L’italico popolo ha preso la sconfitta contro il Costa Rica con più ironia di quanto fosse lecito aspettarsi. Soltanto la Rai persevera nella sua severa analisi della sconfitta: volti tirati, espressioni da Torquemada, atmosfera da caccia alle streghe.
Dopo la vittoria con l’Inghilterra, la strada pareva in discesa: benché avesse sconfitto l’Uruguay, il Costa Rica sembrava una mera formalità. Ne erano convinti un po’ tutti. Stavamo sereni. Poi. Poi abbiamo scoperto che quelli là correvano parecchio, molto più di noi, svagati nella convinzione che, tanto, prima o poi un gol glielo avremmo fatto. E invece hanno segnato loro. E noi siamo andati a sbattere per una quantità imbarazzante di volte nella loro difesa in linea, che ha messo in fuorigioco, uno per uno, tutti gli azzurri. Non è questione di tattica, di Balotelli, di due-punte-sono-meglio-che-una. No. È questione di testa, di convinzione, di prendere le cose alla leggera e uscirne storditi perché mentre noi cazzeggiavamo, gli altri giocavano a pallone. Le partite si vincono negli spogliatoi: la Juve di Conte, tanto per dirne una, è tutt’altro che uno squadrone, ma con le cosiddette piccole vince sempre. Il motivo è semplice, tutti entrano in campo con l’obiettivo di spezzare ogni speranza in meno di venti minuti. Di solito riesce, e non è solo una questione di condizione fisica: il Costa Rica rimane una squadra assolutamente non formidabile, sarebbe bastata un po’ di convinzione per vincere la partita. Invece. Invece gli azzurri hanno deciso di aspettare. Si sono mangiati un paio di gol. Poi ne hanno preso uno, a causa di una colossale dormita di tutta la difesa. A quel punto è arrivata la paura, non in campo – dove i giocatori continuavano a trotterellare sicuri che un gol sarebbe arrivato, prima o poi – ma in panchina, dove Prandelli ha optato per la soluzioni «cambi a cazzo di cane» per cercare di raddrizzare la partita. Niente di male, in fondo anche il fortissimo Brasile contro il Messico ha fatto una partita molto simile alla nostra, solo che il Messico non ha segnato. È un problema di supponenza e, se tanto dà tanto, dobbiamo solo chiedere cose semplici, tipo: perché anche quando il tempo stava per scadere nessuno ha cominciato a tirare da fuori area? Il tiki taka, come detto, non è morto, ma non è detto che sia sempre la cosa migliore da fare. A volte serve anche un po’ di irruenza, le mitiche ali che crossano al centro, la botta da 30 metri, i mischioni in area di rigore. L’Italia no, ha continuato a giochicchiare, nella vana speranza che prima o poi qualcuno sarebbe riuscito a trovare uno spazio nel muro umano eretto dalla Costa Rica nella sua metà campo. Adesso resta l’Uruguay, partita che non va persa, pena andare a incontrare la Spagna. All’aeroporto. È un classico della nazionale italiana: perché fare le cose semplici e vincere con la Costa Rica quando puoi andare a giocarti tutto in una sfida all’ultimo sangue contro un avversario più che temibile?
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