Finalmente, ora che le restrizioni si stanno progressivamente allentando, stabilimenti balneari, alberghi, ristoranti e più in generale tutte le strutture di ricezione turistica sono in rampa di lancio per la stagione estiva.
Il relativo afflusso di turisti, unito ad un deciso miglioramento della situazione epidemiologica, ha infatti spinto il Governo a dare luce verde al comparto turistico che, con gradualità e in sicurezza, può così ripartire, tornando a produrre reddito e occupazione.
Fin qui, sembrerebbe, tutto bene. Il turismo conta all’incirca per il 15% del prodotto nazionale, e il congelamento di questo comparto (ristoranti e bar chiusi o attivi solo per l’asporto, contenimento della mobilità tra regioni, limitazione agli arrivi dall’estero, etc.) ha dato una significativa sferzata all’economia italiana.
Stando ai dati ISTAT, il turismo è stato il settore più duramente colpito dall’emergenza sanitaria, con una diminuzione di 187 mila occupati (pari all’11,3% degli occupati nel settore). Per dare un’idea della rilevanza del comparto, 4 persone su 10 di quelle che hanno perso il lavoro tra il 2019 e il 2020 apparteneva al settore del turismo.
Benedette riaperture, verrebbe da dire. Da qualche settimana, tuttavia, assistiamo ad un accorato allarme lanciato dagli imprenditori che si occupano di turismo, ai quali fa spesso da megafono la voce di qualche politicante. Nonostante questi numeri impietosi, nel rialzare le serrande gli imprenditori del settore starebbero affrontando un dramma: non ci sarebbero lavoratori stagionali da assumere.
Le associazioni datoriali lamentano con forza l’assenza di cuochi, camerieri, baristi e bagnini. Emblematici sono i casi della Toscana, del Trentino e della riviera romagnola, dove mancherebbero all’appello migliaia di lavoratori, dai 5000 ai 7000 addetti, e per questa ragione le strutture ricettive farebbero fatica a ripartire. Si sta insomma diffondendo una velenosa retorica stando alla quale il turismo sta provando a risollevarsi, ma le sue ali verrebbero tarpate dalla carenza di lavoratori.
Le imprese del settore, infatti, pare non trovino personale. Sembra paradossale, ma nonostante più di tre milioni di disoccupati, e nonostante le centinaia di migliaia di posti di lavoro persi lo scorso anno (specialmente nel comparto turistico), i padroni lamentano l’assenza di manodopera.
La voce del padrone è stata immediatamente raccolta dall’istrionico governatore campano Vincenzo De Luca, il quale avrebbe trovato nel Reddito di Cittadinanza il ‘colpevole’ di questa carenza di manodopera.
Testualmente, De Luca ha asserito che “non si trovano più camerieri e lavoratori per le attività stagionali”, e che per questa ragione “alcune attività non riapriranno”. Schiettamente, il Governatore ha sostenuto che “questo è uno dei risultati paradossali dell’introduzione del reddito di cittadinanza”, perché “se mi dai 700 euro al mese (…) non ho interesse ad alzami alle sei e ad andare a lavorare”.
Persino un provvedimento blando, che non emancipa le fasce più deboli della società dalla condizione di povertà, né intacca il paradigma dell’austerità a cui si deve la cronica disoccupazione del paese e che, tra l’altro, con le clausole di condizionalità ha parzialmente introiettato la logica per cui il lavoratore sia per natura svogliato e debba essere disincentivato a poltrire, mette in fibrillazione i padroni.
Giorno dopo giorno, infatti, l’assalto ai lavoratori si fa più subdolo: dopo anni di austerità e disoccupazione, attacco ai sindacati e diffusione del precariato, con conseguenze evidenti e peggiorative sui salari, ora si scarica loro addosso la colpa di voler campare delle briciole, perché di quello si tratta, del Reddito di cittadinanza, invece di accettare di essere sfruttati.
