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Il dopo Covid 19 richiede un modello economico alternativo al capitalismo

È stata un grande successo l’iniziativa del Cestes, centro studi dell’Unione Sindacale di Base (USB), che si è tenuta ieri. Il convegno, dal titolo “Ruolo dell’economia pubblica e nuova questione operaia”, ha lanciato importanti proposte per far fronte alla crisi attuale – innescata ma non prodotta dal nuovo coronovirus – che rischia di aumentare le disuguaglianze e le nuove povertà.

Al convegno hanno partecipato docenti universitari, ricercatori, sindacalisti dell’USB, ma anche operai e lavoratori che stanno vivendo la crisi sulla loro pelle. Inoltre, ha partecipato il presidente dell’INPS, Pasquale Tridico, che ha tenuto la relazione finale.

Confrontandosi con gli studiosi e i lavoratori, Tridico ha accolto la necessità di un diverso paradigma, nonostante abbia difeso l’intervento attuale dello Stato dinanzi alla crisi pandemica. “Negli ultimi decenni abbiamo osservato una compressione della quota salari e un aumento della diseguaglianza”. Una crisi come questa, richiede delle riflessioni importanti, ha spiegato Tridico, come quella sulla riduzione dell’orario di lavoro.

Roberto Montanari, dell’USB (logistica), ha aperto e coordinato il dibattito, sottolineando come il sistema liberista abbia fallito, mostrando la propria fragilità. I temi dell’intervento pubblico nell’economia e la salvaguardia dei valori socio-eco-sostenibili, con il richiamo al progetto dell’Alba Euro Afro Mediterranea, sono stati i filo conduttori del convegno. “Una Nuova IRI e le nazionalizzazioni, sia degli asset strategici che dei sistema bancario”, ne hanno altresì riguardato la parte programmatica.

Molto importanti sono state le testimonianze dei lavoratori, che hanno riportato le vertenze e i terreni di lotta e trasformazione in cui sono impegnati. Sasha Colautti, dell’USB (industria), ha affrontato la questioni sindacali, cui è impegnato, in particolare quelle inerenti al settore siderurgico, “uno dei settori industriali per eccellenza”. “Tutti i beni che riguardano i cittadini, che sono fondamentali, devo essere pubblici”, ha spiegato Colautti, il quale segue la vertenza ILVA/ArcelorMittal.

Le multinazionali hanno l’obiettivo di vedersi garantita qualsiasi immunità”, mettendosi al di sopra del diritto e dello stato. Per rilanciare l’economia nazionale, ha aggiunto Colautti, è fondamentale, inoltre, la riconversione ecologica e ambientale, uscendo dal falso conflitto tra “salute e lavoro”. Temi quanto mai attuali, durante questa pandemia.

Un’altra testimonianza che è stata raccolta è quella di Francesco Staccioli, dell’USB (lavoro privato), che ha riportato l’esperienza della vertenza Alitalia. Staccioli ha illustrato le perversioni del trasporto aereo, determinato dall’ideologia del cosiddetto “libero mercato”. Anche in questo caso, solo grazie all’intervento dello stato, tramite un Nuovo IRI e la nazionalizzazione, sarà possibile la ripresa del settore aereo. “Si tratta di risorse dei cittadini e della collettività che non possono servire a ingrassare i privati”, ma devono avere dei risvolti sociali. “Come lavoratori, abbiamo incarnato la rottura di questo schema perdente”.

Rita Martufi, direttrice del Cestes, ha sottolineato come siamo davanti ad un “vuoto di democrazia”, causato dalle politiche imposte all’Unione Europea dalle grandi corporation. Infatti, ha spiegato la studiosa, “il fallimento delle politiche neoliberiste portate avanti dalle classi dominanti europee per conto dei grandi agglomerati economici transnazionali risulta più che mai evidente con l’esplosione dell’emergenza sanitaria legata al Covid-19”.

Queste politiche”, inoltre, “hanno avuto come risultato la disintegrazione degli apparati industriali e del tessuto sociale di diverse economie europee, tra queste anche l’Italia”.

