Come al solito la politica estera è la grande assente dal dibattito politico. Solo qualche accenno all’atlantismo e all’europeismo da parte del premier incaricato e neppure una riga dai partiti. Per un Paese a sovranità assai limitata la politica estera, quella vera, è un tabù. Meglio non parlarne, eppure servirebbe visto quanto accaduto in Libia.
Come al solito la politica estera è la grande assente dal dibattito politico. Solo qualche accenno all’atlantismo e all’europeismo da parte del premier incaricato e neppure una riga dai partiti nel corso delle consultazioni.
L’Italia sembra galleggiare nel Mediterraneo come se fosse piazzata nel mar della Luna. Lontanissima. Come se la perdita della Libia _ dove oggi sono in corso manovre politiche e diplomatiche e da dove provengono gran parte dei migranti _ sia stato un affare di poco conto nel declino internazionale del Paese. E’ invece stato, insieme alle crisi economiche, un fattore chiave nella sempre maggiore irrilevanza italiana che ha perso di fatto il controllo degli eventi nel suo stesso cortile di casa.
La Tripolitania attualmente è una sorta di protettorato della Turchia che nel 2019 è intervenuta militarmente per difendere la capitale e il suo governo riconosciuto internazionalmente, mentre la Cirenaica è ancora in mano al generale Khalifa Haftar che ha ottenuto per il rilascio dei pescatori di Mazara del Vallo che un presidente del consiglio e un ministro degli esteri andassero a Bengasi, cosa mai vista nella storia in casi del genere. Manco si dovesse firmare un trattato con Haftar, il generale sostenuto in questi anni dall’Egitto, dalla Russia, dalla Francia, dagli Emirati e dai sauditi.
Oggi l’Italia sulla sponda sud confina da una parte con la Turchia, dall’altra con la Russia e i suoi alleati che sono anche nostri concorrenti e partner allo stesso tempo. I turchi sono di fatto i protettori con le milizie locali della nostra ambasciata a Tripoli e anche degli interessi energetici dell’Eni, resi ancora più rilevanti dal gasdotto Greenstream che collega i giacimenti libici alla Sicilia. La presenza turca in Libia è anche quella di un concorrente economico e condiziona i rapporti con Ankara pure su un altro versante: nel Mediterraneo orientale, dove è in corso da tempo una sorta di guerra non dichiarata per lo sfruttamento dei giacimenti di gas nelle zone di sfruttamento esclusivo della Grecia e di Cipro. L’Italia, al contrario di altri Paesi europei come la Francia, non ha mai preso una posizione dichiaratamente anti-turca perché condizionata proprio dalla presenza delle truppe di Erdogan in Tripolitania, oltre che dal fatto che la Turchia si tiene in casa milioni di profughi minacciando di lasciarli andare sulla rotta balcanica, un aspetto assai importante per la Germania e i Paesi dell’est europeo che frena Bruxelles nell’imposizione di sanzioni ad Ankara.
Sull’altro fronte libico il generale Haftar, oltre che su Russia ed Emirati, si appoggia militarmente all’Egitto con il quale l’Italia ha un rapporto devastante e proficuo allo stesso momento. Devastante per i casi di Regeni e di Zaki che il generale e dittatore Al Sisi ha usato e sta usando per umiliare la verità e il nostro stesso stato di diritto. Una relazione proficua perché l’Italia, con una decina di miliardi di euro di commesse militare, è uno dei maggiori fornitori bellici del Cairo.
Ecco alcuni motivi, i principali, perché tornare a parlare di Libia. La caduta di Gheddafi nel 2011 è stata la più grave sconfitta dai tempi della seconda guerra mondiale, una vera e propria umiliazione inflitta dai nostri stessi alleati. Francia, Use Gran Bretagna dieci anni fa, il 19 marzo, decisero raid aerei e missilistici senza tenere assolutamente conto del nostro parere. Sorvolarono il nostro spazio aereo senza farci neppure una telefonata e usarono a loro piacimento le basi americane per i sorvoli e i rifornimenti. La reazione del governo italiano fu debolissima e affidata al presidente della repubblica che qualche settimana dopo decise di unirsi ai raid anti-Gheddafi sotto l’ombrello della Nato.
Fu una decisione molto grave, presa nel tentativo di proteggere in nostri interessi energetici e geopolitici. Probabilmente una dichiarazione di neutralità, come fece allora la Germania, sarebbe stata una scelta migliore. Il bombardamento della Libia da parte dell’Italia non fu ovviamente percepito come una prova di forza ma di estrema debolezza di un Paese che non aveva saputo difendere il suo maggiore alleato. Basti ricordare che il 30 agosto 2010, soltanto pochi mesi prima, Gheddafi era stato ricevuto a Roma in pompa magna ed erano stati firmati accordi per oltre 50 miliardi di euro e sancita anche la cooperazione bilaterale nel campo della sicurezza.
Qualunque Paese del Mediterraneo ha ricevuto allora dall’Italia un messaggio inequivocabile: l’Italia non rispetta i patti e non è in grado di proteggere i suoi alleati. Non solo. Gli stessi alleati dell’Italia vanno contro i suoi interessi strategici senza neppure consultarla.
La situazione del 2011 si è ripetuta nel novembre 2019 quando Tripoli era assediata da Haftar e il governo Sarraj era ormai pronto alla fuga. Sarraj chiese aiuto militare a Italia, Usa e Gran Bretagna, che lo rifiutarono lasciando di fatto via libera a Erdogan. Insomma quando c’è da decidere della pace della guerra e dei nostri interessi il Paese non ha alcun ruolo effettivo ed efficace. Forse questo è il motivo per cui da noi non si parla di politica estera: non ne abbiamo una. In compenso partecipiamo a missioni militari internazionali in Iraq e in Afghanistan senza che questo ci porti il minimo vantaggio o considerazione da parte dei nostri alleati, se non una vuota retorica e qualche commessa bellica. Per un Paese a sovranità assai limitata come il nostro la politica estera, quella vera, è un tabù. Meglio non parlarne.
*l’articolo è uscito su quotidianodel sud.it
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