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Freelance, precari e redazioni contro l’Fnsi. L’8 luglio manifestazione

E’ una vera e propria rivolta, inedita e montante, quella scatenata dalla firma del nuovo contratto tra Fnsi e Fieg alla fine di giugno. Una rivolta contro il sindacato dei giornalisti, accusato di aver svenduto la categoria agli editori, di aver legalizzato il precariato e ridotto le garanzie anche per la fascia intermedia dei cosiddetti ‘garantiti’, e di aver impedito ogni dibattito tra gli interessati prima della frettolosa firma.

Il sindacato diretto dal Pd Franco Siddi si spacca, alcune aree hanno già annunciato la propria fuoriuscita e altri pezzi potrebbero ufficializzare la storica frattura il prossimo 5 luglio, quando a Roma si terrà un’assemblea nazionale indetta non solo per discutere le contromosse rispetto all’accordo Fnsi-Fieg-Governo, ma con l’esplicito obiettivo di “rifare un sindacato” che tuteli veramente gli operatori dell’informazione e della comunicazione. Anche alcune sezioni regionali dell’Fnsi – in particolare l’Associazione Stampa Romana ma anche quelle di Toscana ed Emilia-Romagna – sono in aperto contrasto con la direzione Siddi-Rossi che continuano a rispondere alle critiche parlando di strumentalizzazioni e di disinformazione.
Dopo il battibecco tra il presidente dell’Fnsi e alcuni suoi ‘colleghi’ nel corso della presentazione del contratto, la scorsa settimana, anche ieri non sono mancate le polemiche contro la dirigenza del sindacato nel corso della conferenza stampa organizzata alla Camera dei Deputati in occasione della presentazione di un’interpellanza parlamentare da parte di Adriano Zaccagnini. Nell’interrogazione il deputato, eletto nelle liste del Movimento Cinque Stelle e poi passato al gruppo misto – e vicino alla Lista Tsipras – chiede esplicitamente il ritiro della delibera nata dall’accordo tra l’Fnsi e la Fieg in quanto sarebbe anticostituzionale e contraria ai principi della legge sull’equo compenso.
Durante l’iniziativa di ieri in Parlamento è stata anche annunciata la diffusione di un appello per il referendum tra i giornalisti che sia vincolante per la direzione dell’Fnsi firmato non solo da tanti freelance e precari, ma anche da alcune firme pesanti del giornalismo italiano: da Riccardo Iacona a Milena Gabanelli, da Fiorenza Sarzanini e Marco Imarisio.
Non è solo tra i non garantiti e tra i collaboratori esterni delle testate che montano rabbia e protesta, ma la contestazione dilaga ormai anche nelle redazioni di tv e giornali. Dopo il comitato di redazione de La 7, che da subito aveva bocciato l’accordo, anche quello  del Tg5: “Sono sotto ricatto non solo i freelance, ma tutti i giornalisti e la democrazia – ha detto Pierangelo Maurizio – Quello che è stato firmato non ha a che vedere con la tutela, 250 euro al mese: di cosa parliamo? La parola giusta è scambio, la nostra pelle in cambio di 120 milioni di fondi per l’editoria”. Duro anche Paolo Barbieri, del Cdr di Tmnews: “un sindacato che fa un contratto clandestino è in grande difficoltà con la sua categoria”. Nel mirino della protesta non solo un compenso fissato dal contratto che non è affatto equo – e che comunque si applica solo agli editori che ricevono contributi pubblici per l’editoria, ma anche l’introduzione del cosiddetto salario d’ingresso che abbatte le tutele per chi entra nella professione ma anche per chi potrebbe essere riassunto a condizioni capestro dopo esser stato licenziato. Un vero e proprio incentivo alla precarizzazione e al massacro.

Mentre sui social network rimbalza l’hashtag #StopFnsi, ovunque si annunciano ricorsi alla magistratura, diffide e appelli contro una decisione presa esclusivamente dai vertici del sindacato e senza alcuna forma di consultazione previa della base. Dal clima infuocato si direbbe che la manifestazione convocata martedì 8 luglio sotto la sede dell’Fnsi in Corso Vittorio Emanuele sarà combattiva e partecipata. Sempre che, come è avvenuto spesso in passato, la protesta dei giornalisti rinculi nel mugugno e nei commenti da social network.

