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Nuovo Governo: gli attori cambiano, l’austerità resta

Interrogato da un giornalista circa la possibilità che forze politiche contrarie all’austerità conquistino il potere in Italia, Mario Draghi – il governatore della Banca Centrale Europea – risponde nel 2013 che non c’è nulla da temere: “Il percorso di consolidamento fiscale proseguirà, come se fosse stato inserito il pilota automatico”. In buona sostanza, la realizzazione delle politiche dettate dall’Europa – dalle fatidiche riforme alla riduzione del debito pubblico – sarebbe impermeabile al processo democratico: l’austerità non può essere fermata.

Ricordare queste parole di Draghi può essere utile per iniziare a districare la matassa dell’attuale situazione politica italiana. Seguendo il filo rosso del pilota automatico, scopriremo che questa fase politica risulta meno complicata di quel che sembra. Le apparenze ingannano e, contrariamente a quello che si potrebbe pensare seguendo pedissequamente le concitate trattative di queste ore, solide certezze dominano l’orizzonte politico di quella che, sebbene tanto bistrattata, resta la terza potenza europea. Certezze che pesano circa 18 miliardi di euro, tenendo l’Italia saldamente ancorata al porto dell’austerità.

Pende infatti sulla testa del prossimo governo, qualsiasi esso sia, l’impegno a sottrarre all’economia italiana circa l’1% del suo prodotto tramite tagli alla spesa pubblica e aumenti delle imposte. Si tratta di un impegno verso la Commissione Europea che assume due forme distinte. Poco meno di 13 miliardi di euro servono a coprire spese già stanziate per il 2018, ma le cui coperture erano affidate ad entrate che non si sono verificate: specifiche ‘clausole di salvaguardia’, imposte dai vincoli europei, prevedono un aumento del gettito IVA esattamente corrispondente alle coperture venute a mancare, in modo da assicurare che la spesa pubblica in disavanzo non aumenti. A questa cifra vanno poi aggiunti circa 5 miliardi di riduzione del disavanzo strutturale che l’Italia si era impegnata a realizzare per avvicinarsi agli obiettivi imposti dal Fiscal Compact, un trattato che disegna la disciplina fiscale dei Paesi europei definendo rigidi schemi di riduzione del debito pubblico.

In assenza di un governo con pieni poteri sarà impossibile procedere a riduzioni del disavanzo strutturale, come vorrebbe l’Europa, mentre le clausole di salvaguardia scatterebbero automaticamente determinando un incremento dell’IVA progressivo – tra il 2019 e il 2021 – che porterebbe l’aliquota al 25% danneggiando i consumi, dunque la domanda interna, la produzione e l’occupazione. “Disinnescare le clausole di salvaguardia” è diventata quindi la parola d’ordine di queste ore: che sia un governo tecnico, invocato dai ‘responsabili’ del PD, o un governo politico, rivendicato da Di Maio, tutti si affrettano a dire che occorre impedire l’aumento dell’IVA. Ma come?

