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L’Aquila: giustizia a metà per i morti della Casa dello Studente

La casa dello studente venne giù come un castello di carte, ma tutti erano stati rassicurati sulla sua “solidità e sicurezza” nonostante le continue scosse che avevano convinto gli studenti ad abbandonare la fatiscente struttura. In cui però alla fine rientrarono, viste le insistenti rassicurazioni dei dirigenti, finché la notte del 6 aprile del 2009, alle 3 e 32 della notte, il palazzo venne giù senza alcuna resistenza, seppellendo studenti e studentesse.
Ora, per alcuni dei responsabili di un mancato allarme quanto mai doloso, sono arrivate le prime condanne. Tre imputati sono stati condannati ieri a quattro anni di reclusione e un altro a due anni e sei mesi. Quattro altri imputati sono invece stati assolti, perché il fatto non sussiste e altri due per non luogo a procedere.
La sentenza fissa anche un risarcimento danni (per ora in via provvisionale, in attesa di una sentenza ulteriore in proposito) del valore complessivo di circa due milioni di euro per i parenti delle 8 giovani vittime del crollo.
La lettura della sentenza è stata accolta in aula dalle proteste di alcuni dei familiari e degli amici delle vittime, che hanno trovato la decisione per niente equilibrata: «Gli studenti dovevano essere fatti uscire», insistono parenti e amici, che si aspettavano dieci condanne.
La condanna a quattro anni riguarda Bernardino Pace, Pietro Centofanti e Tancredi Rossicone, i tecnici autori dei lavori di restauro del 2000, lavori che invece avrebbero ulteriormente indebolito il già poco stabile palazzo. Mentre due anni e mezzo sono stati inflitti a Pietro Sebastiani, tecnico dell’Azienda per il diritto agli studi universitari (Adsu).
«Agli imputati – è scritto nell’arringa del pubblico ministero – non si contesta di essere stati concausa del crollo aumentando i carichi verticali, questo è smentito dalla perizia. Concausa è la condotta omissiva. Nel momento in cui i carichi aumentavano avrebbero dovuto procedere a un adeguamento sismico, un obbligo previsto dalla legge». Che però gli imputati non rispettarono nonostante i soldi spesi nelle ristrutturazioni seguite all’acquisto da parte dello stato della palazzina proprietà di privati fino al 1994.
Ad ammazzare gli otto studenti ((Luca Lunari, Marco Alviani, Luciana Capuano, Davide Centofanti, Angela Cruciano, Francesco Esposito, Hussein “Michelone” Hamade e Alessio Di Simone)) non fu il terremoto in quanto tale – un edificio gemello a pochi metri di distanza è rimasto integro – ma la violazione delle leggi sulla sicurezza da parte di chi mentendo invitò i ragazzi e le ragazze a rientrare nelle loro stanze condannandoli a morte. «Non appare possibile invocare, in tal caso, la buona fede degli imputati — ha detto nella sua requisitoria il pm Fabio Picuti — quando essa si traduce in colpevole ignoranza sullo stato preesistente dell’edificio: non si trattava, infatti di debolezze intrinseche che solo la “prova” del terremoto avrebbe potuto evidenziare. Si trattava invero di debolezze evidentissime e agevolmente verificabili nell’anno 1999 all’epoca della progettazione e dell’esecuzione dei lavori di “ridistribuzione interna delle camere”, se solo gli imputati avessero osservato il dettato normativo e avessero avuto voglia di guardare il progetto originario dell’edificio».

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