Di seguito il testo integrale dell’interpellanza del deputato Zaccagnini:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio ed il Ministro del lavoro e delle politiche sociali , per sapere – premesso che:

– I giornalisti non dipendenti ,circa il 60% della categoria , oggi rivestono un ruolo fondamentale nella realizzazione del prodotto informativo ma, pur essendo una figura essenziale del sistema dei media, coloro che lavorano fuori dalle redazioni sono esclusi dall’applicazione del Contratto collettivo giornalistico, quindi senza tutele economiche e contrattuali, con costi e spese a loro carico. Nonostante competenze professionali elevate, i “diversamente giovani”,secondo il rapporto Lsdi più dell’80% degli iscritti alla gestione separata dell’Inpgi ha un’età compresa tra i 31 e i 55 anni, lavorano in condizioni di precariato a vita ormai non più sostenibili. 
Un freelance ,secondo una ricerca di Lsdi su dati Ordine dei giornalisti e Inpgi, Istituto di previdenza dei giornalisti, guadagna in media 5 volte in meno di un dipendente, mentre un parasubordinato 7 volte in meno ,pur svolgendo un lavoro a volte identico ai dipendenti, senza peraltro le garanzie contrattuali, previdenziali e assicurative.

– la legge n. 233 del 2012 ha inteso stabilire un principio di dignità del lavoro non subordinato: all’art. 1 richiama la Costituzione: “In attuazione dell’articolo 36, primo comma, della Costituzione, la presente legge è finalizzata a promuovere l’equità retributiva dei giornalisti iscritti all’albo di cui all’articolo 27 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, e successive modificazioni, titolari di un rapporto di lavoro non subordinato in quotidiani e periodici, anche telematici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti radiotelevisive “. All’art.2 la stessa legge stabilisce che “Ai fini della presente legge, per equo compenso si intende la corresponsione di una remunerazione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, tenendo conto della natura, del contenuto e delle caratteristiche della prestazione nonché della coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria
in favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato”

– la “Commissione per la valutazione dell’equo compenso nel lavoro giornalistico”, istituita presso il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, lo scorso 19 giugno ha stabilito “il trattamento economico minimo” per i collaboratori coordinati e continuativi nella cifra di 3 mila euro lordi l’anno (250 euro al mese), in particolare: i cococo che lavorano per i quotidiani devono produrre “minimo 144 articoli” (di almeno 1.600 battute) l’anno, pari a 12 articoli pubblicati in media per mese in ragione d’anno (20 euro a pezzo), i collaboratori dei settimanali devono scrivere minimo 45 pezzi l’anno di almeno 1.800 battute (65 euro a pezzo), quelli dei mensili almeno un pezzo (di 7 mila battute) per numero, i collaboratori di agenzie di stampa e di testate online “minimo 40 segnalazioni/informazioni (6,25 euro l’una), anche corredate da foto/video, pubblicate in media per mese in ragione d’anno .I suddetti trattamenti economici minimi si applicano ai collaboratori coordinati e continuativi (circa 10 mila ndr) ma anche “alle altre forme di lavoro autonomo” che – fermo restando il rispetto dei requisiti minimi di cui sopra “abbiano una durata minima, con lo stesso committente, pari o superiore a 8 mesi per 2 anni consecutivi e a condizione che il corrispettivo versato dallo stesso committente e derivante da tale rapporto di lavoro sia pari o superiore all’80% dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal lavoratore nell’arco di 2 anni consecutivi”

