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50 anni di guerra al salario, tra analisi e prassi rivoluzionaria

Dopo l’eccellente raccolta di scritti critici economici racchiusi nel saggio “Piano contro mercato” , frutto di un lavoro di ricerca, di analisi storiche, di dati scientifici, modelli economici e teorie a confronto (Occidente, Oriente, scuola classica e neoclassica, plusvalore assoluto, plusvalore relativo, haussmanizzazione monetaria, lotta di barricata), Pasquale Cicalese con “50 anni di guerra al salario”  – saggio curato da Leo Essen ed edito dall’Antidiplomatico (maggio 2023) – ci offre un altro fondamentale contributo alla storia del pensiero critico economico contemporaneo. Un lavoro indispensabile per chi voglia confrontarsi e comprendere la storia del Paese da un punto di vista di lotta di classe.

E’ una raccolta di scritti sparsi, in frammenti economici, con un preciso ordine cronologico che cristallizza l’evento storico, proprio nell’esatto momento dell’avvenuta pubblicazione di ogni suo singolo pezzo.

Scrittura schietta, rigorosa, scientifica. Un viaggio racchiuso in un diario di bordo che serve ad accompagnare il lettore per orientarsi dentro i processi storici, dentro le dinamiche economiche, politiche e sociali, dentro la lotta di classe che ha attraversato questo Paese negli ultimi 50 anni..

Un saggio che descrive il disastro economico di una “nazione”, di uno Stato spogliato dalle proprie ricchezze. Una potenza manifatturiera, industriale, una cultura millenaria riemersa nel ventennio post-bellico, attraverso la relativa saggezza della classe dirigente di allora, e la forza, la tenacia, la perseveranza, l’arte, la tecnica e la specializzazione produttiva della classe lavoratrice.

Gli uomini politici venivano quasi tutti dal Littorio, poi rinnegato, divennero democristiani, socialisti e comunisti. Si scannavano, ci furono morti, ma erano tutti intenti a ricostruire il Paese dalla guerra […]

C’erano i colossi pubblici, la politica estera aveva spazi di autonomia. Ci furono le riforme sociali, quella santa donna di Tina Anselmi ci diede la sanità gratuita, poi l’istruzione universitaria gratuita, assunsero un milione di disoccupati nella P.A. Arrivò il benessere, davamo fastidio” (pag. 96).

Chiariamo. Tutto ciò, tutta la ricchezza e il benessere creati, sono stati ottenuti negli anni 60, 70 e 80 dai braccianti agricoli, degli operai, del nord e del sud, dell’autunno caldo, dei movimenti degli anni Settanta. Sarebbe ora che se ne facesse un bilancio” (pag.114).

Struttura espositiva chiara, esaustiva, neorealista e apocalittica. Come dire, un lavoro di militanza politica, di denuncia sociale, che racconta gli eventi con un linguaggio diretto “alle masse”, alla gente comune, agli umili della terra, a chi arranca nello sbarcare il lunario, a chi produce, a chi manda avanti la baracca di un capitalismo straccione e morente.

E Cicalese, nel compiere questo passo, utilizza l’indagine maoista, interrogando la gente comune, il popolo dell’abisso: operai, agricoltori, insegnanti e finanche imprenditori, la classe media scomparsa, proletarizzata.

E lo fa ascoltando la gente che vive sulla propria pelle i problemi sociali, l’austerità economica, le politiche deflattive, i diktat europei che, dopo l’entrata del Paese nello SME (1979), hanno prima imposto e poi istituito, con il trattato di Maastricht (1992) e ancor di più con il trattato di funzionamento dell’Unione Europea (2008), il fascismo economico.

Ho studiato il fascismo, soprattutto gli anni dal 1933 in poi (IRI). Negli anni Venti il capitale era spietato, come adesso […] Bonomi e Confindustria attuale superano per ferocia gli anni Venti” (pag. 110).

Cicalese non fa mistero, utilizza il frammento economico quasi come “pizzino”, proprio come approccio filosofico alla scrittura per rompere il continum della storia, nel creare quella discontinuità per rilevare pezzi di verità all’interno di un discorso storico lungo cinquant’anni.

