Se solo per un momento qualcuno si fosse illuso che sarebbe stato sufficiente un governo più filo europeista per addolcire i cerberi rappresentanti della governance europea, dovrà subito ricredersi. L’attuazione o meno del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) in tal senso è altamente significativa.
Una costruzione politica come l’Unione europea nata per svolgere senza sconti compiti di polizia economica e per modificare radicalmente le relazioni tra gli Stati e tra le classi sociali all’interno degli Stati, non ammette, non può ammettere e soprattutto non vuole ammettere deroghe.
Lo testimoniano implacabilmente due fatti verificatisi in questi giorni
La prima questione riguarda il giudizio formulato dalla Commissione europea sulla legge di stabilità 2020: un semaforo verde a tempo per il nostro paese. Se per ora l’Italia non è chiamata a misure immediate per riportare in carreggiata i conti pubblici, resta puntata l’attenzione sul nostro paese (e su altri sette ovvero Francia, Portogallo, Spagna, Belgio, Finlandia, Slovenia e Slovacchia). Insomma l’appuntamento è solo rimandato di qualche mese, presumibilmente in primavera.
In una frase di Dombrovskis è racchiusa tutta la filosofia de pensiero europeista “ Non chiediamo misure immediate all’Italia perché la situazione non è come quella dell’anno scorso”. Tradotto: se c’è un governo che disobbedisce o meglio finge di disobbedire ai parametri europei interveniamo subito per rimetterlo in riga, se invece c’è un governo filo europeista interveniamo con più calma. E’ solo una questione temporale…
Ma a ricordare il vero ruolo dell’Unione Europea ci ha pensato in questi giorni il dibattito che si è scatenato attorno al progetto di riforma del Mes.
Al di la dello scarico di responsabilità tra governo ed opposizione, colpisce l’atteggiamento non esattamente granitico anche all’interno della compagine governativa: mentre il premier Conte riferiva qualche giorno fa che l’Italia puntava al rinvio, il ministro dell’Economia Gualtieri difende l’operato del precedente ministro Tria, minimizza gli effetti della riforma sostenendo che non produrrà alcun impatto sul debito pubblico dei paesi dell’eurozona, ed anzi definisce il MES in corso di riforma “ un alleato e non un nemico” e che comunque il nostro paese non ne avrà bisogno perché “il debito è sotto controllo”.
Non esattamente quello che ritiene la Commissione europea che annualmente considera il bilancio italiano a rischio violazione del Patto di stabilità.
Ma al di là della sterile polemica politica di casa nostra, la riforma introduce aspetti sostanziali che vanno nella direzione di irrigidire ulteriormente la disciplina di bilancio. Una eterna coazione a ripetere.
Come è noto il Fondo Salva Stati (un eufemismo…) istituito nel 2012, finanziato dai paesi dell’eurozona (il nostro paese è il terzo contributore dopo Germania e Francia) serve per accordare prestiti agli Stati in difficoltà. Sorvoliamo sulle modalità con le quali è stato prestato aiuto alla Grecia, se non per sottolineare che l’obbiettivo del progetto di riforma del Mes è proprio quello di generalizzare e rendere ordinario quel modello.
Infatti, nel progetto di riforma le linee di credito per gli Stati in difficoltà sarebbero sostanzialmente due: le linee di credito precauzionali (precautionary conditioned credit line le c.d. PCCL) e le linee di credito rafforzate (enhanced conditions credit line le c.d.ECCL).
Per accedere alla prima linea di credito (le c.d. PCCL) occorre essere in regola con una serie di requisiti rigorosamente fissati da paletti che di fatto coincidono con i parametri stabiliti dal Fiscal compact (rapporto deficit/Pil del 3%; debito pubblico inferiore al 60% del Pil o riduzione dello stesso nei due anni a una media di 1/20 l’anno, ecc): insomma si tratterebbe di un caso di salvataggio ordinario rivolto a Stati già con i fondamentali a posto.
Nei fatti un controsenso o perlomeno un caso pressoché impossibile e comunque non certamente applicabile al nostro paese o alla stragrande maggioranza dei paesi dell’eurozona.
Ed allora l’ipotesi (contraddittoria e pressoché impossibile) di accesso alle PCCL serve in realtà a spalancare le porte alla ristrutturazione del debito attraverso le linee di credito rafforzate rappresentate dalle c.d. ECCL sulle quali si gioca la vera partita ed il vero obbiettivo al quale punta la riforma del Mes.
Infatti, non essendo in regola con i requisiti di deficit e di debito, i paesi coinvolti potrebbero subire una valutazione di non sostenibilità del debito pubblico con conseguente obbligo di ristrutturazione ex ante del debito stesso ben prima di ottenere il finanziamento. Solo dopo tale ristrutturazione scatterebbe il prestito ovviamente subordinato a un programma di aggiustamento macroeconomico sotto stretta osservanza delle istituzioni europee.
Nel frattempo gli speculatori non starebbero certamente con le mani in mano; anzi, come ha ben spiegato Guido Salerno Aletta si determinerebbero le condizione ideali per operazioni speculative attraverso la vendita dei titoli del debito pubblico con conseguente abbassamento del loro valore ed innalzamento dei tassi di interesse.
I sostenitori della riforma del MES riferiscono che in realtà rispetto al testo del 2012 nulla sarebbe cambiato poiché già la precedente versione del Trattato contemplava in ipotesi eccezionali la partecipazione del settore privato alla ristrutturazione del debito.
Ma qui entra in ballo un punto dirimente del nuovo Mes: la riforma delle Clausole di Azione Collettiva (le Cac) previste nei titoli di Stato.
Le CAC consentono infatti di cambiare le condizioni contrattuali in modo che la ristrutturazione del debito comprenda tutti i titoli, non solo quelli che hanno acconsentito alla ristrutturazione. Ma attualmente per far scattare tali clausole (che esistono dal 2013) occorrono maggioranze qualificate non facili da raggiungere, per cui una minoranza di blocco, per esempio quelle delle banche italiane che detengono una parte importante del debito pubblico italiano (400 miliardi), potrebbe impedirne l’entrata in vigore.
La previsione delle maggioranze qualificate puntava proprio a dare l’impressione di voler limitare l’adesione alla ristrutturazione a casi in cui non vi fossero alternative percorribili. Ebbene con la riforma vengono introdotte le Single Limbs Cacs attraverso le quali si elimina il quorum richiesto per ogni singolo titolo coinvolgendo obbligatoriamente la totalità dei titoli, proprio allo scopo di agevolare e accelerare il processo di ristrutturazione. E così si aggirano le minoranze di blocco, si rende ordinaria l’ipotesi della ristrutturazione e si realizza una sorta di bail-in di massa.
Insomma, si realizza un autentico circolo vizioso, a scapito dei risparmiatori e degli investitori sui titoli di Stato e a vantaggio degli speculatori.
La riforma dell’MES appare quindi come una vera e propria trappola per attirare proprio paesi come il nostro: per scongiurare il rischio di sottoporsi alla ristrutturazione del debito si esaspererebbero le politiche di compressione della spesa sociale, la precarizzazione del lavoro e le privatizzazioni, ma avendo quelle politiche come effetto proprio l’aumento del debito pubblico (anche a causa dei circa 70 miliardi del servizio sul debito) di fatto il nostro paese finirebbe inevitabilmente all’interno dell’infernale meccanismo del nuovo Mes.
La gabbia dell’UE si stringe sempre più….
*Piattaforma Eurostop
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