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Stellantis: la grande fuga

Chi brindava con eccessiva euforia alla nascita del colosso Stellantis oggi fa i conti con un ridimensionamento del ruolo strategico del nostro paese rispetto alle scelte del colosso nato dalla fusione (o sarebbe meglio chiamarla cessione) tra FCA e PSA.

La cassa integrazione in molti stabilimenti (Melfi, Cassino, Termoli, Torino), il taglio dei costi derivanti dalle aziende di pulizia negli stabilimenti con annessi licenziamenti, gli accordi per l’incentivazione al licenziamento volontario di centinaia di lavoratori in diversi stabilimenti, lo smantellamento di una linea produttiva a Melfi, l’annuncio degli investimenti a Termoli per la nascita della gigafactory che non garantirà il lavoro per tutti i dipendenti attualmente in forza nello stabilimento, l’annuncio di 12.000 esuberi nei siti produttivi italiani ed infine il disimpegno di Stellantis sul prestito garantito dallo Stato per 6,5 mld di euro che altro non è che l’atto che preannuncia il “mani libere” voluto dal gruppo, sarebbero dovuti bastare per far suonare il campanello d’allarme che l’USB sente da molto tempo.

A tutto ciò si è aggiunto l’annuncio, da tempo a conoscenza di tutti, dell’avvio della produzione nello stabilimento di Gliwice (Polonia) di veicoli commerciali che inevitabilmente rischia di avere ripercussioni sul sito produttivo di Atessa (Sevel), che è il sito più produttivo del gruppo degli ultimi 30 anni. Rischi che innanzitutto si scaricano sui 700/800 dipendenti “somministrati”, di cui la nostra organizzazione richiede da tempo la stabilizzazione.

L’USB ha chiesto un incontro ai ministri competenti (Giorgetti e Orlando) perché ritiene necessario un piano di investimenti straordinario nel comparto automotive, in ottica di transazione ecologica, che costringa Stellantis a non smobilitare progressivamente le produzioni in quanto si andrebbe incontro ad un disastro dal punto di vista occupazionale nel settore e la chiusura della GNK, azienda che ha chiuso e licenziato con un messaggio centinaia di lavoratori, dovrebbe far riflettere molto.

Non è da sottovalutare anche il tema della riforma degli ammortizzatori sociali che potrebbe rivelarsi un’occasione da sfruttare per tutte le aziende del comparto per avviare profonde ristrutturazioni che pagherebbero solo i lavoratori.

Il governo nazionale e quelli locali non possono trascurare le vicende inerenti Stellantis dimenticando che siamo il secondo paese manifatturiero in Europa: occorre che si percorra la strada di una stretta massiccia sui contratti precari, che si agisca sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, nazionalizzazione degli asset strategici, investimenti mirati ad ottenere lavoro stabile e sicuro (non bisogna dimenticare i mille morti sul lavoro all’anno) ed una concreta transazione ecologica.

Ciò che non permetteremo a Stellantis, Governo, Fim-Fiom e Uilm è di perseverare su una strada ambigua che soddisfa le loro esigenze ma non quelle di migliaia di lavoratori del gruppo, delle aziende dell’indotto e delle loro famiglie.

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