Secondo Martufi, “la recessione economica è già in atto” e non può che “deteriorare le condizioni di vita dei lavoratori”. Difatti, ci troviamo di fronte ad un “sistema asimmetrico e contraddittorio”, che ha portato allo “svuotamento del sistema sanitario pubblico” tramite i continui tagli in favore del privato. Inoltre, ha spiegato la studiosa, è da rilevare come il virus sia diffuso maggiormente nelle grandi aree industriali del paese.

Questo elemento dimostra come, anche in questo caso, si sia perseguita la logica del profitto ad ogni costo. Come non sottolineare, ha ribadito Martufi, che “l’Italia investe in armi ma non in salute”, continuando a partecipare a missioni militari all’estero e investendo in armamenti costosissimi. Secondo Martufi, “la crisi sanitaria sta aggravando le diseguaglianze” e “lo stato si piega dinanzi le pretese della classe dominante”, elargendo concessioni in “tempo record”, “mentre milioni di famiglie di lavoratori sono lasciate sole”.

Il sistema sanitario italiano, inoltre, tende ad avvicinarsi a quello degli altri paesi europei, ha sottolineato la studiosa, in cui i cittadini sono coperti da polizze assicurative “o da un sussidio mutualistico sanitario”.

Le privatizzazioni imposte dall’Unione Europea, inoltre, “in ossequio ai dettami del neoliberismo”, hanno portato a un ritiro dello Stato dall’economia, impoverendo le classi subalterne. Secondo Martufi, dunque, “è necessaria una rottura della gabbia imposta dall’UE”.

L’alta tassazione salariale è data, non tanto dalla ricerca di investimenti nel settore produttivo, ma dall’impossibilità per lo Stato di fare cassa in altro modo. Per uscire da questi paradigmi, ha concluso Martufi, è “necessario nazionalizzare i settori strategici della produzione”. Questa crisi pandemica, infatti, ha certificato il fallimento del sistema industriale italiano, che è stato massacrato e depauperato.

Dopo aver fatto il punto sulla situazione, i relatori hanno spiegato come questa iniziativa sia nata per indicare delle soluzioni in grado di invertire la rotta, proponendo un cambiamento di paradigma in favore dell’intervento dello Stato in economia.

Un nome che è tornato negli interventi è stato quello dell’indimenticato economista Federico Caffè, definito “un riformista radicale” da Mario Tiberi, professore universitario di Economia Politica alla Sapienza e uno degli interpreti più autorevoli del grande economista. Pertanto, Tiberi ha rilevato come Caffè fosse “portatore di una concezione riformista, i cui punti fermi sono stati: una politica economica che non escluda, tra l’altro, i condizionatori delle scelte individuali; che consideri irrinunciabili gli obiettivi di egualitarismo e di assistenza, che si riassumono abitualmente nell’espressione dello Stato garante del benessere sociale; che affidi all’intervento pubblico una funzione fondamentale nella condotta economica”.

Tiberi ha ricordato come “Caffè, più degli altri, ha saputo tenere ferma la direzione di marcia, anche quando, a partire dagli anni 80, il travolgente successo del neoliberismo, almeno per quanto riguardava il contributo degli economisti, riproponeva una data concezione apologetica dell’istituzione ‘mercato’, che”, in realtà, “l’opera di grandi studiosi, nonché l’esperienza storica, avevano, secondo lui, definitivamente ridimensionato se non liquidato”.

L’economista e direttore scientifico del Cestes, Luciano Vasapollo, ha fatto un ricco intervento in cui ha elencato importanti punti programmatici. Innanzitutto, lo studioso e docente alla Sapienza si è chiesto retoricamente se “ai tavoli per il costituendo processo post coronavirus stiano davvero parlando di programma e non di poltrone?”.