E lo fa saltellando da un evento storico all’altro, da un punto di intersecazione all’altro, unendo i frammenti, agganciando date e processi, non tralasciando mai il filo conduttore della lotta di classe. E lo fa facendosi accompagnare dal suo mentore preferito, Walter Benjamin, dove in una delle sue tesi di filosofia della storia chiama questo approccio “arresto messianico dell’accadere”, il rompere la sequenza passato-presente-futuro che serve solo a raccontare la storia dal lato del vincitore, dal lato del megafono capitalista.

Il frammento, così inteso, rappresenta per Cicalese un elemento di rottura, una base su cui costruire un sapere storico di lotta, l’armare la coscienza proletaria recuperando la memoria storica, estrapolando, con metodo d’indagine, la storia dei vinti, la storia di piccoli eroi resistenti.

Uno scritto, un manifesto politico da mettere in mano a un comitato nazionale di liberazione. “Il nemico è potente. Fare come nel CNL, poi si divide. Ma l’importante è farla finita con questo perenne presente schifoso” (pag.69).

Nei Manoscritti economico-filosofici di Marx possiamo leggere che il capitalismo pretende di trasformare il proletario in uno «schiavo ascetico ma produttivo», come dire renderlo docile e utile allo stesso tempo.

Seguendo questo filo storico conduttore tracciato da Marx ed Engels, qualcuno molto più avanti si chiese se non fosse per caso questa l’idea di fondo che ha accompagnato dalle fondamenta tutto un processo storico di riforma istituzionale (struttura-sovrastruttura) a partire dalla metà dell’800.

In linea poi con la costituzione di un soggetto moderno, del tutto nuovo, ancorato all’etica protestante di un Capitalismo che, nel tentativo di umanizzare le coscienze (la dolcezza della pena), nel tentativo di rendere appetibile il discorso sul miglioramento delle esigenze della povera gente, stava in realtà cambiando pelle..

Il lavoro di Cicalese sembra partire da molto lontano, in effetti si possono rintracciare radici proprio a partire dalla metà dell’800, nel tentativo – come scriveva Friedrich Engels  a proposito de “la lotta di classe in Francia dal 1848 al 1850” – di spiegare attraverso la concezione materialistica un frammento di storia contemporanea partendo della situazione economica corrispondente

E’ caduta la Prima Repubblica, è stata tagliata la scala mobile. Nel 1993 è stata inaugurata la politica dei redditi concertativa e triangolare. Gli operatori hanno promesso investimenti e spese in ricerca in cambio della moderazione salariale, ma ciò non è avvenuto mai.

Al contrario, con il Pacchetto Treu si è realizzata una vera e propria deflazione e liquefazione marxiana della forza lavoro. I colossi pubblici [..] sono stati privatizzati. […] La borsa ha festeggiato per anni, ma gli italiani con pochi soldi si impoverivano”. (pag.141)

Nel saggio 50 anni di guerra al salario, Cicalese traccia una prima linea, un primo fronte di guerra ben preciso, una soglia di intellegibilità storica lunga un decennio (1969/1980), da inquadrare come la restaurazione neoliberale, l’inizio di quella ferocia controffensiva padronale che negli ultimi trent’anni si è fatta sempre più cruenta.

Crotone, città natale di Cicalese, ha rappresentato un laboratorio di studio per recuperare la memoria storica di un intero Paese.

La mia città era una città industriale, con un fiero movimento operaio, che nel 1993 si ribellò (la notte dei fuochi). Furono dismesse le industrie per volere di Ciampi, Andreatta, Prodi, Draghi, Carli e compagnia cantando – in nome dell’Europa. Stessa musica in Puglia, Campania, Sicilia e Sardegna. Tutti gli italiani zitti, certo! – quei terroni erano parassiti.” (pag.120).

All’epoca si diceva che lo zinco non avesse mercato, balle! La domanda di zinco negli anni 1993-1994 cresceva del 25%, specie con le richieste provenienti dal mercato asiatico, vorace di materie prime.

