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La spinta di Pechino per l’industria, contro la finanza

Da Milano Finanza oggi: “In un progetto quinquennale in scadenza nel 2025, pubblicato dalle autorità pubbliche, la Cina ha spiegato che prevede di elaborare nuove leggi su sicurezza nazionale, tecnologia, monopoli e istruzione, nonché in aree che coinvolgono gli stranieri“.

Le dinamiche sottese a queste decisioni attengono a quel che nel libro ho chiamato: “hausmanizzazione monetaria (occidente) e lotta di barricata (Cina)“, dai concetti del filosofo tedesco Walter Benjamin.

E’ l’eterna lotta tra capitale finanziario, dopo 50 anni attraversato da continue bolle che vengono tuttora alimentate – vuoi per pagare le pensioni degli americani, vuoi perché con la deindustrializzazione i mercati finanziari si appoggiano unicamente alla banche centrali – e il capitale industriale, vera fonte del valore.

Il green porterà in Occidente ad un’ulteriore deindustrializzazione, mentre il capitale industriale cinese basa la sua strategia ambientalista su continue innovazioni ambientali, ma non perde il capitale industriale, fonte di valore, negli ultimi decenni alimentato con il ricorso al marxiano plusvalore relativo.

La Pboc (la banca centrale cinese) basa la sua strategia monetaria unicamente sul livello dei prestiti alle imprese. Quelle occidentali, invece, per alimentare le èlite, in un continuo processo di disuguaglianza di classe.

La Pboc, assieme a governo, industrie pubbliche e banche pubbliche, proprio come era una volta da noi, alimenta continuamente il capitale industriale avendo come obiettivo la lotta alla povertà, alle disuguaglianze, che tuttora persistono, anche se i risultati sono clamorosamente evidenti (sono uscite dalla povertà 750 milioni di persone in soli 30 anni, ed è stata eliminata la “povertà assoluta”). In definitiva è riuscita a creare la classe media più ampia al mondo.

L’aut aut al capitale finanziario occidentale ha come scopo di non creare un èlite – quel ruolo deve essere riservato al partito – ma un sistema basato su conoscenze e merito, che si dipana negli apparati pubblici.

L’efficienza cinese deriva proprio da questo, come mi testimoniano i manager italiani che lavorano in Cina da 20 anni, miei amici, che ringrazio sempre per la disponibilità.

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