Seguiamo da sempre con interesse la Cina, e l’abbiamo difesa da decenni, da quando tutti i media occidentali ne hanno fatto il nemico numero 1.
L’abbiamo difesa dall’infame accusa di essere l’untrice planetaria del Covid. Informiamo i lettori dei notevoli progressi compiuti dalla sua economia e dalla sua società civile nei campi scientifici, sociali, culturali e sanitari.
Abbiamo elogiato l’ottima politica sanitaria condotta per combattere il Covid e la straordinaria pensata della “Via della Seta sanitaria”. Siamo stati tra i primi ad informare sull’accordo commerciale con gli Usa di gennaio e prima ancora del Memorandum con il nostro Paese. E tanto altro ancora. Continueremo perciò a sostenere la Cina, per i suoi progressi socialisti, per la pace mondiale, per un futuro condiviso dell’umanità.
Ma qualcosa sta andando storto da un po’ di mesi. Informiamo della straordinaria capacità di risalita dell’economia cinese a cui non corrisponde, ad ora, un contributo determinante per la risalita mondiale.
Già a luglio, con l’export in crescita del 7.1% e l’import in diminuzione dell’1,4% si notava che il surplus commerciale, ben 63 miliardi di dollari, era troppo grande per l’asfittico commercio internazionale.
Oggi è uscito il dato di agosto, boom dell’export a 9.5% anno su anno, mentre l’import è ancora in diminuzione del 2,1%. Il surplus raggiunge 59 miliardi, nei primi otto mesi quasi 400 miliardi di dollari.
Così non va. Naturalmente non ci piace affatto Pompeo (segretario di Stato Usa), e non siamo ceto accusabili di essere simpatizzanti degli Usa. Ma riteniamo che l’economia possa reggere a lungo se c’è uno scambio equo, cosa che non succede da decenni; e che la Cina, a differenza di Germania e Giappone, che perseguono la politica mercantilista, sembrava volesse cambiare corso.
Ebbene, ad agosto, il surplus commerciale cinese verso gli Usa è cresciuto del 27% mentre l’import dagli Stati Uniti è stato pari ad un magro +1,8%. Per la pace mondiale, secondo la stessa dichiarazione cinese, sempre ripetuta, gli accordi debbono essere rispettati, al di là che siano stati firmati con Pompeo o il Deep State. Proprio per non darla loro vinta.
Stessa cosa con l’Italia, il Memorandum non ha prodotto significative variazioni del surplus cinese. Certo, è la forza della sua economia, ma l’economia, nelle relazioni internazionali, è molto ma non tutto. La Cina ha molti nemici, purtroppo, ma vediamo che fa poco per sbugiardarli. Un peccato.
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Redazione Contropiano
Giusta l’analisi, non sono d’accordo con la conclusione. Perché la Cina dovrebbe aiutare i paesi capitalisti che l’accusano di perseguitare i ragazzi di Hong Kong, i tibetani, gli Uighur, di avere creato il virus apposta, e arrestano la figlia di uno dei più importanti artefici del suo sviluppo tecnologico?
Il mondo non è più quello di dieci anni fa. C’è una nuova guerra fredda (spero non diventi calda) e il win-win non funziona più nei confronti dei paesi capitalistici centrali (diverso è il caso di quelli periferici, è giustissimo ad esempio importare dal Brasile di Bolsonaro per spiazzare gli americani e gli australiani). E ti fanno il golpe in Bolivia, e ci provano in Bielorussia, etc. I socialdemocratici, i verdi, e i “democratici”, con pochissime eccezioni, criticano Trump e la Merkel perché non sono abbastanza anticomunisti e guerrafondai.
E’ un gioco a somma zero. O vinciamo noi o vincono loro. Adesso che l’Occidente sta a pezzi, si deve bastonare il cane che affoga, sia pure in modo selettivo. Specialmente mosche cocchiere particolarmente provocatorie e arroganti ma vulnerabili come l’Australia, che è giusto che la Cina cerchi di affondare facendogli una guerra commerciale senza dichiararlo.
Peraltro, è vero che a livello di comunicazione e propaganda la Cina ha fatto passi avanti, ma ha ancora molto da imparare prima di avvicinarsi ai livelli sublimi, ad esempio, di un Berlusconi. Ma questo e’ un altro discorso…
Alberto Gabriele
T.S.
Seguo Kartana sempre con grande interesse, tuttavia credo che dovrebbe smorzare un po’ i toni partigiani, ne va dell’indipendenza intellettuale (che per un comunista risponde solo agli interessi di classe) e della qualità dell’analisi.
Precisato questo, non trovo nulla di cui stupirsi nei dati esposti.
Pensare che sarebbe stato sufficiente qualche giro di trattative bilaterali Cina-USA per modificare radicalmente un sistema economico-commerciale da decenni fondato sulla localizzazione produttiva concentrata in Asia da un parte e sul consumo (a credito) concentrato in Occidente e specialmente negli USA dall’altra, è una leggerezza che va evitata.
Simili riassestamenti richiedono molto più tempo, soprattutto quando non si dipanano in un contesto basato sulla presa di coscienza globale – cioè da parte di ogni classe dirigente che abita questo pianeta – della necessità di cambio radicale che attanaglia l’attuale modo di produzione di merci e servizi.
Più banalmente poi, va considerato il fatto che un sistema paese da 1,5 miliardi di persone, per la sua stessa dimensione non può avere l’agilità per trasformarsi da fabbrica globale a consumatore globale in uno schioccare di dita. Ci sarebbe inoltre da riflettere sul fatto che questa non sia la prospettiva che l’attuale classe dirigente del PCC intende seguire per il proprio Paese, e viene difficile dargli torto. La parabola statunitense del secondo dopoguerra sta li a dimostrare che si tratta di una via non percorribile se l’obiettivo è quello della riduzione della povertà generale e di uno sviluppo “armonioso” all’interno del consesso sociale e tra quest’ultimo e l’ambiente naturale in cui la medesima società vive e si sviluppa.
Meno amarezza, dunque, la strada è ancora troppo lunga da tracciare per scoraggiarsi dopo pochi passi.