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I soldi ci sono, perché fate finta di no?

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) ha diffuso una nota ufficiale in cui comunica che, “in considerazione dell’ampia disponibilità di cassa e delle ridotte esigenze di finanziamento”, vengono sospese le aste di titoli con scadenza superiore a 10 anni previste per il giorno 10 dicembre 2020.

Una decisione in realtà non nuova rispetto al passato, infatti, cancellare i collocamenti a medio-lungo termine di metà dicembre è una consuetudine per il Tesoro. Tuttavia, per questa occasione, alla luce della fase attuale, questa decisione pone parecchie domande sulle scelte politiche che il governo sta portando avanti.

Ci troviamo infatti in una situazione in cui sono esplose tutte le contraddizioni di un sistema in crisi da decenni, incapace di risollevarsi facendo ricorso solo alle “logiche di mercato” e che palesemente richiede un ripensamento radicale delle politiche economiche portate avanti finora, verso altre politiche in cui l’intervento dello Stato deve necessariamente avere carattere strutturale.

Eppure, gli ideologi del Capitale e i politici di tutti gli schieramenti ci dicono che “non ci sono i soldi” per portare avanti politiche industriali, piani di pieno impiego, investimenti in sanità, istruzione, ricerca, per l’abitare, ecc.  E che dunque il ricorso al Mes e – chissà quando, in un giorno lontano – al Recovery Fund è l’unico modo di finanziare la spesa pubblica relativa.

Davanti all’evidente necessità di fabbisogni insoddisfatti da finanziare e alla possibilità di accedere al finanziamento a bassissimo costo (ricordiamo che i tassi di interesse hanno toccato minimi storici, praticamente quasi a zero), come possiamo giustificare la decisione del governo di non emettere titoli?

Sicuramente non si può negare di aver ridotto all’osso un apparato pubblico, oltretutto privato degli strumenti adeguati a fare programmazione economica e indirizzare gli investimenti. Del resto, proprio questo era lo scopo delle politiche di austerità portate avanti negli ultimi 40 anni.

Ma soprattutto quello che emerge è la volontà politica di non invertire questa tendenza e di limitarsi solo alle “politiche emergenziali” necessarie ad evitare sollevazioni popolari.

La decisione, quindi, sembra legata alla volontà di preferire strumenti di finanziamento come il Mes e il Recovery Fund, che contengono pesanti “condizionalità politiche”, tutte finalizzate a garantire un maggior controllo da parte della governance dell’Unione europea sulla politica fiscale di questo Paese (e anche degli altri, specie mediterranei).

In poche parole: ci troviamo in una fase straordinaria in cui le banche centrali hanno dovuto inondare di liquidità i mercati finanziari per evitare il collasso, questa liquidità però non trova né rendimenti sicuri, vista l’incertezza generale, né la strada per arrivare all’economia reale (“i privati” hanno congelato gli investimenti).

Gli Stati sono quindi gli unici attori che possono assumersi i rischi e impiegare la liquidità portando avanti investimenti di ogni genere, a partire da quelli di carattere sociale o per la manutenzione del territorio; ma tutto ciò non viene fatto per motivi politici. Non astrattamente “economici”.

L’evolversi della crisi ci mostra quindi in modo sempre più evidente che non possiamo più accettare come risposta che “i soldi non ci sono”. Perché invece ce ne sono tantissimi, ma “congelati” sotto forma di risparmio oppure investiti in attività finanziarie, puramente speculative.

Abbiamo davanti un ventaglio infinito di opzioni di finanziamento, che vanno dalle tasse sui milionari all’emissione di titoli pubblici a bassissimo interesse, che ci permetterebbe di finanziare ciò di cui abbiamo bisogno.

Quello che è fondamentale, dunque, è riprendere in mano le leve della politica monetaria e fiscale, rafforzare tutto l’apparato statale e ripristinare la superiorità del politico sull’economico. O meglio: dell’interesse pubblico, di tutta la popolazione, su quello “privato” di pochissimi speculatori e “prenditori” (gli industriali che campano solo col denaro pubblico).

Insomma: è ora di affermare la superiorità della pianificazione collettiva alla barbarie attuale.

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