Il Ministero delle Infrastrutture a Capodanno ha fatto sapere che sul 90% della rete autostradale i rincari 2019 sono stati evitati. Una verità parziale. Su un totale di 26, ci sono infatti 11 società concessionarie che sono state autorizzate a praticare tariffe più alte dal 1° gennaio. E, si badi bene, non si tratta di tratte secondarie: ci sono, per esempio, le autostrade Torino-Piacenza-Brescia, l’Autocisa, la Torino-Savona e la Savona-Ventimiglia. Occorre però riconoscere al ministro Toninelli che gli aumenti autorizzati dal ministero sono tra i più bassi dell’ultimo decennio.
I chilometri di autostrade sottoposti a pedaggio in Italia sono 5.868, di questi, per ora, 5.208 chilometri, cioè l’88,75% sono percorribili senza rincari. Il problema però è che probabilmente i rincari evitati il 1° gennaio 2019 scatteranno in futuro. I gestori privati infatti non hanno rinunciato a ottenerli, hanno solo trovato un accordo col ministero per rinviarne l’applicazione. Non è affatto improbabile che questo comporterà una maggiorazione, quando saranno autorizzati gli aumenti, che andrà a coprire anche i mesi di mancata applicazione dell’aumento.
C’era stato un precedente, quello dei rincari del 2014, che furono sospesi dall’allora ministro Maurizio Lupi ma poi vennero applicati su ordine del Tar presso cui avevano presentato ricorso le società concessionarie.
Più chiaro è il fatto che già dal mese prossimo, secondo Il Sole 24 Ore, i pedaggi saranno più alti del 2,64% su altri brevi ma importanti tratti autostradali del Nord: le tangenziali milanesi (la Est, la Ovest e la Nord) e sulla Milano-Serravalle (che fanno capo agli enti locali, con una quota del gruppo Gavio, che invece controlla le autostrade del Nord-Ovest citate prima).
Sempre secondo il giornale della Confindustria, l’andamento dei rincari nel tempo risente anche di fattori contingenti. Come i piani finanziari con cui ogni cinque anni Stato e gestori concordano gli investimenti da effettuare nel periodo e il modo in cui remunerarli. Attualmente non sono pochi i piani finanziari scaduti (come alcune concessioni, che hanno creato situazioni complesse).
Nel frattempo l’unico provvedimento adottato dal governo contro i “padroni del pedaggio” è stata l’estensione delle competenze dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti (Art) anche alle concessioni autostradali già esistenti. L’Autorità era stata costituita nel 2013, limitandone però i poteri in ambito autostradale solo per quelle future e non per quelle già esistenti. In pratica era stato l’ennesimo regalo alle società private concessionarie delle autostrade per metterle al riparo da eventuali interventi dello Stato.
L’ effetto collaterale, secondo fonti confindustriali, è la diminuzione di interesse degli investitori privati sul settore autostrade a causa della “incertezza”. I padroni del pedaggio erano abituati a profitti assicurati senza muovere un dito e adesso temono che qualcosa o qualcuno possa mettere il naso in questo sistema vergognoso, soprattutto dopo quanto accaduto a Genova.
Al momento, dopo il crollo del Ponte Morandi e il verminaio venuto fuori sulle concessioni autostradali, non c’è stato altro. Della proposta più efficace – la nazionalizzazione – si è già persa traccia.
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