Come la metti la metti. Tutti i dati, nazionali o europei, confermano che negli ultimi dieci anni le disuguaglianze sociali in Italia sono bruscamente aumentate. La polarizzazione ha visto crescere in basso la platea di poveri assoluti e relativi (di cui si parla poco e su cui si indaga molto poco) e una “nicchia” di ricchi diventati più ricchi proprio mentre gli altri si impoverivano. Insomma si ripropone pienamente la materialità delle contraddizioni da cui è partito il giovane Marx facendo tremate i ricchi e i potenti in tutto il mondo.
Secondo le ultime informazioni diffuse in una audizione al Senato dal presidente dell’Istat, la povertà assoluta nel 2017 ha coinvolto quasi 1,8 milioni di famiglie, con un’incidenza del 6,9%, in crescita di sei decimi rispetto al 2016 (6,3%, era 4% nel 2008). Si tratta di circa 5 milioni di persone, cioè l’8,3% sul totale della popolazione residente in Italia e i sensibile aumento di anno: adesso è ‘8,3, era 7,9 nel 2016 e 3,9 nel 2008).
Ma la conferma del boom delle disuguaglianze sociali in Italia è venuta in questi giorni anche dall’ Eurostat, il quale ha reso noti i dati su quanto reddito è in mano al quinto della popolazione più ricca rispetto al quinto di quella più povera, in ogni paese europeo negli ultimi 10 anni. I dati confermano come in Italia il reddito del quinto dei cittadini più ricchi sia 6,3 volte superiore a quello del quinto dei più poveri. Siamo in questo senso nei primi posti della classifica per ampiezza della disuguaglianza sociale: in Europa in media i più ricchi guadagnano 5 volte più dei più poveri. In Germania 4,3 volte, in Francia il 4,6, in Gran Bretagna 5,1 e nei paesi del nord Europa meno di 4 volte tanto.
Non solo. Anche Eurostat conferma che in Italia la divaricazione è andata aumentando costantemente dal 2006 a oggi (nel 2006 i più ricchi guadagnavano 5,2 volte in più dei più poveri) mentre nella maggior parte degli altri paesi questo divario è rimasto stabile, come in Francia e Germania, se non addirittura diminuito, come è accaduto in Gran Bretagna dopo la Brexit.
Un rapporto di Istat del dicembre scorso, confermava i dati di Eurostat: in Italia nel 2015 il quinto dei più benestanti deteneva il 37,8% del reddito, mentre il quinto dei più poveri solo il 7,2% del reddito. Anche mettendo insieme il primo e il secondo quinto dei meno abbienti non si supera il 19% del totale del reddito nel 2016 (dato Eurostat), in diminuzione di un punto percentuale rispetto al 2010. Una situazione di perfetta eguaglianza, dovrebbe vedere ogni quinto possedere una quota di reddito pari al 20% del totale.
L’ultimo rapporto annuale di Istat per il 2017 , tratteggia anche i contorni di quella che definisce “classe dirigente”. Stiamo parlando di 1,8 milioni di famiglie (il 7,2 per cento dei nuclei familiari) e di 4,6 milioni di persone, cioè solo il 7,5 per cento della popolazione totale, assai meno dei poveri assoluti. Questa classe di ricchi – è questa la vera casta da abbattere – è rappresentata da famiglie a maggiore reddito equivalente, ed è composta per il 40,9% da dirigenti o quadri (quasi dieci volte più rappresentati rispetto alla media nazionale), per il 29,1% da imprenditori (sette volte più della media) e per il 30%per cento da persone ritirate dal lavoro ma con pensioni elevate (facendo due conti si tratta di circa un milione di pensionati d’oro che assorbono ben 45 miliardi della spesa pensionistica sui 218 che riguardano complessivamente 16 milioni di pensionati).
Adesso faranno il governo e lo faranno due forze – Lega e M5S – che in campagna elettorale hanno affermato di voler mettere le mani a tale situazione. Andiamo a verificarne la coerenza o la fufferia nei fatti. Intanto contro la disuguaglianze sociali e per mettere governo e parlamento alle strette ci si vede mercoledi 13 giugno sotto Montecitorio.
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