran Bretagna, che vuole cacciare l’asse franco-tedesco dal Mediterraneo e sedere al tavolo delle trattative con Putin e Trump.
La Germania, con i Quisling italiani, da Monti a Prodi, da Renzi a Letta, vorrebbe continuare a dominare il paese come negli ultimi 8 anni perché si vede isolata, ad est con l’inimicizia russa, ad ovest con la Brexit, a sud con le opinioni pubbliche greche e italiane stufe del suo dominio. In ogni caso sarebbe fuori dalla nuova Yalta Putin e Trump.
Le battaglie scatenate intorno alle banche hanno questo obiettivo, simile a quelle sui titoli di stato del 2011, quale potenza straniera avrà messo il suo alfiere nello scacchiere Italia, strategica a seguito del raddoppio del canale di Suez e con l’Asia unica area ad avere masse sterminate di popolazioni con moneta pagante, l’unica che serve al modo di produzione capitalistico.
Ed in ogni caso un concorrente industriale da eliminare, obiettivo chiaro già dal 1992. Sullo sfondo troviamo l’onnipresente USA che ha dato un regalino all’asse franco tedesco: il nuovo capo della CIA è l’italo americano Pompeo, mentre il nuovo responsabile del Dipartimento Giustizia dovrà pronunciarsi sulle sanzioni a Deutsche Bank.
Guido Salerno Aletta (L’Italia ritorna pivot, Milano Finanza 19.11.2016) ipotizza un altro scenario per l’Italia, vale a dire un contemporaneo arretramento dell’asse franco tedesco e della stessa UK e una triangolazione sullo scacchiere italiano USA – Russia – Cina come fine del Novecento europeo.
Quest’ultima è la sola che darebbe al paese margine di manovra e permetterebbe la fuoriuscita dalla devastante crisi economica che dura da 9 anni. Le altre opzioni ci spolperebbero. Può darsi che si scannino tra loro, come già stanno facendo, ma che alla fine verrebbe un Pompeo qualsiasi a sbrogliare la matassa.
Tifiamo no al referendum contro i Quisling italiani, e tifiamo per una nuova Yalta. Avremmo tutto da guadagnare. Finirebbe la guerra dei 25 anni in Italia e forse avremmo modo di ricostruire il Paese, distrutto a seguito della firma del Trattato di Maastricht del 1991 e dell’adesione all’euro. Non c’è niente da fare, l’alleanza con la Germania non ha mai dato buoni frutti all’Italia. Che ora si scopre al centro di un gioco mondiale e che se avesse buoni giocatori potrebbero dare una chance alle sterminate masse di disoccupati e sottooccupati italiani.
* articolo pubblicato anche su Marx21.it
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