Menu

Crolla il commercio con l’estero, e il modello “export oriented”

E’ presto per dirlo con certezza, ma pare proprio che il “modello” economico-produttivo inventato dalla Germania per sostituire il vecchio “modello keynesiano”, distrutto con la creazione dell’Unione Europea post-caduta del Muro.

Parliamo del mercantilismo, o “modello export oriented”, in cui la crescita economica viene trainata dalle esportazioni. Per stare in piedi questo sistema ha bisogno di poter disporre di diverse condizioni strutturali, tutte rilevanti: buone tecnologie produttive, prodotti di alta qualità, salari bassi per decenni, fornitori e subfornitori a disposizione, materie prime a basso costo, mercati esteri aperti e quasi senza barriere doganali.

Detto in termini marxisti: una classe lavoratrice sottommessa (internamente e nei paesi subfornitori) e la “globalizzazione” dei mercati, possibilmente senza conflitti rilevanti (una “guerra asimmetrica” contro l’Iraq o la Libia ci può/poteva stare, uno scontro con Russia o Cina no).

Tutte queste condizioni sono venute meno, e anche i lavoratori – in Europa, un po’ meno da noi – stanno mordendo il freno.

Soprattutto molti mercati extra-Ue (Russia e Cina in testa) sono stati sacrificati sull’altare delle “sanzioni” decise unilateralmente dagli Stati Uniti. Il che ha privato i produttori europei di uno sbocco rilevante in termini di prodotti e di valore (un miliardo e 400 milioni di “clienti cinesi” non sono uno scherzo, da quando hanno preso a consumare quasi come occidentali).

Stamattina l’Istat ha rilasciato i suoi dati mensili da cui emerge che a settembre 2023 la stima prevede una riduzione congiunturale per entrambi i flussi commerciali con l’estero, più intensa per le esportazioni (-4,5%) che per le importazioni (-3,1%).

E particolarmente indicativo appare il dato per cui la flessione dell’export è più ampia per i mercati extra-Ue (-6,7%) rispetto all’area Ue (-2,4%). Si esporta meno verso Russia (poco o nulla) e Cina, nonché verso altri paesi in qualche modo collegati con questi due.

E diminuisce anche lo scambio all’interno della stessa Ue, probabilmente – siamo ancora alle stime, non ai dati definitivi – proprio nei settori più connessi con gli esportatori finali (soprattutto tedeschi, per quanto riguarda l’Italia).

La frenata di settembre è particolarmente brusca, tanto da azzerare i guadagni di un trimestre che fin lì era stato piuttosto positivo (nel terzo trimestre 2023, rispetto al precedente, l’export registra comunque un lieve aumento dello 0,3%, mentre l’import segna una flessione del 2,9%).

A settembre 2023, l’export si riduce su base annua del 6,6% in termini monetari (era +2,2% ad agosto) e dell’8,7% in volume. La riduzione dell’export in valore riguarda sia i mercati Ue (-6,3%) sia quelli extra-Ue (-6,9%).

L’import segna una flessione tendenziale del 20,5% in valore, molto più ampia per l’area extra Ue (-32,4%) rispetto a quella Ue (-8,3%); in volume, mostra un calo più contenuto (-5,7%). In questo caso, insomma, l’inflazione enfatizza la caduta.

Tra i settori che contribuiscono maggiormente alla riduzione tendenziale dell’export si segnalano: metalli di base e prodotti in metallo, esclusi macchine e impianti (-19,4%), sostanze e prodotti chimici (-13,7%), mezzi di trasporto, autoveicoli esclusi (-13,3%), articoli in pelle (escluso abbigliamento) e simili (-14,4%), articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici (-8,4%).

Come si può vedere, sono prevalentemente settori che producono per l’industria, non beni di consumo. E’ il segno statistico di una frenata che riguarda tutta la capacità produttiva europea.

Su base annua, dice l’Istat, i paesi che forniscono i maggiori contributi alla flessione dell’export sono: Stati Uniti (-11,9%), Germania (-7,8%), Francia (-5,4%) e Regno Unito (-11,4%).

Ma non sempre le destinazioni sono davvero quelle indicate. Molto dell’export verso Francia e Germania, infatti, riguarda componenti per prodotti finali assemblati in quei paesi ma che poi prendono la via extra-europea.

L’asimmetria tra caduta dell’export e dell’import ha prodotto, non stranamente, un “miglioramento” del saldo commerciale: +2.346 milioni di euro (era -6.693 milioni a settembre 2022). Ma è chiaramente un “passo del gambero”, un “miglioramento” su cifre molto più basse. Insomma, una manifestazione collaterale della crisi…

L’unica voce “positiva” diventa così la diminuzione del deficit energetico (-5.182 milioni), più che dimezzato rispetto a un anno prima (-12.390 milioni), grazie al ritorno alla normalità dei prezzi settoriali internazionali.

Ma è un momento che appare di breve durata. I prezzi all’import – dice l’Istat – tornano infatti a crescere su base mensile, dopo quasi un anno di riduzioni, e segnano una lieve attenuazione della flessione tendenziale; a contribuire è soprattutto la ripresa dei prezzi dei prodotti energetici.

L’Istat, in sede di commento, afferma che la riduzione congiunturale dell’export a settembre, più intensa per l’area extra-Ue, è condizionata dalle vendite occasionali di elevato impatto (cantieristica navale), rilevate ad agosto.

Ma anche al netto di queste, la flessione si produce comunque, anche se ridotta al -2,2%.

Quel “modello” mercantilista sembra proprio agli sgoccioli…

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *