Questa non è un’inchiesta giudiziaria qualsiasi. Il coperchio che la Procura di Trani ha sollevato, iscrivendo al registro degli indagati cinque top manager di Deutsche Bank, apre il vaso di Pandora del ruolo delle grandi banche d’affari internazionali nel determinare le scelte politiche dell’Unione Europea, la selezione delle classi dirigenti, gli indirizzi di politica economica nazionale e, ovviamente, anche le “manipolazioni del mercato”.
Solo l’ultima voce appare nella lista delle notizie di reato, dunque la procura pugliese può procedere solo su questa ipotesi. Ma politicamente, ed anche sul piano delle grandi opzioni economiche, non c’è alcun dubbio che il dato più rilevante sia il condizionamento esterno.
La vicenda oggetto dell’indagine riguarda il comportamento giudicato “anomalo” di Deutsche Bank nel primo semestre del 2011, quando da un lato rassicurava i mercati sulla sostenibilitò del debito pubblico italiano edunque anche sulla appetibilità dei titoli di stato (Bot, Btp, Cct, ecc); dall’altro procedeva a vendite ciclopiche degli stessi titoli, provocando come conseguenza diretta l’impennata dello spread e il verificarsi delle condizioni che portarono Mario Draghi e Jean-Claude Trichet (presidenti entrante e uscente della Bce) a scrivere la famosa “lettera di agosto” contenente il programma di “riforme” che ogni governo italiano, da quel momento in poi, sarebbe stato obbligato a realizzare. Compito ancora non completato, ma giunto ormai a uno stadio molto avanzato, con l’impoverimento drastico di buona parte della popolazioa italiana, ceti popolari in rpimis.
Deutsche Bank ha venduto in poco tempo titoli per 7 miliardi, sui quasi 8 che deteneva all’inizio del 2011. Un quantitativo che si sarebbe tradotto in perdite per la stessa banca (tra l’inizio del processo e la conclusione il pezzo sarebbe certamente sceso di molto) se non avesse al contempo “garantito” sulla solvibilità dello Stato italiano (assicurandosi così la tenuta del prezzo dei titoli su livelli accettabili). Se provato, questo è certamente un reato per qualsiasi legislazione nazionale europea ed anche per le norme comunitarie.
I manager sotto accusa sono la creme de la creme della finanza europea: l’ex presidente di Deutsche Bank Josef Ackermann (al centro nella foto), gli ex co-amministratori delegati Anshuman Jain e Jurgen Fitschen (quest’ultimo è attualmente co-AD uscente della Banca), l’ex capo dell’ufficio rischi Hugo Banziger, e Stefan Krause, ex direttore finanziario ed ex membro del board di Db. Nei giorni scorsi – secondo quanto riportato dall’Ansa – i militari della Guardia di Finanza di Bari e ill pm Michele Ruggiero hanno compiuto sequestri di atti e mail nella sede milanese dell’istituto tedesco, in piazza del Calendario, ascoltando anche diversi testimoni, tra cui Flavio Valeri, presidente e consigliere delegato del Consiglio di gestione di Deutsche Bank Italia, estraneo però all’indagine in corso.
Insomma: le politiche europee e di conseguenza nazionali, decise in base a una serie di indicatori presuntamente “oggettivi” espressi dai mercati finanziari, sono ampiamente manipolabili da pochi top manager di grandi banche e si traducono in “riforme” vincolanti che trasferiscono risorse, patrimoni, redditi da strati sociali con redditi da lavoro dipendente o pensione verso le multinazionali e le grandi società finanziarie.
Non è un’opinione, è un fatto. Dunque questa non è un’inchiesta semplicemente giudiziaria, ma un caso politico di primissima grandezza.
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