-Già 7 anni fa, nel 2007, una delibera dell’Ordine nazionale dei giornalisti aveva fissato “compensi minimi per le prestazioni professionali giornalistiche ,non regolate dal contratto collettivo di lavoro perché non comportanti subordinazione, ( ndr) nei quotidiani, nei periodici, anche telematici, nelle agenzie, nelle emittenti radiotelevisive e negli uffici stampa” al netto delle contribuzioni previdenziali, in base a parametri quali: diffusione e tiratura delle testate, distinzione tra notizia, articolo e servizio; a titolo di esempio: per “quotidiani e periodici a diffusione nazionale con tiratura oltre 250.000 copie – Agenzie di stampa a diffusione nazionale – Periodici stranieri – Emittenti radiotelevisive a diffusione nazionale e network” il compenso minimo per la notizia, allora (quindi non adeguato al costo della vita di oggi) era 33 euro, per l’articolo 171 euro, il servizio 342 euro-

– Se il Presidente del consiglio ed il Ministro in indirizzo sono a conoscenza dei fatti narrati e quali azioni intendano intraprendere.

– Se non reputino che i trattamenti economici minimi stabiliti dalla Commissione, siano in contrasto con la Legge n. 233 e la stessa Costituzione cui la normativa fa riferimento (“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi“), in quanto ben al di sotto dei minimi stabiliti dal contratto collettivo nazionale per i lavoratori dipendenti, quindi in violazione anche del principio di equità tra lavoratori.

– Se non reputino che questi trattamenti siano lesivi della dignità dei giornalisti non dipendenti, resi ulteriormente ricattabili, con ripercussioni sulla libertà di informazione, “bene pubblico” fondamentale per la stessa democrazia.

– Se non reputino che la restrizione della platea, cui viene applicato il trattamento economico minimo non sia indebitamente ristretta ,col rischio che i rapporti co .co. co siano trasformati in partite Iva finte, quindi in contrasto con quanto specificato nella legge

– Se non reputino che l’estensione dei trattamenti minimi economici ad “altre forme di lavoro autonomo” coi requisiti di cui sopra non sia in contrasto con un’altra Legge dello Stato, la cosiddetta “Riforma Fornero”, che invece individua quei requisiti idonei per la trasformazione dei rapporti di lavoro precario in rapporti a tempo indeterminato

– Se non ravvedano che, in merito al Fondo straordinario dell’editoria, con il protocollo d’intesa firmato da Presidenza del Consiglio dei Ministri, Fieg, Fnsi e Inpgi , non si avalli una situazione di illegittimità dal momento che l’introduzione dell’apprendistato professionalizzante, introdotto con la Legge 78/2014 e “importato” nel nuovo CCNL Giornalistico, non sembra compatibile con la Legge 69/1963 che disciplina la professione giornalistica e prevede in 18 mesi e non in 30 o 36 il periodo di praticantato precedente l’esame di Stato previsto dall’articolo 33 della Costituzione

– Se non reputino che alcuni giornalisti, già professionisti per la Legge ordinistica, verranno considerati ancora da “professionalizzare” per le norme giuslavoristiche e dunque costretti a uno stipendio più basso illegittimamente e che sia una forzatura formare chi ha già superato l’esame di Stato.

– Se non reputino che le nuove tipologie di assunzione, come il salario di ingresso, non riducano i diritti e le tutele dei nuovi assunti e, di riflesso, anche quelle degli occupati, minando la professione e conseguentemente aprendo una falla nel sistema delle garanzie democratiche del Paese di cui l’informazione è un pilastro insostituibile.

– Se non reputino che con la possibilità di assumere un dipendente ogni tre prepensionati, si rischi di dare impulso alla fuoriuscita dei dipendenti con esperienza e considerevole formazione dalle redazioni.

– Se non reputino che negli accordi dei salari d’ingresso a retribuzione ridotta e “sconti” contributivi estesi anche ai contratti a tempo determinato, non sia da intendere come una rinuncia a legare gli aiuti agli editori alla creazione di nuova occupazione, davvero stabile e non sottopagata.

-Se sono a conoscenza che ,in riferimento al decreto sull’editoria, che prevede aiuti per l’assunzione di “giovani”, la maggioranza dei giornalisti precari non è più “giovane”, ma ha in media un’età di 40 e più anni, e con una professionalità ultraventennale.

– Se non reputino opportuno, alla luce di tutto ciò il ritiro della delibera nata dall’accordo tra il sindacato dei giornalisti e gli editori, perché anticostituzionale e contraria ai principi della legge sull’equo compenso.

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