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Il MES “ha fatto anche cose buone”

La crisi sanitaria innescata dalla pandemia da Covid-19 inizia lentamente ad allentare la presa. Un’altra crisi, dalle implicazioni potenzialmente altrettanto tragiche, è tuttavia già entrata nelle nostre vite, una crisi economica e sociale dalle proporzioni enormi e che colpisce, come sempre è il caso, in maniera asimmetrica. A soffrire sono e saranno le classi popolari, piagate da disoccupazione, salari da fame e condizioni lavorative sempre più difficili.

In mezzo a questa tempesta, le istituzioni europee hanno adottato una strategia originale, che consiste nel provare a contrastare la crisi economica attraverso la propaganda. Di giorno in giorno, di settimana in settimana, si rimanda a un po’ più in là nel tempo il momento in cui l’intervento finale e risolutivo, da realizzarsi attraverso un finora fantomatico Recovery Fund, verrà proposto (sottolineiamo: non implementato, non messo in atto; stiamo ancora tutti aspettando una prima proposta).

Lo scenario è indubbiamente fosco, ma ecco materializzarsi un piccolo spiraglio di luce. Il famigerato Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), già strumento attraverso il quale si sono spezzate le reni alla Grecia, sarebbe diventato nel frattempo un po’ meno famigerato. I fondi messi a disposizione attraverso questo strumento sarebbero infatti erogati senza alcuna condizione se non quella di destinare le risorse a finanziare spese sanitarie, dirette e indirette.

A sentire i ben informati, il ricorso al MES garantirebbe all’Italia un  risparmio di 7 miliardi di euro. Si tratterebbe di un minor costo dell’indebitamento derivante dal fatto di potersi indebitare direttamente con il MES a tassi vantaggiosi invece che raccogliere fondi nella maniera usuale, ossia attraverso l’emissione di titoli del debito pubblico da remunerare ai tassi di mercato.

Occorre specificare, tuttavia, che si tratta di un risparmio calcolato su un orizzonte di 10 anni, e non un risparmio di 7 miliardi all’anno. Le minori spese per interessi, nel caso di ricorso al MES, non supererebbero i 700 milioni di euro annui.

Per avere un’idea dell’ordine di grandezza di questo risparmio, è sufficiente considerare che lo Stato spende ogni anno circa 70 miliardi di interessi sul debito: a conti fatti, ricorrendo al MES la spesa complessiva per il servizio del debito si ridurrebbe di un misero punto percentuale. Il risparmio in termini di interessi è, quindi, una goccia nell’oceano.

Una goccia nell’oceano, dicevamo, ma sembrerebbe quantomeno una goccia che va nella direzione giusta, garantendo un risparmio di risorse pubbliche senza alcuna controindicazione. Tutto questo ragionamento, però, poggia sul prendere alla lettera la rassicurazione che l’erogazione dei fondi del MES avverrà senza condizionalità.

Le cose purtroppo non stanno affatto così, e non è difficile capire il perché. Certamente non vi sono condizioni specifiche, quali Memorandum o piani di aggiustamento macroeconomici ad hoc legati alla linea di credito erogata. Tuttavia, il problema è più profondo ed è legato al contesto complessivo entro cui il MES agisce, quello della disciplina di bilancio stabilita dai trattati. 

Il MES, come il suo direttore Klaus Regling si premura sempre di ricordare, si comporta esattamente come un qualsiasi creditore, che in quanto tale vuole essere ripagato. Questo si traduce nel fatto che, per accedere alle sue linee di credito, un Paese deve soddisfare dei requisiti in termini di sostenibilità della propria posizione debitoria generale.

Anche questo però, ad oggi, non parrebbe un problema: è notizia di pochi giorni fa che, a seguito di un’analisi preliminare condotta dalla Commissione Europea, il debito pubblico di tutti i Paesi dell’area Euro è stato giudicato sostenibile (i miracoli della benevolenza europea…) e non sussistono quindi ostacoli per nessuno per poter iniziare ad attingere ai fondi del MES.

Dove si annida quindi la fregatura?

Il problema è che la sostenibilità del proprio debito pubblico non è prerequisito solamente per avere accesso alle linee di credito, ma è necessaria anche per preservare nel tempo questo accesso. Sottoscrivendo il MES, uno Stato avrebbe la facoltà di ottenere ad ogni richiesta di prelievo un importo massimo pari al 15% dell’ammontare massimo concedibile (circa 38 miliardi per l’Italia), il che significa che il prestito verrà erogato in almeno 7 tranches per un importo massimo di circa 5 miliardi ad ogni richiesta di accesso.

Ci sarebbero quindi, potenzialmente, almeno altre sei occasioni in cui un’analisi negativa della sostenibilità del debito pubblico di un Paese, magari perché non sono stati fatti tutti i compiti a casa, potrebbe portare all’interruzione della linea di credito.

Di dettagliare questi compiti a casa si occupa il secondo annesso all’analisi preliminare della Commissione, che espone cosa deve fare un Paese per mantenere il proprio debito pubblico sostenibile agli occhi attenti delle preoccupate istituzioni europee.