Senza sapere né leggere né scrivere, verrebbe da chiedersi, facendo lo sforzo di provare a prendere per buono il ragionamento di De Luca, per quale motivo una persona ragionevole dovrebbe preferire un lavoro a due spicci, senza tutele e con un orizzonte temporale breve (stagionale, per l’appunto), al sussidio di cittadinanza.
Non solo, per essere coerenti con la teoria economica dominante, che anima le velleità di imprenditori e liberisti vari, qualora un’offerta di lavoro non fosse soddisfatta, non rimarrebbe che aumentare il salario offerto (o in genere, migliorare le condizioni offerte) fino a quando esso non sia sufficiente a convincere il lavoratore ad accettarla.
Ma qui siamo di fronte a ben altro atteggiamento: un disgustoso pianto da chi non è disposto a pagare salari dignitosi, ma si lamenta dei lavoratori che la propria dignità vogliono tutelare.
De Luca, inoltre, non si limita a dare una bastonata a chi secondo lui non è disposto ad andarsi a spaccare la schiena (“Io sono d’accordo a dare un reddito a chi non ha il pane ma non sono d’accordo a tollerare degenerazioni, speculazioni e parassitismi”), preferendo poltrire sul divano a 700 euro al mese. Aggiunge qualcosa di funambolico, avanzando una suggestione particolarmente accattivante.
L’idea è grossomodo questa: visto che mancano lavoratori nel turismo, e visto che ci sono persone sul divano a 700 euro, perché non mandare quei percettori di reddito di cittadinanza a riempire quelle caselle lavorative, aggiungendo al sussidio 500 euro al mese a carico del ristorante, dell’hotel o dello stabilimento che cerca manodopera?
Ancora, testualmente, De Luca dice: “Visto che non si trovano lavoratori stagionali, senza far perdere a nessuno il reddito di cittadinanza o ammortizzatori, le aziende possono dare in aggiunta al reddito 500 euro al mese, per cui un giovane può aggiungere ai 750 altri 500. Dunque, 1.200 al mese mi pare una cosa dignitosa”.
Perché non dare la possibilità a quegli imprenditori, a quelle stesse imprese che lamentano carenza di manodopera, di assumere ciò di cui necessitano a soli 500 euro al mese? Sì, perché facendo come ‘suggerisce’ De Luca, le imprese sborserebbero solo una parte del salario del lavoratore, mentre sarebbe lo Stato a pagare i 700 euro: in un battibaleno, quei 700 euro si trasformerebbero da sussidio di cittadinanza a sussidio alle imprese.
Ecco che la proposta di De Luca non solo si presenta come l’ennesimo attacco al lavoratore, colpevole di non essere disposto a lavorare per un salario di miseria, ma in un vero e proprio sgravio alle imprese e alla loro bramosia di reperire manodopera a buon mercato. Tutto ciò, in barba agli incentivi già previsti per quelle imprese che assumono a tempo indeterminato un percettore del Reddito di cittadinanza.
Come abbiamo avuto modo più volte di dimostrare, inoltre, i dati certificano che non vi è una mancanza di manodopera. Questo fenomeno è tanto più vero per il turismo nei settori ‘estivi’: stando ai dati ISTAT, il tasso di posti vacanti nei servizi di alloggio e ristorazione è generalmente inferiore alla media del settore servizi.
Il punto è semmai che ogni parvenza di ripresa rappresenta per i padroni un’occasione ghiotta per gonfiare i loro profitti e peggiorare le condizioni di lavoro offerte.
Le lamentele di questi giorni, prontamente amplificate da quotidiani e politici di ogni sorta, non rappresentano altro che un ingannevole canto delle sirene, ma non bisogna cedere alla tentazione di credervi: per quanto pervicace, questa retorica è ingiusta e mendace.
Il problema non è la pigrizia dei lavoratori, ma le condizioni di lavoro offerte, precarie e sottopagate.
* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.org/
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