A un anno dall’inizio della pandemia, gran parte dell’Italia da lunedì 15 marzo è entrata, ancora una volta, in zona rossa: circa 43 milioni di persone – il 72% della popolazione italiana – distribuite in 11 regioni dovranno dunque nuovamente adattarsi al complesso insieme di regole e limitazioni introdotte per contenere la diffusione dei contagi.
Fortunatamente, però, il governo dei competenti guidato da Mario Draghi è tra noi e non tarderà ad adottare tutte le misure del caso per sostenere le famiglie e i lavoratori e le lavoratrici italiani, stremati dopo un anno a dir poco sfiancante, che ha colpito in maniera particolarmente feroce soprattutto la componente femminile della popolazione. Le dichiarazioni di Draghi riguardo il lancio della Strategia Nazionale per la Parità di Genere in occasione della Giornata Internazionale delle Donne per cui “un non solo simbolico riconoscimento della funzione e del talento delle donne [è] essenziale per la costruzione del futuro della nostra nazione”, sembrerebbero rassicuranti. Un elogio alla donna a cui si è recentemente accodato anche il nuovo segretario del PD. Dunque, seguendo il nostro cavaliere bianco, l’universo femminile non dovrebbe avere alcuna paura e, anzi, dimenticare in fretta tutte le angherie subite in passato (ed in particolare nell’ultimo anno) perché il futuro si prospetta radioso. Eppure…
Eppure, delle limitazioni cui facevamo riferimento all’inizio, una delle più dirompenti è sicuramente la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado, che comporterà la didattica a distanza per circa 7 milioni di studenti (circa l’80%), nonché delle scuole per l’infanzia (asili e scuole materne, per intenderci) e dunque significative difficoltà organizzative per le famiglie. Senza voler entrare nel merito della chiusura delle scuole, è evidente che tale intervento potrebbe abbattersi con tutta la sua forza ancora una volta sulle donne. Eppure, Draghi ha detto che il riconoscimento della funzione e del talento delle donne è essenziale.
Anche perché i congedi Covid (possibilità di astenersi dal lavoro rinunciando a parte del compenso) e i bonus babysitter, che erano stati introdotti dal Governo Conte (da ultimo il D.L. 137/20), si sono rivelati come misure palesemente insufficienti: 30 giorni di congedo o, in alternativa, 1.200 euro di babysitter per i primi 7 mesi di pandemia. Una misura sostanzialmente nulla, un mero palliativo che non ha contribuito se non marginalmente a consentire di coniugare lavoro di cura e lavoro salariato.
Sicuramente consapevole di ciò, il Governo Draghi ha impiegato settimane a emettere il nuovo, indispensabile decreto sui congedi, sebbene diverse regioni – tra cui la popolosa Lombardia, ma anche Piemonte, Friuli, Veneto, Umbria ed Emilia-Romagna – avessero decretato la chiusura delle scuole sin da fine febbraio. Eppure, il nuovo decreto sui congedi parentali finalmente pubblicato domenica scorsa non solo non è stato in grado di migliorare le misure precedenti, ma risulta nettamente peggiorativo.
L’impianto emergenziale messo in piedi dal Governo calpesta, infatti, il lavoro di cura. Innanzitutto, schiaccia sulla famiglia tutto il peso dell’emergenza chiudendo le scuole di ogni ordine e grado, con un impatto devastante sul grado di uguaglianza dell’educazione di milioni di giovani e giovanissimi.
Il secondo tassello dell’attacco al lavoro di cura è l’impossibilità di scegliere tra smart working e congedo per i lavoratori che possono lavorare in smart working. L’articolo 2, comma 2, del decreto-Legge del 12 marzo scorso marca infatti una differenza fondamentale rispetto al passato. Si dice infatti che “Nelle sole ipotesi in cui la prestazione lavorativa non possa essere svolta in modalità agile, il genitore lavoratore dipendente di figlio convivente minore di anni quattordici, alternativamente all’altro genitore, può astenersi dal lavoro“. Mentre in passato il lavoratore poteva scegliere se lavorare in smart working oppure, rinunciando a parte del salario, usufruire del congedo straordinario, oggi il lavoratore non ha scelta: se la sua attività si può svolgere in smart working, egli non ha diritto al congedo e dunque non può scegliere se sacrificare una parte del suo salario e della sua carriera per dedicarsi al lavoro di cura dei figli nel delicato frangente in cui le scuole sono chiuse. In questa maniera, lo smart working smette di essere un diritto e si palesa come un dovere che schiaccia la possibilità – per lavoratori e lavoratrici – di sopperire alla chiusura delle scuole con la propria presenza. In buona sostanza, il Governo Draghi equipara il lavoro agile all’astensione dal lavoro, perché reputa che un genitore non abbia diritto all’astensione se può lavorare da casa: questa scelta politica è la cifra dell’azione di governo nel campo delle politiche per la famiglia e per le pari opportunità, perché dimostra tutto lo sprezzo possibile per il lavoro di cura, completamente ignorato.