Qualcuno ha deciso allora che l’industria manifatturiera era un affare che riguardava solo lo stato tedesco e che dovevamo riconvertire la produzione in agroalimentare e turismo. “Abbiamo perso l’artigianato e l’industria, per questo siamo poveri. […] Ora stiamo pagando il prezzo di questa scelta. Tutti si lamentano della mancanza di semilavorati e prodotti vari” (pag. 1 e 2).

Questo disegno di smantellamento dell’apparato industriale fu ordinato proprio a partire dal 1992, quando fu smantellato l’intero patrimonio pubblico italiano e furono svenduti i gioielli di famiglia (privatizzazione dell’Iri, Stet, Enel, Eni, banche pubbliche ecc..).

Ora le città d’arte, le città storiche italiane sono invase da orde di turisti, con i blindati che fanno da cordone protettivo nelle strade del centro urbano. E i residenti sbattuti nelle periferie a fare i servi della gleba.

In pratica è l’adozione in Italia del “piano Funk” del 1940, dal nome del ministro dell’economia del governo nazista che prevedeva la subordinazione delle industrie di Stato funzionali ad una logica di dominio tedesco. E questo doveva avvenire attraverso l’unione monetaria…

E  così è stato, dopo la caduta del muro di Berlino e l’annessione della RDT. Una guerra di classe i cui costi sono stati scaricati sulla popolazione, sulla povera gente con i vincoli di finanza pubblica imposti dai trattati europei.

Smantellamento dei colossi pubblici, perdita di centralità salariale, spending review, piani di realizzazione della spesa (sanità, scuole, pensioni ecc), distruzione di quel che Cicalese chiama, con Marx, “salario sociale globale di classe”.

Una logica di sterminio che negli ultimi trent’anni ha prodotto nelle periferie d’Europa campi di concentramento a cielo aperto.

Nel saggio di Cicalese c’è un richiamo al primo Lukacs e al suo saggio “La teoria del romanzo” (1914-1915), testo fondamentale di critica letteraria del 900, il passaggio dalla narrazione (alla Tolstoj e Balzac, tanto per intenderci) alla descrizione in senso naturalista e realista (Zola, Flaubert eccetera). Cioè la descrizione di fatti e cose, esibiti nel loro semplice accadere.

Secondo Lukacs la totalità che il romanzo è chiamato a rappresentare non riguarda solo il presente e il passato, ma anche la prospettiva, cioè la rivelazione del futuro (e qui il romanzo assume i connotati politici). Come dire che solo uno scrittore che raggiunge un tale risultato può essere definito compiutamente realista e rivoluzionario.

E Cicalese nei suoi studi, nei suoi lavori, la strada sembra indicarla: bisogna andare avanti cercando di crearsi piccoli spazi di agibilità politica e sindacale, darsi un “programma minimo” in senso marxiano, essere laboriosi come le formiche e spingere per la riconquista di quei diritti che ci hanno pian piano strappato.

L’obiettivo principale deve essere il ritorno al sistema proporzionale, la lotta per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, portare all’attenzione sempre su temi cruciali quali diritto alla casa, alla salute e a un sistema scolastico a portata di tutti.

La lotta di barricate” passa per l’appunto dalla reflazione salariale e dal primato del pubblico sull’economia. Bisogna essere sempre propositivi, non darsi mai per vinti, essere organizzati e sempre pronti in attesa di eventi determinanti, studiare continuamente fortificando la coscienza, recuperare la memoria storica e scrivere documenti come armi d’assedio, rompere i muri e attraversarli per pensarsi in un mondo migliore.

La critica dell’economica politica non è il culto dell’austerità o della «decrescita». E’ invece la critica di un ordinamento che con Smith promette la «ricchezza delle nazioni», ma che di fatto nelle larghe masse popolari comporta la miseria spirituale tendenzialmente connessa alle precarie condizioni di vita.

Ed è tale ordinamento che la lotta di classe è chiamata a rovesciare.

Crotone 21/05/2023

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1 Commento


  • Michele

    Eccellente scritto, complimenti all’autore.

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