Con il pensiero rivolto a chi vive lo sfruttamento, “ogni giorno direttamente sulla propria pelle con lacrime e sangue”, Vasapollo ha relazionato una “proposta minima” di controtendenza. Come primo elemento, è essenziale “costruire un’area monetaria tra paesi con configurazioni produttive strutturali più omogenee”, che rappresenta un elemento dirimente “per raggiungere l’autonomia politica richiesta da un progetto di costruzione di democrazia partecipativa socialista, anche in una fase di transizione possibile”.

Questa alternativa è possibile, ha spiegato Vasapollo, sebbene richieda “la coniugazione immediata di un percorso tattico rivendicativo interno alle lotte e al conflitto sociale con la prospettiva strategica del superamento, in chiave socialista, del modo di produzione capitalista”.

Inoltre, Vasapollo, ha parlato di un “Programma Economico Sociale di Controtendenza”, in cui siano inserite, in maniera qualificata, le richieste dei lavoratori “e dei loro rappresentanti, ma anche dei cittadini e delle loro organizzazioni”.
Si tratta, attraverso questo programma, “di distribuire l’accumulazione valoriale a chi l’ha creata e a chi è stato impedito di entrare in un mondo del lavoro a pieno salario e pieni diritti”.

Come primo punto, Vasapollo propone la creazione di una “moneta comune, ovvero il SUCRE MEDITERRANEO”, la quale deve essere “associata ad una politica di piena occupazione e con produzioni solidali e eco-socio-sostenibili”.

Secondo lo studioso, questa moneta rappresenta “un’alternativa per paesi che, vista l’esperienza della semi periferia Euro-mediterranea, chiedono immediatamente di non essere parte del gioco di quella trappola che presuppone l’utilizzo politico-monetario dell’Euro per tutti i paesi con una base produttiva dipendente e meno sofisticata tecnologicamente, che quindi per forza di cose sono sottomessi ad una necessità d’importazione massiccia di prodotti proveniente dai paesi più avanzati del centro e nord dell’Europolo”.

Come secondo punto di questo programma di controtendenza, Vasapollo ha individuato “la nazionalizzazione delle banche”, la quale costituisce “la parte più importante del processo generale per uscire dalla finanziarizzazione dell’economia globale”. Se si elude questo obiettivo, infatti, “continuerà il deterioramento della qualità della vita e del lavoro al sol fine di aumentare il tasso di profitto”.

Dunque, “rompere la logica del capitale finanziario significa nazionalizzare le decisioni d’investimento per favorire le attività socialmente utili, sottoposte a un criterio di rendimento sociale ed ecologico, che sono criteri di medio e lungo termine”.

Il terzo punto, cui Vasapollo fa riferimento, è “il controllo sociale degli investimenti” al fine di dinamicizzare l’attività produttiva, orientando il “è il credito in funzione di ottenere il massimo sviluppo dell’occupazione e dell’utilità sociale”. Queste funzioni sfuggono alla “banca privata che è orientata al criterio del massimo profitto a breve termine”.

Il quarto punto spiega come la nazionalizzazione delle banche “in una situazione di insolvenza e di dipendenza dall’aiuto pubblico” sia anche “un requisito per evitare la fuga dei capitali e per eliminare la drammatica e storica tradizione capitalistica di privatizzare i profitti e socializzare le perdite”.

Un altro elemento importante, che costituisce il quinto pubblico, è senz’altro “la nazionalizzazione dei settori strategici delle comunicazioni, energia e trasporti”, che non solo potrebbero essere forniti ad un prezzo giusto, “ma allo stesso tempo potranno portare le risorse per realizzare una strategia di rilancio produttivo a breve termine che permetta di creare le condizioni affinché milioni di disoccupati nei paesi della periferia Europea mediterranea comincino a produrre ricchezza sociale nel minor tempo possibile”.

Infatti, ha spiegato Vasapollo, “questi settori strategici sono le attività produttive che stanno ottenendo maggiori benefici, come risultato della gestione delle risorse naturali non rinnovabili sulla base di una intensa socializzazione dei costi che non vengono imputati come costi interni (i costi di inquinamento, la distruzione di risorse naturali ecc.), o comunque tali settori stanno ottenendo forti risultati positivi perché stanno beneficiando della privatizzazione di reti di comunicazione e tecnologie, la maggior parte delle quali si sviluppano con risorse pubbliche”.