Nelle dichiarazioni del Consiglio Europeo del 9 aprile già si poteva leggere nero su bianco che, passata l’emergenza sanitaria, i Paesi membri si sarebbero impegnati a ritornare all’ovile dell’austerità, così come previsto dai dispositivi di coordinamento e sorveglianza messi in piedi dalle istituzioni europee. L’analisi preliminare della Commissione chiarisce il punto. 

Come si può leggere a pagina 7, la stella polare sarà la riduzione del rapporto tra debito pubblico e PIL, da perseguire attraverso “un aggiustamento fiscale in linea con l’impegno dei Paesi membri dell’area euro a rafforzare i propri fondamentali economici e finanziari, coerentemente con i framework europei di coordinamento economico e fiscale e di sorveglianza, inclusi i requisiti imposti dal Patto di Stabilità e Crescita oltre il 2021”.

Traducendo in parole semplici, aggiustamento fiscale significa taglio della spesa pubblica. Questo significa che, non appena la fase più severa della crisi sanitaria sarà alle spalle, si tornerà alle regole del gioco ‘di prima’, quelle che hanno messo in ginocchio la sanità pubblica e causato una disoccupazione stabilmente sopra al 10%.

Con la beffa ulteriore che quanto più il singolo Paese si sarà trovato in difficoltà e per questo avrà avuto bisogno di aumentare il proprio deficit rispetto al PIL, tanto maggiore sarà la dimensione dell’aggiustamento richiesto, come la Tabella 2 dettaglia.

Ecco quindi che l’assenza di condizioni del MES si traduce in assenza di condizioni aggiuntive rispetto all’ordinaria disciplina fiscale che viene imposta a tutti i Paesi dai Trattati Europei, dal Fiscal Compact in giù, e che viene presentata alla stregua di un elemento di natura, la cui presenza e cogenza sono talmente scontate che non c’è neanche bisogno di ribadirlo.

Ecco quindi che l’assenza di sorveglianza per i Paesi che accedono al finanziamento del MES va letta come assenza di sorveglianza speciale, aggiuntiva rispetto a quella ordinaria effettuata dalla Commissione Europea per verificare l’adesione ai dettami dell’austerità, come lo stesso Regling candidamente afferma.

A questo punto, però, un ultimo contro-argomento potrebbe sorgere: se la sorveglianza della Commissione c’è sempre e comunque, se il Fiscal Compact, annessi e connessi, esistono a prescindere da questi ultimi sviluppi, perché prendersela tanto con il MES? Quali ulteriori problemi sarebbero causati da questo strumento?

La risposta a questa domanda non è banale, perché non banale è la maniera attraverso la quale il ricatto del debito si manifesta e viene imposto dalle istituzioni europee. Il MES, in questo contesto, rappresenta niente altro che un ulteriore perfezionamento del meccanismo attraverso il quale le economie della periferia europea sono state schiacciate e disciplinate.

Una violazione del perimetro dell’austerità significherebbe la perdita delle condizioni per mantenere l’accesso alle linee di credito del MES.

Perdere i favori del MES però non significa solamente rinunciare ad un finanziamento a tassi vantaggiosi, ma rappresenta un segnale inequivocabile lanciato ai mercati finanziari: si può sottoporre il Paese ad un attacco speculativo, con conseguenze facilmente prevedibili fatte di spread alle stelle, costo del debito fuori controllo e instabilità finanziaria.

Con il risultato che il Paese in questione sarebbe obbligato, prima o poi, a capitolare e ingoiare tutte le dosi di austerità supplementare che le istituzioni europee ritenessero necessaria per poter concedere nuovo ossigeno.

Il MES senza condizioni non esiste, e non esiste per la sua stessa natura di elemento di un dispositivo di controllo e disciplina da brandire contro chi volesse provare ad allentare la morsa dell’austerità negli anni a venire.

Tutto il resto, compresi i tentativi di nascondere sotto il tappeto di un risibile risparmio in termini di spesa per interessi il sovrappiù di austerità che il MES comporterebbe, è propaganda. 

* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.org/

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2 Commenti


  • Paolo

    Quello che non ho capito è come è possibile che si debbano pagare 7 miliardi di interessi per un prestito di 37 miliardi in 10 anni.mi sembra una enormità. Il tasso di interesse complessivo sui dieci anni non sarebbe il 20 %? Qualcuno può spiegarlo?


  • Asdrubale

    la questione sarebbe la seguente: prendendo a prestito 37 miliardi dal mes invece che tramite ordinaria emissione di debito pubblico, ci sarebbe (calcola regling) un risparmio di circa 700 milioni all’anno (che se li moltiplichi per 10 ti danno i 7 miliardi di cui sopra). 700 milioni all’anno su 37 miliardi significa che la differenza annua tra il tasso che pagheresti ai ‘mercati’ e quello che pagheresti al mes è di circa 1.9 punti percentuali (700 milioni diviso 37 miliardi)
    così si arriva ai 7 miliardi. ferme restando tutte le altre ignobili fregature denunciate dall’articolo

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