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La Germania ha il mal di Cina?

Dal 2016 a oggi la Cina è stata ininterrottamente il principale partner commerciale della Germania. Le esportazioni e importazioni tedesche in Cina nel 2023 hanno raggiunto un valore di circa 254 miliardi di euro, ma il vantaggio della Cina sugli Stati Uniti si è ridotto ad appena 1-2 miliardi di euro, in forte calo rispetto al 2022, quando era pari a circa 50 miliardi di euro.

Secondo Pechino (i cui dati doganali relativi al 2023 indicano una diminuzione delle esportazioni verso la Germania del 13 per cento e delle importazioni del 4,2 per cento), la riduzione del commercio bilaterale non è un effetto delle politiche di “de-risking” quanto piuttosto della contrazione dell’economia tedesca (cresciuta l’anno scorso dello 0,3 per cento), che è diventata un importante freno alla domanda di importazioni cinesi.

Mentre una parte della politica promuove le politiche di “de-risking”, il mondo dell’economia e della finanza mette in guardia rispetto alle possibili conseguenze.

Uno studio appena pubblicato dalla Bundesbank sostiene che «l’allontanamento dalla Cina comporterebbe probabilmente anche a lungo termine costi economici e commerciali», e «ciò è vero anche considerando una riduzione del rischio ordinata e graduale».

Le imprese tedesche perderebbero un mercato di vendita chiave e molte catene di approvvigionamento potrebbero probabilmente essere riallineate solo a scapito di perdite di efficienza.

Secondo il “Business Confidence Survey 2023/2024” pubblicato il 24 gennaio 2024 dalla Camera di commercio tedesca in Cina, se negli ultimi quattro anni la percentuale di aziende tedesche che stanno uscendo dal mercato cinese o stanno pensando di farlo è più che raddoppiata, raggiungendo il 9 per cento, e il 44 per cento si è mossa per ridurre i rischi (anche istituendo nel paese una filiera indipendente), la maggior parte ritiene che l’economia cinese possa mantenere una crescita sostenuta nei prossimi uno-tre anni e il 54 per cento prevede di aumentare gli investimenti in Cina per restare competitiva.

Von der Leyen spinge sull’acceleratore del “de-risking”

La Commissione ha illustrato al Parlamento e al Consiglio Europeo lo European Economic Security Package (Eesp) che prevede, tra l’altro, il controllo – obbligatorio e “unificato” – sugli investimenti diretti all’estero (Ide) effettuati all’interno dell’UE da parte di compagnie direttamente o indirettamente controllate da entità straniere. Al centro della proposta dell’esecutivo comunitario c’è la Cina.

In linea con la strategia di sicurezza economica promossa dalla presidente, Ursula von der Leyen, si punta a rafforzare la vigilanza sugli Ide, finora demandata a e a discrezione dei singoli stati. La bozza della Commissione suggerisce di estendere la supervisione al di là dei settori già individuati (semiconduttori, intelligenza artificiale, informatica quantistica e biotecnologie).

Secondo la bozza di regolamento, verrebbe istituito un sistema unificato che obbligherebbe i paesi dell’UE a controllare non solo gli investimenti in entrata ma anche quelli intra-UE, quando questi ultimi siano effettuati da filiali UE di entità extra-UE. È previsto inoltre il potenziamento dei sistemi di condivisione delle informazioni tra paesi membri.

E viene introdotta la possibilità per gli Stati membri dell’UE di condurre “procedure di iniziativa propria” (Oip) riguardanti gli investimenti diretti esteri pianificati in un altro stato membro, qualora ritengano che potrebbero influire sulla propria sicurezza e ordine pubblico.

Novità importanti riguardano anche il tipo di Ide oggetto di scrutinio, che riguarderebbero oltre a quelli nei settori summenzionati, anche quelli nelle reti di trasporti, energetiche di comunicazione e altre tecnologie, così come i materiali e programmi di ricerca con potenziali ripercussioni sulla sicurezza.

A essere coinvolti nel sistema di controllo abbozzato sarebbero anche gli Ide greenfield, ovvero quelli che si traducono nella costruzione di stabilimenti produttivi e nella creazione di posti di lavoro. Secondo la Commissione gli Ide greenfield vanno inclusi nei meccanismi di controllo, «in particolare quando tali investimenti avvengono in settori rilevanti per la sicurezza o ordine pubblico o quando per dimensioni o natura siano rilevanti per la sicurezza o l’ordine pubblico».

Dopo l’avvio, il 4 ottobre 2023, di un’inchiesta anti-dumping della Commissione sull’importazione nell’UE di veicoli elettrici made in China, a dicembre BYD ha annunciato un investimento per costruire nel sud dell’Ungheria un impianto di produzione di Ev.

L’ambasciatore cinese presso l’UE, Fu Cong, ha definito “ingiusta” l’indagine di Bruxelles e avvertito che, se Pechino adottasse lo stesso approccio, «ci sarebbero molte cose che potrebbero essere indagate».

Il 18 gennaio scorso il Parlamento UE ha approvato a larga maggioranza (565 “sì”, 26 “no” e 31 astenuti) una risoluzione sulle “implicazioni in materia di sicurezza e di difesa dell’influenza della Cina sulle infrastrutture critiche nell’Unione europea” che chiede di agire per contrastare la “strategia di fusione militare-civile” della Cina.

Shanghai scommette sull’anno del drago

Shanghai nel 2023 ha mancato l’obiettivo di crescita del Pil del 5,5 per cento fissato dalle autorità locali, fermandosi al +5 per cento, ovvero 4.720 miliardi di RMB (664,5 miliardi di dollari). A pesare sono state soprattutto le esportazioni, solo +1,6 per cento rispetto al 2022, l’anno dei 71 giorni di lockdown nella prima metropoli della Cina per numero di abitanti.

«L’ambiente esterno rimane complesso e grave, i conflitti geopolitici persistono e la ripresa economica globale manca di slancio», ha spiegato il sindaco, Gong Zheng, annunciando gli ultimi dati economici al Congresso del popolo di Shanghai.

Ciononostante, Shanghai (25 milioni di abitanti) nel 2023 ha attirato 24 miliardi di dollari in fondi esteri, superando il precedente record di 23,96 miliardi di dollari, registrato l’anno precedente.

Nel rapporto presentato al parlamento locale, Gong ha aggiunto che per il 2024 Shanghai continuerà a puntare sui suoi settori più forti: i microchip (in città ha sede Smic, il maggior produttore nazionale), l’intelligenza artificiale e la biomedicina.

Nel 2023 la spesa per ricerca e sviluppo della megalopoli della Cina orientale ha rappresentato circa il 4,4 per cento del suo prodotto interno lordo, con una cifra che dovrebbe raggiungere il 4,5 per cento quest’anno, ha dichiarato He Dajun, membro del parlamento locale e direttore generale del parco di sviluppo hi-tech di Zhangjiang.

Il rapporto di lavoro del governo propone di accelerare la creazione di un fondo per guidare l’innovazione scientifica e tecnologica e attrarre capitali a lungo termine da investire in piccole imprese e in ricerca scientifica e tecnologica.

Lo sviluppo dell’industria della biomedicina va di pari passo con l’innovazione, soprattutto nei campi della terapia cellulare, della terapia genica e della biologia sintetica, tutti presenti a Shanghai, ha ricordato Li Jizong, deputato del congresso e direttore del Centro di sviluppo della biomedicina di Shanghai.

* da Rassegna Cina

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