Inoltre, questo è il sesto punto illustrato da Vasapollo, “è assolutamente irrinunciabile invertire il flusso delle risorse, dal capitale verso lo Stato e la società, dalle rendite finanziarie verso i salari diretti e indiretti. Questo cambio radicale nella politica fiscale può stimolare le risorse necessarie in una prima fase per iniziare un vasto programma di rilancio economico e di miglioramento della qualità della vita. Bisogna capire questo nesso indissolubile fra mutamenti delle linee dello sviluppo e ruolo locale e centrale dell’industria pubblica e dell’economia pubblica in genere”.

Un altro tema (settimo punto) di cui ha parlato l’economista, è quello del cambiamento tecnologico “in un modello di sviluppo autodeterminato a compatibilità socio-ambientale”. Solo così, esso “può rappresentare un progresso tecnico e sociale” in quanto frutto “di una decisione collettiva dei lavoratori, maggioritaria, responsabile, aperta al dialogo, negoziata e contrattata”.

Invero, ha spiegato Vasapollo, questa “decisione si è lasciata sempre in mano degli imprenditori e del capitale”. “E’ importante”, al contrario, “il recupero tecnologico in settori per il nostro Paese tradizionali e lo sfruttamento della adattabilità alle esigenze ed alternative che si presentano di volta in volta, che sono possibili solo con un serio governo pianificato di indirizzo dello sviluppo che non può prescindere dal fondamentale ruolo pubblico nei servizi essenziali e nei settori strategici dell’economia”.

Secondo Vasapollo, è ineludibile (ottavo punto) “tassare finalmente nei modi diversi il capitale, fino a giungere anche alla tassazione dell’innovazione tecnologica, caricando gli stessi oneri gravanti sulla forza lavoro che va a sostituire, effettuare degli appropriati controlli attraverso un’anagrafe patrimoniale ed una efficiente anagrafe tributaria; tutto ciò significa far riappropriare i ceti meno abbienti della popolazione, i lavoratori, composti da occupati e non occupati, di quella ricchezza sociale da loro stessi prodotta e realizzata e che si è sostanziata nel tempo in quegli incrementi di produttività che sono andati fino ad oggi ad esclusivo vantaggio del capitale”.

Tutti questi elementi, hanno la prospettiva (nono punto) “di incanalare il risparmio verso investimenti produttivi, capaci di creare lavoro, di creare ricchezza non misurabile esclusivamente in termini di PIL, ma in termini di crescita di socialità, di ricchezza sociale ridistribuita pienamente al lavoro di civiltà e di umanità”, ha aggiunto Vasapollo.

Così facendo, si potrà, in effetti, rilanciare “il ruolo di uno Stato garante delle esigenze collettive e degli equilibri sociali, con controlli reali sull’evasione fiscale e con investimenti di tali entrate fiscali che pongano al centro gli interessi dei lavoratori e i bisogni socio-economici dei cittadini”.

Il decimo, e ultimo, punto, su cui Vasapollo ha rivolto l’attenzione, è quello di cui hanno bisogno le economie periferiche Europee “per uscire dall’attuale marasma”. Secondo l’eminente economista, si deve implementare una “politica di creazione massiccia di posti di lavoro a tempo indeterminato, a pieno salario e pieni diritti realizzato anche attraverso la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a 32 ore a parità di salario”.

Gli enormi bisogni sociali non soddisfatti (dalla casa, ai servizi e attenzioni per le persone a vario titolo non autosufficienti, i servizi sociali centrali e locali, dalla salute alla formazione all’educazione continua, ai servizi di gestione e cura dell’ecosistema ecc.)”, ha concluso Vasapollo, “possono essere coperti nel tempo con un programma sostenuto di formazione e creazione di posti di lavoro”. Affinché questi punti possano essere realizzati, ha infine detto lo studioso, “la politica deve dettare tempi e modalità dell’economia e non viceversa”.

* da Il Faro di Roma

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