Nella prospettiva adottata dal governo, di fatto, il lavoratore in smart working sarebbe infatti in grado di badare ai figli, mentre sta svolgendo la propria attività lavorativa in modalità agile. Chiunque abbia sperimentato le gioie del lavoro agile con i figli a casa in Didattica a Distanza (DaD), sa perfettamente che razza di manicomio questa situazione sia in grado di generare. Secondo il Governo, chi lavora da casa può contemporaneamente badare a bambini in età prescolare (0-6 anni, perché le scuole dell’infanzia sono chiuse), supportare i bambini delle elementari nel faticoso approccio alla didattica a distanza e/o seguire gli studenti medi nella riorganizzazione dello studio imposta dalla pandemia.
Dal momento che questa idea è palesemente inconsistente, tutto ciò significa una cosa sola: i soggetti maggiormente gravati dal lavoro di cura oggi in Italia, cioè le donne, saranno schiacciate da un lato dalla cura dei minori impossibilitati a frequentare la scuola, e dall’altro dalla loro attività lavorativa in modalità agile, con tutta la pervasività che il sistema dello smart working consente.
Il terzo tassello dell’attacco al lavoro di cura è l’impossibilità di coniugare il congedo di un genitore con lo smart working dell’altro. Sempre l’art. 2, comma 7, del medesimo decreto recita che “Per i giorni in cui un genitore svolge la prestazione di lavoro in modalità agile o fruisce del congedo […], l’altro genitore non può fruire dell’astensione […] o del bonus”. In altre parole, quando un lavoratore è costretto in smart working dalle restrizioni imposte, l’altro genitore non può usufruire del congedo parentale o del bonus babysitter. Questa prescrizione normativa limita ulteriormente la possibilità di usufruire delle misure di sostegno ai genitori.
Il quarto ed ultimo tassello di questa strategia è la riduzione sostanziale della platea dei beneficiari del bonus babysitter. infatti, se nei decreti precedenti la possibilità di usufruire di entrambe le misure di sostegno era accessibile a tutti i genitori lavoratori, la possibilità di usufruire del bonus babysitter è ora limitata ad una minoranza dei lavoratori, ovvero ai lavoratori autonomi e ai lavoratori dipendenti del settore socio-sanitario e militare.
Questa operazione non solo lede la natura universalistica di una misura che dovrebbe sostenere tutti i lavoratori in un periodo di emergenza, ma risulta particolarmente punitiva e odiosa per le lavoratrici, su cui ricade maggiormente il peso del lavoro di cura. Pur con tutti i suoi limiti, il bonus babysitter consente in particolare alla donna di preservare il proprio lavoro salariato senza danneggiare – grazie all’apporto di un lavoratore domestico finanziato dallo Stato – il lavoro di cura dei figli.
In questo quadro, una volta ricomposti i pezzi del puzzle, la donna è ancora una volta l’agnello sacrificale. Se i contratti a termine e la precarietà, a cui il lavoro femminile è sottoposto, spiegano le maggiori ricadute occupazionali – l’80% dell’occupazione femminile creata tra 2008 e 2019 è stata cancellata in soli tre mesi e circa 240 mila donne hanno perso il proprio posto di lavoro – la retrocessione del lavoro agile a lavoro di serie B, addirittura compatibile con la contemporanea cura dei figli, si configura come un’ulteriore picconata alle condizioni sociali e di lavoro delle donne
Dunque, l’atteggiamento del nuovo esecutivo si svela in tutta la sua ipocrisia. Da un lato, Draghi afferma di avere a cuore il futuro dei giovani, attraverso la retorica del Next Generation EU, e la questione di genere ponendola a pilastro guida della sua azione di governo. Dall’altro, nel concreto, Draghi colpisce violentemente il lavoro di cura – riaffermando una concezione retrograda e penalizzante della donna e della sua funzione nella società capitalistica – penalizzando in particolar modo sia i giovani, verso cui una parte di tale lavoro viene diretto, sia le donne, in quanto coinvolte in maniera quasi esclusiva in questo tipo di lavoro, come mostra il drammatico calo dell’occupazione femminile.
Insomma, quando si è trattato di passare dalle parole ai fatti, la retorica e la forma sono state completamente contraddette dalla sostanza, fatta ancora una volta di disprezzo verso chi lavora e lotta ogni giorno per conciliare l’attività lavorativa con relazioni sociali da sottrarre al profitto e allo sfruttamento.
* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.org/
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa