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Confindustria chiagn’e fotte. Cresce la produzione, nonostante la pandemia

I dati li avevamo rilevati da tempo. Sia la produzione manufatturiera che l’export delle imprese italiane non hanno affatto risentito della pandemia. Confindustria ha preteso e ottenuto che niente si fermasse, riuscendo nel “miracolo” di provocare 100mila morti e milioni di contagiati dal Covid.

Nè il governo Conte, né il governo Draghi hanno ritenuto di dover imporre ai “prenditori” almeno alcuni dei limiti che hanno imposto al resto della popolazione e delle attività economiche.

Adesso arriva la conferma che i piagnistei di Confindustria erano solo strumentali, dunque rivoltanti.

A gennaio 2021 la produzione industriale in Italia infatti è aumentata dell’uno per cento rispetto a dicembre dello scorso anno. Secondo i dati pubblicato ieri dall’Eurostat – l’ufficio statistico dell’Unione europea – il dato di gennaio positivo segue quello di dicembre, in cui la produzione industriale cresceva appena un po’ meno, dello 0,2 per cento.

Il dato di gennaio è in ogni caso in calo rispetto ad un anno fa, ma appena del 2,4 per cento; la dimensione che ci attende per una normale oscillazione congiunturale, non certo come risultato di mesi di lockdown. Si vede che per l’industria, quei lockdown, non ci sono stati, che i lavoratori hanno continuato ad andare in fabbrica, su mezzi pubblici necessariamente affollati (visto che non ci si era fermati), e dunque esposti per mesi al contagio e a loro volta veicoli per il virus.

Ma dappertutto, in Europa, è avvenuta la stessa cosa. Segno che si tratta di una “linea generale”, non della particolare arrendevolezza della classe politica italiana davanti alle pretese dell’impresa. In generale, infatti, la produzione produzione industriale è aumentata a gennaio 2021 dello 0,8 per cento nell’area dell’euro e dello 0,7 per cento in quella Ue, rispetto a dicembre 2020.

L’industria manufatturiera quindi, nonostante la pandemia, i morti, i contagiati e le restrizioni, è rimasta tra i comparti più attivi. Mentre altri, come i servizi, ristorazione o del turismo, sono stati molto  colpiti dall’impatto della pandemia da Covid-19.

I “prenditori” si sono arricchiti nonostante la pandemia, ma non vogliono sentirselo dire. Dovrebbero abbassare le ulteriori pretese…

Tutto al contrario è andato per i lavoratori. Un calo dell’occupazione “senza precedenti” è stato registrato nel mercato del lavoro nel 2020 dall’Istat. Sono 456 mila i posti di lavoro andati persi, per la maggior parte contratti a termine. Contestualmente, si registra una forte diminuzione della disoccupazione (-271 mila, -10,5%) e un intenso aumento degli “inattivi” (disoccupati che hanno perso anche la speranza di trovare un lavoro) tra 15-64 anni (+567 mila, +4,3%).

Il calo dell’occupazione coinvolge soprattutto i dipendenti a termine (-391 mila, -12,8%) e, in minor misura, gli indipendenti (-154 mila, -2,9%); il lavoro dipendente a tempo indeterminato mostra invece una crescita (+89 mila, +0,6%).

La diminuzione investe il lavoro a tempo pieno (-251 mila, -1,3%) e, soprattutto, il part time (-205 mila, -4,6%); la quota di part time involontario, inoltre, sale al 64,6% (+0,4 punti) dell’occupazione a tempo parziale (la quota calcolata sul totale degli occupati scende all’11,9%, -0,3 punti, per effetto del più forte calo dei lavoratori part time).

Non sta andando per niente “tutto bene”. Ma come sempre va bene per qualcuno (in questo caso gli industriali), mentre per moltissimi altri è un disastro (lavoratori e piccole aziende dei servizi).

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