Nel rispondere a questa domanda, possiamo giungere a comprendere quale sia il significato politico del pilota automatico definito da Draghi nel 2013: nonostante le apparenti differenze tra le varie compagini politiche attualmente in Parlamento, emerge un’unità d’intenti  che ha il suo centro nella compatibilità con l’Europa, ovvero nella passiva accettazione delle politiche di austerità imposte all’Italia dalle istituzioni europee. Per tutte le forze politiche in campo, infatti, disinnescare l’aumento dell’IVA significa individuare coperture alternative a quella prevista dalla clausola di salvaguardia: in parole povere, significa sottrarre all’economia lo stesso ammontare di risorse, ma con misure diverse da un aumento dell’IVA e principalmente tramite tagli alla spesa pubblica. È evidente come non vi sia nulla di particolarmente virtuoso nella scelta di sostituire all’aumento dell’IVA altre equivalenti (o peggiori!) misure restrittive: tagliare la spesa pubblica significa ridurre sanità, istruzione, sicurezza, infrastrutture, investimenti, ossia alimentare la depressione dell’economia italiana. Le clausole di salvaguardia sono una minaccia per il nostro Paese non tanto perché prevedono un aumento dell’IVA, quanto piuttosto perché – più in generale – sono l’espressione di un ricatto apparentemente senza uscita imposto all’Italia: che sia attraverso un aumento dell’IVA o drastici tagli alla spesa, il prossimo governo dovrà sottrarre 13 miliardi di euro all’economia. Per scongiurare la minaccia, dunque, occorre rifiutare l’applicazione di quell’aumento automatico delle tasse accettando l’idea che a fronte di minori entrate registrate vi sia una maggiore spesa pubblica in disavanzo. Nel proporre tagli alla spesa pubblica o forme alternative di aumento della tassazione, le forze politiche in campo dimostrano tutta la loro conformità allo schema dell’austerità, e dunque l’impossibilità di individuare nell’attuale Parlamento alcuna via d’uscita dalla crisi che quell’austerità continuamente riproduce. Il partito che ha raccolto più voti proprio perché si è presentato come una forza anti-sistema, il Movimento Cinque Stelle, ha precisato subito dopo le elezioni che intende semplicemente sostituire all’aumento dell’IVA dei tagli alla spesa: “la spending review è importante”, ha detto Di Maio, e “prima di parlare di sforamento del deficit, andiamo a recuperare i soldi spesi male e investiti male”. Certo, l’idea di recuperare soldi “spesi male” sembra nobile, ma la storia degli ultimi anni di austerità ci insegna che queste operazioni di spending review portano invariabilmente a colpire i capitoli più consistenti del Bilancio dello Stato, quelli che finanziano lo stato sociale, l’istruzione, le infrastrutture e le pensioni. Infine, dal punto di vista del funzionamento del sistema economico, occorre sottolineare che persino i soldi “spesi male” hanno un ruolo di stimolo dell’economia, poiché l’eventuale parassita che li riceve li utilizza poi per acquistare beni di consumo, spendendoli bene e dunque alimentando i redditi, la produzione e l’occupazione: è questo il motivo per cui qualsiasi politica restrittiva è un passo in più verso la crisi, la disoccupazione e la povertà. Le attuali forze politiche non propongono di cambiare la rotta dell’austerità ma si differenziano solo nella misura in cui propongono diverse varianti dell’austerità, suggerendo diverse composizioni per misure di austerità che nessuno ha la volontà politica di combattere. Non vi è alcuna distinzione tra ‘responsabili’ e pericolosi sovversivi nel nostro Parlamento, ma una convergenza di fatto circa l’adesione al progetto politico neoliberista imposto dalle istituzioni europee.

Le clausole di cui tanto si discute oggi sono poste a salvaguardia dell’austerità, ed è il pilota automatico che deve essere disinnescato, non tanto l’aumento dell’IVA in sé. Una seria prospettiva di rilancio della produzione e dell’occupazione passa necessariamente per il rifiuto di qualsiasi ulteriore politica restrittiva. Abbiamo precisi impegni con l’Europa: ci siamo impegnati a ridurre la spesa pubblica, ad aumentare le tasse, a smantellare lo stato sociale, ad accentuare ulteriormente la precarietà del lavoro. Rispettare questi impegni significa alimentare la povertà e la disoccupazione, la desertificazione industriale del Paese e la sua marginalizzazione politica: questo è il programma politico che unisce tutte le forze politiche sedute in Parlamento, il cemento che rende coese le diverse sensibilità politiche – da Salvini a Grasso passando per Di Maio. A dispetto dell’apparente disordine, delle scaramucce tra questi comprimari della politica europea, regna oggi in Italia tutta quella stabilità che serve all’Europa per portare avanti le sue politiche neoliberiste.

Lo spettro dell’aumento dell’IVA sarà quindi persino più importante dell’aumento dell’imposta in sé, restituendoci il senso profondo del pilota automatico di Draghi: il prossimo governo, che si profila composto da Movimento Cinque Stelle e Lega, potrà presentare i tagli alla spesa pubblica, cioè la propria declinazione dell’austerità, come il suo opposto, come un salvifico intervento che si oppone alla scure dell’IVA.  È la pacificazione politica del massacro sociale, è il nostro primo problema da oggi.

* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.wordpress.com/

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